Rende mendaci dichiarazioni per evitare un’accusa penale a proprio carico, quindi, non è punibile

Quando la libertà personale che il soggetto agente tutela, compiendo un favoreggiamento personale a beneficio di un terzo, sia rappresentata dall’esigenza di evitare un’accusa penale, cioè un procedimento penale o soltanto delle indagini penali nei propri confronti, l’interesse di libertà che egli persegue si immedesima nell’esercizio dell’inviolabile diritto di difesa, diritto e valore di rango costituzionale.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 52118, depositata il 16 dicembre 2014. Il fatto. La Corte d’appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Milano, che riteneva l’imputato colpevole del reato di cui all’art. 378 c.p. e lo condannava alla pena di mesi 4 di reclusione perché, interpellato dagli agenti della Polizia di Stato, riferiva di conoscere appena la persona con la quale si trovava a bordo di uno scooter, persona sottoposta alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di Milano, resasi di fatto irreperibile e tratta in arresto. Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, deducendo violazione e vizi motivazionali in relazione agli artt. 62 e 195 c.p.p La S.C. ha accolto il ricorso, ma per ragioni diverse da quelle prospettate dal ricorrente. Causa di non punibilità rilevabile d’ufficio. Preliminarmente il Collegio ha richiamato il principio più volte affermato in Cassazione, secondo cui nel giudizio di Cassazione è rilevabile d’ufficio, quindi anche in assenza di uno specifico motivo di ricorso, la sussistenza della causa di non punibilità di chi ha commesso uno dei reati contro l’amministrazione della giustizia specificamente indicati dalla legge, e tra questi, come nel caso di specie, il reato di favoreggiamento personale, per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore. Esigenza di evitare un’accusa penale. Detto ciò, la Corte afferma che costituisce pacifico orientamento il principio in base al quale in tema di favoreggiamento personale, la causa di esclusione della punibilità prevista per chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso, o un prossimo congiunto, da un grave e inevitabile nocumento alla libertà personale o all’onore opera anche nelle ipotesi in cui il soggetto agente abbia reso mendaci dichiarazioni per evitare un’accusa penale a proprio carico. Diritto di difesa. Infatti, quando la libertà personale che il soggetto agente tutela, compiendo un favoreggiamento personale a beneficio di un terzo, sia rappresentata dall’esigenza di evitare un’accusa penale, cioè un procedimento penale o soltanto delle indagini penali nei propri confronti, l’interesse di libertà che egli persegue si immedesima nell’esercizio dell’inviolabile diritto di difesa. Diritto e valore di rango costituzionale. Salvare il bene della libertà individuale. Dunque, se il diritto di difesa costituisce il paradigma di apprezzamento del bene della libertà individuale che il favoreggiatore cerca di salvaguardare con la propria condotta antigiuridica, è evidente a parere della Corte, che nella situazione in esame, l’agire in modo conforme alla legge avrebbe comportato la ragionevole possibilità di un’accusa contro sé stesso, costituendo le dichiarazioni parzialmente mendaci da lui rese in quel frangente un tentativo di sottrarsi al pericolo di una possibile ed imminente incriminazione. Per le considerazioni sopra riportate, la S. C. ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 2 – 16 dicembre 2014, n. 52118 Presidente Agrò – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 20 giugno 2012 la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza pronunciata il 27 maggio 2011 dal Tribunale di Milano, che riteneva Dantino Andrea Raffaele colpevole del delitto di cui all'art. 378 c.p. e lo condannava alla pena di mesi quattro di reclusione perché, interpellato dagli agenti della Polizia di Stato, riferiva di conoscere appena Anelli Alessandro Renato - persona sottoposta alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di Milano dal 31 marzo 2006, resasi di fatto irreperibile dal 3 novembre 2008 e tratta in arresto per il reato di cui all'art. 9, commi 2 e 3, della I. n. 1423/1956 - assieme al quale si trovava a bordo di uno scooter, fermato dopo un inseguimento scaturito dall'inottemperanza ad un normale controllo di polizia. 2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del Dantino, deducendo violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione agli artt. 62 e 195 c.p.p., poiché la falsità delle dichiarazioni dell'imputato e la loro finalizzazione al mendacio non sono emerse a seguito di ulteriori investigazioni, ma nel momento stesso in cui esse sono state apprese dall'operatore di P.G., il quale, peraltro, come affermato nel corso della sua deposizione dibattimentale, era già a conoscenza dell'identità dei due occupanti il ciclomotore oggetto del controllo circostanza, questa, che avrebbe dovuto far assumere al ricorrente la qualifica di indagato, con la conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni dibattimentali del teste Toson, agente in servizio al momento del su indicato controllo di P.G. . Considerato in diritto 1. Il ricorso va accolto, sia pure per ragioni diverse da quelle ivi prospettate. 2. Preliminarmente, deve richiamarsi il principio, più volte affermato in questa Sede, secondo cui nel giudizio di cassazione è rilevabile d'ufficio, quindi anche in assenza di uno specifico motivo di ricorso, la sussistenza della causa di non punibilità di chi ha commesso uno dei reati contro l'amministrazione della giustizia specificamente indicati dalla legge, e tra questi, come nel caso di specie, il reato di favoreggiamento personale, per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore da ultimo, v. Sez. 6, n. 9727 del 18/02/2014, dep. 27/02/2014, Rv. 259110 . 3. Dalla motivazione della decisione impugnata risulta a che all'esito di un ordinario controllo di polizia l'agente in servizio ha immediatamente riconosciuto due persone a bordo di un ciclomotore, in quanto già note alle forze dell'ordine per essere state più volte identificate il Dantino si trovava alla guida, in compagnia dell'Anelli, sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno in Milano sin dal 31 marzo 2006 - in seguito aggravata con obbligo di presentazione imposto dal Tribunale di sorveglianza di Milano - e di fatto resosi irreperibile dal 3 novembre 2008 b che in quel frangente, chieste al Dantino informazioni circa l'identità della persona che trasportava, egli ha risposto di non conoscerla bene, avendola incontrata solo da qualche settimana, e di sapere che il suo nome era Simone , mentre i due in realtà si conoscevano da tempo, poiché erano stati già identificati assieme in occasione di due precedenti controlli c che l'Anelli, colpito da nota di rintraccio in quanto sottoposto alla su indicata misura di prevenzione personale, veniva contestualmente tratto in arresto per il reato di cui all'art. 9, commi 2 e 3, della I. n. 1423/1956. 4. Costituisce, invero, frutto di un pacifico orientamento di questa Suprema Corte il principio secondo cui, in tema di favoreggiamento personale, la causa di esclusione della punibilità prevista per chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso, o un prossimo congiunto, da un grave e inevitabile nocumento alla libertà personale o all'onore opera anche nelle ipotesi in cui il soggetto agente abbia reso mendaci dichiarazioni per evitare un'accusa penale a proprio carico Sez. 6, n. 37398 del 16/06/2011, dep. 17/10/2011, Rv. 250878 v., inoltre, Sez. 3, n. 45444 del 25/06/2014, dep. 04/11/2014, Rv. 260744 . Si è in tal senso affermato Sez. 6, n. 37398 del 16/06/2011, dep. 17/10/2011, cit. che, quando la libertà personale che il soggetto agente tutela, compiendo un favoreggiamento personale a beneficio di un terzo, sia rappresentata dall'esigenza di evitare un'accusa penale, cioè un procedimento penale o soltanto delle indagini penali nei propri confronti, l'interesse di libertà che egli persegue si immedesima, senza soluzione di continuità temporale e ideativa, nell'esercizio dell'inviolabile diritto di difesa. Diritto e valore di rango costituzionale art. 24, comma secondo, Cost. , al pari di quello incarnato dalla non fuorviata e giusta amministrazione della giustizia ex artt. 111 e 112 Cost. . Se il diritto di difesa costituisce, dunque, il paradigma di apprezzamento del bene della libertà individuale che il favoreggiatore cerca di salvaguardare con la propria condotta antigiuridica art. 378 c.p. , è evidente che nella situazione data - stato di prolungata irreperibilità e arresto in flagranza del soggetto ricercato e trasportato dal ricorrente al momento del controllo di polizia, cui ha fatto immediatamente seguito la richiesta di informazioni rivolta nei suoi confronti - l'agire in modo conforme alla legge avrebbe comportato la ragionevole possibilità di un'accusa contro sè stesso, in contrasto con il principio nemo tenetur se detegere , senza che rilevi la circostanza che avrebbero potuto delinearsi altre e diverse possibilità difensive arg. ex Sez. 6, n. 44743 del 30/09/2003, dep. 20/11/2003, Rv. 227332 , costituendo le dichiarazioni parzialmente mendaci da lui rese in quel frangente un tentativo di sottrarsi al pericolo di una possibile ed imminente incriminazione legata alle vicende inerenti alla realizzazione del reato presupposto. 5. Dalle su esposte considerazioni, dunque, discende la declaratoria di non punibilità dell'imputato ex art. 384, comma 1, c.p., con il conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.