Università finta, rettore fasullo, lauree di carta straccia ai ‘vip’: legittimo parlare di beffa

Crollano definitivamente le accuse mosse da uno dei personaggi coinvolti nella assurda vicenda, e relative a due ‘pezzi’ pubblicati da ‘L’Espresso’. Resoconto giornalistico veritiero, e assolutamente inattaccabile corretto parlare di ‘vip’ beffati, alla luce del loro coinvolgimento come vittime della truffa messa in piedi dal rettore fittizio.

Università ‘tarocca’, rettore fasullo tutto regolare, almeno in Italia Ma a rendere la vicenda più appetitosa – per i media, e quindi per il popolo – è il coinvolgimento di alcune ‘very important people’, omaggiate con lauree – rigorosamente fittizie – honoris causa . Ricetta perfetta per stampa e televisioni, con tutti gli ingredienti giusti per il ‘notizione’, carico anche di sarcasmo. A lamentarsi, per due articoli pubblicati da ‘L’Espresso’, è, però, proprio uno dei ‘vip’ coinvolti, risentitosi per il carattere diffamatorio, a suo dire, dei ‘pezzi’, laddove egli, sempre a suo dire, viene identificato come persona cascata nella grande trappola” e beffata” dal rettore fasullo. Tale visione, però, viene considerata erronea il resoconto giornalistico era assolutamente veritiero, e, soprattutto, privo di ogni maliziosa allusione” alle figure dei ‘vip’ rimasti coinvolti nella vicenda Cassazione, sentenza n. 52261, sez. V Penale, depositata oggi . Honoris causa. Notevole il clamore mediatico – nei primi mesi del 2012 – per la assurda vicenda relativa a una Università – la Giovanni Paolo I – rivelatasi finta come una banconota da 2 euro, guidata da un rettore fittizio – Luciano Ridolfi –, eppure capace di ‘catturare’ diversi personaggi del mondo dello spettacolo e della politica nazionale, con riconoscimenti honoris causa , tra gli altri, a Ezio Greggio, Lino Banfi e Rocco Buttiglione. Tutta carta straccia, ovviamente, le diverse lauree conferite. Inevitabili i richiami giornalistici a concetti come ‘truffa’ e ‘beffa’, e inevitabili – esemplari i due ‘pezzi’ pubblicati da ‘L’Espresso’ – anche le citazioni dei diversi ‘vip’ finiti nella ‘rete’ di Ridolfi. A prenderla con poca ironia è uno dei protagonisti involontari della vicenda, Ezio Greggio, il quale, addirittura, sostiene la tesi della natura diffamatoria dei resoconti giornalistici, concretizzatasi, a suo dire, nella ridicolizzazione della sua persona , indicata come soggetto che sarebbe cascato nella grande trappola e sarebbe stato beffato da Ridolfi, e che quindi sarebbe stato dipinto come ingenuo e meritevole di essere apertamente dileggiato e deriso . Beffa. Ma l’ottica adottata da Greggio viene ritenuta eccessiva su questo punto, non a caso, i giudici della Cassazione, condividendo quanto deciso dal Tribunale di Roma, sgomberano il campo da ogni ipotesi di diffamazione . Nessun appunto è possibile muovere, in sostanza, ai due ‘pezzi’, soprattutto perché è evidente la legittimità dell’utilizzo del termine ‘truffa’, alla luce delle cerimonie di conferimento dei fittizi titoli accademici e della indebita utilizzazione del nome di personaggi famosi per accreditare il finto ateneo . Su quest’ultimo punto, in particolare, evidenziano i giudici, il resoconto giornalistico ha definito vittime della truffa le persone che si sono viste assegnare l’onorificenza a loro insaputa , come avvenuto per Ezio Greggio. È evidente, quindi, sottolineano i giudici, che non vi è alcuna maliziosa allusione ad un ipotetico coinvolgimento diretto di Greggio – qualificato come vittima – nelle attività del Ridolfi . E tale valutazione, concludono i giudici, non è modificabile alla luce dei titoli dei due ‘pezzi’, ossia La casta beffata dal falso rettore” e Che truffa di rettore”, che rispecchiano in termini veritieri il coinvolgimento effettivo di numerosi personaggi della vita politica e sociale dell’Italia.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 novembre – 16 dicembre 2014, n. 52261 Presidente Savani – Relatore de Marzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 13/06/2014 il G.i.p. del Tribunale di Roma ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di E.F. perché il fatto non costituisce reato e nei confronti di B.M. perché il fatto non sussiste. Al F. era stato contestato il reato di cui agli artt. 81, comma primo, e 595, commi primo, secondo e terzo cod. pen. capo a e il reato di cui agli artt. 595, comma terzo, 13 I. n. 47 del 1948 capo b , perché, quale autore dell'articolo La casta beffata dal falso rettore, diffuso il 21/03/2012 sul sito internet del settimanale L'Espresso, e dell'articolo Che truffa di rettore, pubblicato il giorno seguente sul settimanale L'Espresso, aveva offeso la reputazione di E.G., individuandolo quale presunta vittima di una truffa posta in essere da L.R., sedicente rettore dell'Università Giovanni Paolo I, il quale aveva organizzato falsi corsi di laurea e conferito false lauree honoris causa a personaggi famosi, e ciò nonostante che il G. non avesse preso parte ad alcun corso di laurea né ricevuto alcuna onorificenza da tale università al M. era stato contestato il reato di cui agli artt. 57, 595, commi primo, secondo e terzo, 13 I. n. 47 del 1948, per avere, in qualità di direttore responsabile del settimanale L'Espresso, omesso di esercitare il controllo diretto ad evitare la commissione di reati, consentendo la pubblicazione dell'articolo di cui al capo b capo c . 2. Nell'interesse del G. è stato presentato ricorso per cassazione, con il quale si lamenta assenza di motivazione o manifesta illogicità della stessa, anche sotto il profilo del travisamento della prova, con riferimento alla ritenuta sussistenza della scriminante del diritto di cronaca. In particolare, si rileva che la sentenza impugnata ha omesso di considerare il passaggio dell'articolo che assumeva natura diffamatoria, perché consisteva nella ridicolizzazione della figura della persona offesa, indicata come soggetto che sarebbe cascato nella grande trappola del R. e sarebbe stato beffato da quest'ultimo, come era confermato dal titolo dell'articolo. Nel ricorso si aggiunge a che il G. era individuato nell'articolo come novello cattedratico ordinario e non come cattedratico ordinario ad honorem , in tal modo inducendo i lettori a ritenere che il primo fosse un vero e proprio docente dell'università se non correo del R., in quanto consapevole di tenere lezioni in un finto ateneo b che in ogni caso, si forniva una notizia falsa, ossia che anche il G. fosse stato ingannato dal R., in tal modo presentandolo come un ingenuo meritevole di essere apertamente dileggiato e deriso. Considerato in diritto 1. II ricorso è infondato. La sentenza prende in esame la questione dell'espressione truffa ciò che esclude la lamentata carenza di motivazione e soprattutto, con argomentazioni che non palesano alcuna manifesta illogicità, coglie il significato della stessa non solo nella consapevole partecipazione alle cerimonie di conferimento dei fittizi titoli accademici, ma anche nell'indebita utilizzazione del nome di personaggi famosi per accreditare il finto ateneo. A pag. 4 della decisione impugnata si legge, infatti, che l'attività truffaldina del R. si era manifestata tanto nel far comparire i vip, che era riuscito a persuadere, alle sue iniziative', quanto millantando con forme pubbliche quale la pubblicazione sul sito internet l'avvenuto conferimento di incarichi accademici ad altri soggetti, che viceversa - come E.G. - tali proposte avevano rifiutato e che pertanto della colossale e clamorosa truffa risultavano vittime, in quanto inconsapevolmente ma effettivamente dalla stessa danneggiati mediante spendita del loro nome . Tale ricostruzione trova conferma proprio nel brano, presente in entrambi gli articoli, in cui ci si riferisce alle vittime della truffa anche con riguardo a quanti si siano visti decretare l'onorificenza a loro insaputa. Proprio tale puntualizzazione esclude in radice che dal mero riferimento al G. come cattedratico ordinario - e il virgolettato si rinviene nello stesso articolo - possa trarsi ragionevolmente la conseguenza di una maliziosa allusione ad un coinvolgimento diretto dello stesso nelle attività del R., esclusa dal medesimo capo di imputazione, che coglie il carattere diffamatorio degli articoli nell'avere presentato l'odierno ricorrente come vittima della truffa ordita dal R. e non certo come correo. Né il reato contestato può ritenersi sussistente in ragione del titolo, notoriamente non di pertinenza dell'autore dell'articolo, e che comunque, anche nella versione diffusa sul sito internet La casta beffata dal falso rettore rispecchia in termini veritieri il coinvolgimento effettivo di numerosi personaggi della vita politica e sociale, senza alcuno specifico riferimento al ricorrente. 2. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.