Quando disporre l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva?

Ai fini dell’operatività del divieto di espulsione dello straniero verso uno Stato, nel quale egli possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali, non è sufficiente la semplice enunciazione del relativo rischio da parte dell’interessato, ma occorre che lo status di rifugiato sia accertato dall’apposita Commissione centrale per il riconoscimento di esso ovvero, qualora la Commissione non si sia pronunciata, che il giudice chiamato a disporre l’espulsione accerti, in via incidentale, la sussistenza dei presupposti che potrebbero condurre, in concreto, al detto riconoscimento.

E’ stato così deciso nella sentenza n. 52389, della Corte di Cassazione, depositata il 17 dicembre 2014. Il caso. Il Tribunale di sorveglianza respingeva l’opposizione proposta da un detenuto di origine tunisina avverso il decreto di espulsione dal territorio dello Stato ai sensi dell’art. 16 d. lgs. n. 286/1998 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero . L’uomo ricorreva allora per cassazione deducendo la violazione della norma predetta, ritendo non sussistenti i requisiti per la disposta espulsione a titolo di sanzione sostitutiva. Secondo il ricorrente il Tribunale non aveva considerato che il detenuto fosse fuggito dal proprio Paese d’origine per le gravi ripercussioni derivanti dai tumulti rivoluzionari. L’uomo sosteneva, in sostanza, di aver cercato rifugio e protezione in Italia. Il ricorso è infondato. Infatti, il ricorrente aveva eccepito la mancanza dei presupposti ex art. 16 d. lgs. n. 286/1998, sotto il profilo della sussistenza di una ipotesi di sua inespellibilità correlata alla situazione politico – sociale della Tunisia e al dedotto rischio per la propria incolumità nell’ipotesi di sua espulsione coattiva dal territorio nazionale. L’inespellibilità deve essere certificata. Tuttavia, è pacifico in sede di legittimità che ai fini dell’operatività del divieto – stabilito dall’art. 19 d. lgs. n. 286/1998 – di espulsione dello straniero verso uno Stato, nel quale egli possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali, non è sufficiente la semplice enunciazione del relativo rischio da parte dell’interessato, ma occorre che lo status di rifugiato sia accertato dall’apposita Commissione centrale per il riconoscimento di esso ovvero, qualora la Commissione non si sia pronunciata, che il giudice chiamato a disporre l’espulsione accerti, in via incidentale, la sussistenza dei presupposti che potrebbero condurre, in concreto, al detto riconoscimento Cass., n. 2239/2004 . Nel caso di specie – come evidenziato dalla Corte Suprema, il detenuto aveva rappresentato in modo molto generico la situazione del proprio paese d’origine ed aveva eccepito la violazione di norme costituzionale ed internazionali, senza però dimostrare né prospettare circostanze specifiche inerenti alla suo possibile concreta esposizione a rischi per l’incolumità fisica o di violazione dei suoi diritti fondamentali. La pronuncia del Giudice – spiega la Cassazione - si era inoltre basata sulla decisione negativa della competente Commissione territoriale in riferimento alla richiesta di protezione internazionale presentata dal cittadino tunisino. Sulla base di tali argomenti, la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 25 novembre – 17 dicembre 2014, n. 52389 Presidente Chieffi – Relatore Tardio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 12 novembre 2013 il Tribunale di sorveglianza di Torino ha respinto l'opposizione proposta da A.B. , in atto detenuto presso la Casa circondariale di Aosta in espiazione della pena di cui alla sentenza di condanna del 27 febbraio 2013 del Tribunale di Milano, avverso il decreto del 24 luglio 2013 del Magistrato di sorveglianza di Novara, che aveva disposto nei confronti del medesimo l'espulsione dal territorio dello Stato ai sensi dell'art. 16 d.lgs. n. 286 del 1998. Il Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che - il reclamante non aveva contestato la sussistenza dei presupposti per disporre la sua espulsione dallo Stato, solo opponendo irrilevanti e non pertinenti motivi attinenti al suo paventato rientro in Tunisia e allegando una richiesta, volta all'avvio della sua protezione, presentata il 3 ottobre 2012 allo Sportello Protezioni internazionali - dal rapporto informativo della Questura di Aosta era emerso che il reclamante, entrato clandestinamente nel territorio nazionale, era privo del permesso di soggiorno e non aveva riferimenti affettivi e lavorativi che giustificassero la protrazione del suo trattamento rieducativo in Italia. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l'interessato personalmente, che ne ha chiesto l'annullamento sulla base di unico motivo, con il quale ha dedotto violazione di legge in relazione all'art. 16 d.lgs. n. 286 del 1998, non sussistendo i requisiti per la disposta espulsione a titolo di sanzione sostitutiva. Secondo il ricorrente, il Tribunale, svolgendo argomentazioni illogiche e prive di effettiva motivazione, non ha considerato che egli, fuggito dal suo Paese per le gravi ripercussioni derivanti dai tumulti rivoluzionari attuati dai c.d. Fratelli Musulmani, dopo aver subito un periodo di carcerazione e poi un nuovo arresto e una nuova persecuzione con violenze fisiche e morali, ha cercato rifugio e protezione in Italia, e nulla ha detto circa la sussistenza di gravi ragioni di pericolosità che imponessero la sua espulsione e il suo rimpatrio pur a rischio della vita, violando le norme internazionali, il dettato costituzionale e il testo unico sulla immigrazione. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta e ha concluso per il rigetto del ricorso, deducendo la rilevanza, ai fini della legittimità della espulsione, del requisito del mancato possesso in capo al ricorrente di permesso di soggiorno per la permanenza nel territorio italiano la ricorrenza di tutte le condizioni previste dalla norma la non ravvisabilità di alcuna violazione dell'art. 8 CEDU, rientrando nel legittimo esercizio della discrezionalità legislativa prevedere che, nel caso di straniero irregolare, possa prevalere l'interesse dello Stato all'espulsione anche rispetto alla pretesa punitiva entro un determinato limite di pena e previa valutazione del giudice la insussistenza di elementi riguardanti la dedotta persecuzione del ricorrente nel suo Paese per motivi politici e la irrilevanza della generica indicazione di una pena da scontare nello stesso. 4. Con ordinanza resa all'esito dell'udienza camerale del 9 luglio 2014, questa Corte ha disposto il rinvio a nuovo ruolo, mandando alla Cancelleria di assumere informazioni presso la Questura di Vercelli circa l'avvenuta esecuzione o meno del provvedimento di espulsione in oggetto. 5. Pervenuta il 27 agosto 2014 la nota informativa della Questura di Vercelli - Ufficio immigrazione, all'udienza odierna, fissata con nuovo decreto, il procedimento è stato deciso come da dispositivo riportato in calce alla presente sentenza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Va premesso in punto di fatto che nei confronti del ricorrente il Magistrato di sorveglianza ha applicato l'espulsione quale misura alternativa all'espiazione nel territorio nazionale della pena detentiva, di cui alla sentenza del 27 febbraio 2013 del Tribunale di Milano, e che il Tribunale di sorveglianza, chiamato a pronunciarsi sull'opposizione proposta avverso detto provvedimento, ne ha disposto la conferma, evidenziando la sua non contestata conformità alle disposizioni di legge che regolano la materia e rimarcando la corrispondenza della situazione del ricorrente, entrato clandestinamente in Italia senza mai regolarizzare la sua posizione di soggiorno, a quella normativamente prevista, come presupposto necessario e sufficiente, ai fini della legittimità della espulsione dello straniero dal territorio dello Stato. Le considerazioni, logicamente espresse, sono coerenti con i principi di diritto tratti dalla giurisprudenza di questa Corte, alla cui stregua l'espulsione dello straniero, identificato, il quale sia stato condannato e si trovi detenuto in esecuzione di pena anche residua non superiore ad anni due per reati non ostativi, prevista dall'art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, profondamente riscritto dall'art. 15 legge n. 189 del 2002 e ulteriormente integrato dall'art. 1, comma 22, lett. 0, legge n. 94 del 2009, ha natura amministrativa Corte cost. ordinanza n. 226 del 2004 e costituisce un'atipica misura alternativa alla detenzione, finalizzata a evitare il sovraffollamento carcerario, della quale è obbligatoria l'adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge tra le altre, Sez. 1, n. 45601 del 14/12/2010, dep. 29/12/2010, Turtulli, Rv. 249175 , salve le situazioni di inespellibilità di cui all'art. 19, che devono essere integrate dalla ricorrenza, al momento della decisione, della compiuta situazione delineata dalla norma di rinvio Sez. 1, n. 26753 del 27/05/2009, dep. 01/07/2009, Boshi, Rv. 244715 . 3. Il ricorrente ha eccepito la mancanza dei presupposti richiesti dall'art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998 sotto il profilo della sussistenza di una ipotesi di sua inespellibilità correlata alla situazione politico - sociale della Tunisia e al dedotto rischio per la propria incolumità nella ipotesi di sua espulsione coattiva dal territorio nazionale. 3.1. Questa Corte ha più volte affermato che, a fini della operatività del divieto - stabilito nell'art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998 - di espulsione dello straniero verso uno Stato, nel quale egli possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali, non è sufficiente la semplice enunciazione del relativo rischio da parte dell'interessato, ma occorre che lo status di rifugiato sia accertato dall'apposita Commissione centrale per il riconoscimento di esso ovvero, qualora la Commissione non si sia pronunciata, che il giudice chiamato a disporre l'espulsione accerti, in via incidentale, la sussistenza dei presupposti che potrebbero condurre, in concreto, al detto riconoscimento tra le altre, Sez. 1, n. 2239 del 17/12/2004, dep. 25/01/2005, P.G. in proc. Bouffenech, Rv. 230546 Sez. 1, n. 41368 del 14 ottobre 2009, dep. 28/10/2009, Baddadi Ramzi, Rv. 245064 , e, anche quando ha ricordato che, in tema di disciplina dell'immigrazione, il tribunale di sorveglianza, in sede di opposizione avverso il decreto di espulsione ex art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, non è esentato dal dovere di attivarsi d'ufficio allo scopo di reperire presso le autorità competenti l'eventuale documentazione comprovante lo status di rifugiato politico, rilevante ai fini del divieto di espulsione verso uno Stato in cui vi è notoria possibilità di una persecuzione per motivi politici, ha fatto riferimento alla specifica deduzione di detta qualità e delle circostanze che la giustificano da parte dell'opponente Sez. 1, n. 39764 del 13/10/2005, citata, Rv. 232685 . 3.2. Consegue a tali principi l'infondatezza della censura, poiché la situazione politico - sociale della Tunisia è rappresentata dal ricorrente in termini generali, alla pari della eccepita violazione di norme costituzionali e internazionali, senza la dimostrazione né la prospettazione di circostanze specifiche, che, collegandolo a una frangia estremista o individualizzandone la posizione soggettiva nel riferito quadro oggettivo, consenta in termini di attualità di inferirne una sua concreta esposizione a rischi per la incolumità fisica o di violazione dei suoi diritti fondamentali. Tale rilievo trova riscontro anche nelle risultanze delle acquisite informazioni, dalle stesse emergendo, oltre alla mancata esecuzione del provvedimento di espulsione, la decisione negativa in ordine alla richiesta di protezione internazionale presentata dal ricorrente, adottata dalla competente Commissione territoriale di Torino il 16 gennaio 2014, che ha invece rilasciato un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ai sensi dell'art. 5, comma 6, d.lgs. n. 286 del 1998, non rilevante ai fini della presente decisione. 4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.