Sposato con la figlia del ‘capo’ del clan, ma non basta per considerarlo vicino all’organizzazione criminale

Da riesaminare con attenzione l’istanza di riabilitazione. L’elemento utilizzato dai giudici per rispondere negativamente, ossia il matrimonio contratto dall’uomo, è stato valorizzato in maniera eccessiva.

Riabilitazione negata alla persona finita sotto accusa per aver fatto parte di un’associazione di tipo mafioso. Fatale, secondo i giudici, la parentela indiretta col ‘capo’ di un clan. Ma tale elemento pare troppo fragile Va dimostrata con elementi più solidi e più concreti la vicinanza reale al gruppo criminale Cassazione, sentenza n. 52539, sez. I Penale, depositata oggi . Nozze criminali Nodo gordiano è il matrimonio dell’uomo che ha presentato istanza di riabilitazione . Meglio ancora, decisiva è la persona con cui l’uomo è convolato a nozze, ossia la figlia del ‘capo’ di un sodalizio mafioso . Ciò basta, secondo i giudici di merito, per considerare non praticabile l’ipotesi della riabilitazione . Visione errata, ribattono ora i giudici della Cassazione, i quali, accogliendo il ricorso proposto dall’uomo, sottolineano l’eccessivo ‘peso’ attribuito al legame coniugale dell’uomo. Anche perché, viene aggiunto, la prova costante ed effettiva di buona condotta, necessaria per la concessione della riabilitazione, implica una valutazione della personalità sulla base non già della mera astensione dal compimento di fatti criminosi, ma di fatti e comportamenti sintomatici di un effettivo e costante rispetto delle regole della convivenza sociale . Di conseguenza, le ragioni ostative al riconoscimento della riabilitazione non possono essere meramente presunte sulla base di semplici sospetti . E, in questo quadro, concludono i giudici – riaffidando la vicenda a un esame più approfondito da parte della Corte d’Appello –, è risibile la pretesa derivazione, dal rapporto coniugale il matrimonio con la figlia di un ‘capo’ , della contiguità con una organizzazione mafiosa, in assenza di segni esteriori significativi .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 giugno – 18 dicembre 2014, numero 52539 Presidente Siotto – Relatore Magi In fatto e in diritto 1. Con ordinanza resa in data 24 maggio 2013 la Corte d'Appello di Catanzaro rigettava l'istanza di riabilitazione proposta ai sensi dell'art. 15 legge numero 327 del 1988 da O.A Richiamato il presupposto di legge prova costante ed effettiva di buona condotta, limite minimo di tre anni successivi alla cessazione della misura , la Corte territoriale ne escludeva la sussistenza in rapporto ad alcune circostanze di fatto. La prima è così descritta il prevenuto risulta ancora inserito nel sodalizio mafioso di Muto Francesco, del quale ha sposato la figlia come da comunicazione della Questura di Cosenza. Quanto alla seconda, si afferma che risulta segnalato l'acquisto, dopo la cessazione della misura di prevenzione, di beni per un valore dichiarato di euro 27.000,00, beni oggetto di sequestro per un valore di circa euro 500.000,00. Risulta altresì l'annullamento di detto sequestro per l'inesistenza del reato essendo stata applicata misura di prevenzione per pericolosità 'semplice' ma in ogni caso vi è sospetto sulla provenienza del denaro investito che viene indicato in euro 500.000,00 posto che O. gestisce una pescheria insieme al figlio. Risultano altresì frequentazioni con pregiudicati, non giustificate dal fatto che costoro sono dipendenti della suddetta pescheria. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo dei difensore - O.A., articolando distinti motivi. Con il primo si deduce vizio di motivazione per illogicità e contraddittorietà. Il ricorrente contesta la valenza degli indicatori in punto di condotta successiva alla cessazione della misura e rappresenta una omissione valutativa di dati posti a disposizione del giudicante. In particolare si rappresenta che - il valore delle porzioni di terreno acquistate era di euro 27.000,00 come emerge dalla documentazione offerta e come è stato ritenuto dal Tribunale del Riesame che ebbe ad annullare il decreto di sequestro - non risulta valutata la circostanza dell'avvenuto indennizzo per ingiusta detenzione, liquidato all'istante nella misura di euro 150.000,00 dopo l'assoluzione dalla imputazione di cui all'art. 416 bis cod.penumero - il legame coniugale non può avere influenza alcuna sulla ricorrenza del presupposto di legge. Con il secondo si deduce erronea applicazione della disciplina regolatrice. Attraverso il richiamo di atti non sottoposti alla necessaria verifica cognitiva la Corte d'Appello avrebbe violato il contenuto della norma di cui all'art. 15 legge numero 327 del 1988, essendo necessario al fine di ottenere la riabilitazione il rispetto delle regole di convivenza sociale. Lì dove si valorizzino dati di contrasto non significativi viene ostacolato in modo irragionevole il percorso di reinserimento. 3. Il primo motivo di ricorso è fondato con assorbimento delle ulteriori doglianze per le ragioni che seguono. Va premesso che In tema di misure di prevenzione, la prova costante ed effettiva di buona condotta, necessaria per la concessione della riabilitazione, implica una valutazione della personalità sulla base non già della mera astensione dal compimento di fatti criminosi, ma di fatti e comportamenti sintomatici di un effettivo e costante rispetto delle regole della convivenza sociale, quale espressione del recupero dell'interessato ad un corretto modello di vita tra le molte, Sez. VI numero 5164 del 16.1.2014, rv 258572 . La prima verifica da compiersi, pertanto, è quella dell'assenza di condotte tali da far presumere - in modo ragionevole - che il soggetto abbia invece proseguito uno stile di vita 'deviante', posto che ciò esclude l'adesione a modelli positivi. Ma - ed è questo il punto - le ragioni ostative non possono essere meramente presunte sulla base di semplici sospetti. Trattandosi di fatti gli stessi devono essere ancorati ad una logica dimostrativa che, seppure in via indiziaria, sorregga l'affermazione della loro esistenza. Così non è nel caso in esame, per come evidenziato nel ricorso. In effetti, la motivazione espressa è affetta da irragionevolezza e incompletezza della valutazione. Non corrisponde, infatti, ad una generalmente condivisa osservazione dei comportamenti e non è dunque paragonabile ad una massima di esperienza la pretesa derivazione dal rapporto coniugale il matrimonio con la figlia di un 'capo' della 'contiguità' con una organizzazione mafiosa, in assenza di segni esteriori significativi. Detti segni esteriori vengono dalla Corte evidenziati in un investimento 'sospetto' e nella perdurante frequentazione con soggetti pregiudicati. Tuttavia sul primo elemento - per come esposto in motivazione - è lecito nutrire seri dubbi, alimentati dal contenuto del ricorso. Non vi è infatti alcuna esplicazione circa il preteso valore dell'investimento operato, data la rilevantissima differenza tra quanto risulta dichiarato 27.000 euro e quanto sarebbe stato accertato 500.000 euro . Da ciò deriva una incompletezza motivazionale, posto che il ricorrente ha addotto a giustificazione dell'investimento la percezione di ben 150.000 euro a titolo di liquidazione della ingiusta detenzione sofferta. Tale dato non risulta oggetto di valutazione alcuna, e tale omissione - in una con la mancata spiegazione della 'stima' realizzata, risulta rilevante per la tenuta logica della motivazione. Anche il tema delle frequentazioni non è razionalmente valutato, posto che l'impiego di soggetti con precedenti in una attività lavorativa - se il rapporto di lavoro è verificato in fatto - non può ritenersi dì per sè un dato di sospetto. Va pertanto disposto, per quanto sinora detto, l'annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d'Appello di Catanzaro.