L’accesso abusivo ad un sistema informatico non è scriminato dall’esercizio di un diritto

In tema di reati informatici, e segnatamente del delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico, previsto e punito dall’art. 615 ter, c.p., tale reato non è scriminato dall’esercizio di un asserito diritto”, ai sensi dell’art. 51 dello stesso codice. Invero, il diritto che scrimina è quello che attribuisce al soggetto il potere di agire per la sua soddisfazione, sacrificando gli altri interessi con esso contrastanti. E’ necessario, però, che l’attività posta in essere costituisca corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto, e non trasmodi in aggressioni della sfera giuridica altrui, che sia estranea al campo applicativo del diritto azionato.

Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 52075, depositata il 15 dicembre 2014. L’accesso abusivo al sistema informatico L’abusiva intrusione o l’indebita permanenza nel collegamento con i sistemi informatici, contro la volontà espressa dell’avente diritto – per tale dovendosi intendere anche una persona giuridica, cioè una società di capitali, non solo una persona fisica – comporta la lesione dell’interesse specificamente tutelato dall’art. 615 ter, c.p., consistente nella riservatezza del domicilio informatico, inteso come luogo informatico” in cui la persona o l’ente agisce ed estrinseca la sua personalità. L’accesso abusivo può ottenersi, fra gli altri modi, sottraendo con l’inganno la password, i codici cliente, i numeri di carte di credito e quant’altro consente d’accedere al domicilio informatico della vittima, ad esempio per prelevare indebitamente denaro da un conto corrente. Tutte le predette credenziali di accesso sono state considerate dal legislatore alla stregua di qualità personali riservate, in quanto identificatrici della persona”, nella duplice considerazione che le misure di sicurezza costituiscano il presupposto irrinunciabile del nostro moderno operare per via telematica e, inoltre, che la condotta del cercare di varcare abusivamente la soglia di protezione d’un sistema informatico o telematico – possedendone indebitamente le chiavi, appunto – sia fonte di pericolo da reprimere nella misura più drastica, quindi in via anticipata. Viene punito, perciò, colui che si procuri in modo illecito le credenziali di autenticazione e d’accreditamento atte a rendere inefficaci quelle misure di sicurezza, rischiando di pregiudicare con ciò stesso integrità, riservatezza e disponibilità dei dati. Tale contegno detentivo serbato acquisendo chiavi d’accesso, codici e login tramite un e-mail di spoofing o un sito mascherato” costituisce – come detto – il prodromo di altro delitto, quello punito dall’art. 615 ter c.p., relativo all’accesso al sistema da parte di persone non autorizzate. Accanto all’ipotesi di accesso abusivo al sistema informatico, altra figura di notevole attualità è quella di cui all’art. 617 sexies c.p., diretto a reprimere la condotta di colui che, ledendo i diritti della persona e l’inviolabilità dei segreti, formi in tutto o in parte una comunicazione telematica, o la alteri o sopprima. Il delitto, inserito nel codice penale con la legge n. 547/1993, è perseguibile d’ufficio, a condizione che il colpevole faccia uso dell’atto falso, oppure lasci che altri ne faccia uso. La struttura della norma è sostanzialmente identica a quella di cui all’art. 485 c.p. falsità in scrittura privata , con il necessario adeguamento dell’oggetto materiale attinto dalla condotta del reo, che deve consistere nel contenuto di talune delle comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti fra più sistemi. Il fatto, peraltro, può venir aggravato dalla circostanza speciale di cui al quarto comma dell’art. 617 quater c.p., nell’ipotesi in cui ricorra un danno ad un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente un servizio di pubblica necessità. e la violazione di corrispondenza. Il reato di accesso abusivo al sistema informatico può facilmente essere collegato alla fattispecie di violazione di corrispondenza elettronica e-mail , mediante l’utilizzo abusivo di credenziali di accesso al relativo servizio di posta. A tal proposito, l’art. 616 c.p., secondo comma, prevede una ipotesi scriminante, consistente nella giusta causa di rivelazione del contenuto di corrispondenza riservata. Secondo la giurisprudenza di legittimità, la produzione processuale di documenti ottenuti illecitamente, tramite la lesione di un diritto fondamentale, può essere scriminata per giusta causa soltanto quando costituisca l'unico mezzo a disposizione per contestare le pretese della controparte e l'imputato riesca a dar prova della circostanza. Caso tipico è quello di colui che sottragga la corrispondenza bancaria inviata al coniuge per produrla nel giudizio civile di separazione in tal caso, non sussiste la giusta causa di cui all'art. 616, comma 2, c.p., la quale presuppone che la produzione in giudizio della documentazione bancaria sia l'unico mezzo a disposizione per contestare le richieste del coniuge-controparte. Tale unicità del mezzo non sussiste, considerato che, ex art. 210 c.p.c., il giudice, può, ad istanza di parte, ordinare all'altra parte o ad un terzo, l'esibizione di documenti di cui ritenga necessaria l'acquisizione al processo. La nozione penalmente scriminante di giusta causa è dunque affidata al concetto generico di giustizia, che la locuzione stessa presuppone, e che il giudice deve determinare di volta in volta con riguardo alla liceità - sotto il profilo etico e sociale - dei motivi che determinarono il soggetto ad un certo atto o comportamento.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 ottobre – 15 dicembre 2014, n. 52075 Presidente Dubolino – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Cremona, con sentenza confermata dalla Corte di appello di Brescia in data 3/10/2013, all'esito di giudizio abbreviato, ha condannato L.A. , dottore commercialista, per i reati di cui agli artt. 615-ter e 616 cod. pen., unificati dal vincolo della continuazione, per aver acceduto abusivamente alla casella di posta elettronica dell'avv. B.S. , sua collega di studio, prendendo cognizione di alcune e-mail inviate alla professionista o da lei spedite, nonché per aver inoltrato al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Cremona una delle e-mail suddette scritte dall'avv. B. e da questa inviate al prof. L.F. di , in cui si facevano pesanti apprezzamenti sugli avvocati e sui magistrati del foro di . 2. Non essendovi contestazione sui fatti materiali, il Tribunale e la Corte d'appello hanno formulato il giudizio di condanna a carico dell'imputato disattendendo la tesi difensiva, fondata sull'applicazione dell'art. 51 cod. pen Ad avviso dell'imputato, infatti, le condotte addebitategli devono ritenersi scriminate dall'esercizio del diritto, siccome funzionali alla sua difesa processuale nell'ambito di un procedimento penale - che lo vedeva imputato di appropriazione indebita - promosso dall'avv. B. . L'accesso al sistema informatico era servito, in tale contesto, a conoscere e disvelare i rapporti tra l'avv. B. e il dr. C.G. , notaio in e testimone a suo carico nel procedimento penale suddetto, mentre l'inoltro della e-mail al prof. L. era stata determinata da un impulso di carattere etico . I giudici di merito, andando di contrario avviso, hanno ritenuto inoperante la scriminante suddetta, stante la preclusione posta dall'art. 391-bis alle indagini difensive, ed hanno ritenuto integrato il reato di violazione della corrispondenza per il nocumento derivato all'avv. B. dall'inoltro della e-mail al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di . A confutazione della tesi difensiva, i giudici hanno rimarcato che anche altre e-mail, scaricate dalla posta elettronica di B. e inviate da L. ad altri soggetti, non erano funzionali alla tesi sostenuta tali alcune istanze di accertamento per adesione avanzate da B.I. padre di B.S. per gli anni 2003-2004-2005 ed inviate da B.S. a studi professionali, nonché corrispondenza in materia fiscale scambiata dalla stessa B. con un collega, inopinatamente inoltrate da L. alla Procura della Repubblica di quattro messaggi di posta elettronica spediti tramite l'account della B. ad altrettanti studi professionali. 3. Contro la sentenza suddetta ha proposto personalmente ricorso per Cassazione l'imputato con cinque motivi. 3.1. Col primo censura la sentenza per violazione di legge, in considerazione del mancato riconoscimento della scriminante dell'art. 51 cod. pen Il ricorrente ribadisce in questa sede che tutta l'attività spiegata sulla posta elettronica della B. era funzionale alla sua difesa nel procedimento penale che lo riguardava, in quanto - la trasmissione alla Procura della repubblica di Cremona della documentazione riguardante B.I. gli era servita a far conoscere al Pubblico Ministero procedente l'esistenza di rapporti tra la B. e l'avv. M. e la rag. S. , entrambi testimoni nel processo a suo carico. Inoltre, altre e-mail provavano la macchinazione della B. a suo danno in questo senso, la e-mail spedita dall'avv. G.M. il 27/3/2007 , ovvero il fatto che B. non gli aveva mai affidato del denaro per pagamento delle imposte tale la e-mail del 15/9/2008 - i quattro messaggi di posta elettronica da lui spediti ad altrettanti studi professionali, tramite l'account della B. , erano privi di contenuto, trattandosi di messaggi generati automaticamente dal sistema per dare avviso - al mittente - dell'avvenuta lettura da parte del destinatario - la trasmissione al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Cremona della e-mail inviata dalla B. al prof. L. era avvenuta in adempimento di un obbligo giuridico, stante la violazione dei doveri professionali da parte dell'avv. B. , consumata col qualificare negativamente i colleghi ed i magistrati del foro di - l'accesso al sistema informatico della B. era stato l'unico modo per conoscere gli stretti rapporti tra la B. e il notaio C. , dal momento che egli non ne immaginava l'intensità e dal momento che nemmeno il Pubblico Ministero avrebbe potuto avere accesso all'account della B. , non essendo indagati - sia la B. che il C. - nel procedimento penale che lo riguardava - anche la documentazione di carattere fiscale prelevata dall'account della B. e da lui trasmessa al Pubblico Ministero di Cremona serviva a disvelare gli stretti rapporti, anche di natura professionale, esistenti tra B. e C. - non era a conoscenza, quando effettuò l'accesso all'account della B. , delle intenzioni del Pubblico Ministero assegnatario del procedimento a suo carico, posto che lo aveva rinviato a giudizio per l'appropriazione di 500.000 Euro, laddove il Giudice delle indagini preliminari aveva sollevato dubbi solo su un assegno di 10.000 Euro, che risultava a lui consegnato dalla B. , e per il quale aveva formulato ordine di procedere. 3.2. Col secondo lamenta violazione dell'art. 616 cod. pen., non essendosi tenuto conto che la trasmissione al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Cremona della e-mail contenente il giudizio negativo sopra specificato era avvenuta per giusta causa . 3.3. Col terzo lamenta, ancora una volta, violazione dell'art. 616 cod. pen., per essere stata affermata la sua responsabilità in mancanza di un elemento della fattispecie vale a dire, il danno per la B. , che era stata convocata dal Consiglio dell'Ordine degli avvocati senza essere sanzionata. Oltretutto, aggiunge, la B. non poteva essere screditata dalla missiva, visto che aveva, all'epoca, più procedimenti penali a carico. 3.4. Col quarto si duole della eccessività della pena, determinata in violazione dei criteri posti dall'art. 133 cod. pen 3.5. Col quinto si duole della mancata concessione, da parte del giudice d'appello, della sospensione condizionale della pena in considerazione dei precedenti penali, sebbene il Tribunale avesse ritenuto possibile, in motivazione e nel dispositivo letto in udienza, la concessione del beneficio. Lamenta, inoltre, la violazione dell'art. 163 cod. pen., in quanto la sospensione è stata negata per il superamento - supposto - dei limiti quantitativi stabiliti dalla norma suddetta, sebbene la pena precedentemente inflitta fosse stata in parte condonata. Considerato in diritto Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento. 1. La tesi che l'accesso abusivo ad un sistema informatico protetto sia scriminato dall'esercizio di un diritto , allorché l'accesso faccia comodo all'agente per carpire dati utili alla sua difesa in giudizio, si fonda su una lettura personalistica e distorta della norma penale - nella specie, dell'art. 51 cod. pen. - e sulla assunzione di un concetto onnivoro del diritto di difesa, che non trova riscontro nella tradizione giuridica italiana ed Europea ed è disatteso dalla disciplina positiva delle investigazioni difensive. In realtà, per unanime interpretazione della dottrina e della giurisprudenza, il diritto che scrimina è quello che, quale che sia il suo posto tra le situazioni giuridiche soggettive diritto, diritto potestativo, potestà, facoltà , attribuisce al soggetto il potere di agire per la sua soddisfazione, sacrificando gli altri interessi con esso contrastanti. È necessario, però, che l'attività posta in essere costituisca corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto e non trasmodi in aggressioni della sfera giuridica altrui, che sia estranea al campo applicativo del diritto azionato. Nella specie, il diritto di difesa in giudizio si compendia in una serie di diritti e facoltà disciplinati dall'ordinamento positivo, nessuno dei quali autorizza intromissioni nella sfera giuridica delle controparti processuali o di altri soggetti processuali, né l'esercizio di poteri autoritativi riservati agli organi pubblici. Il richiamo dell'art. 51 cod. pen. è, pertanto, decisamente errato. Né l'attività posta in essere dall'imputato può essere ricondotta al paradigma delle investigazioni difensive, sia perché tale attività è riservata al difensore e non all'imputato , sia perché la stessa deve arrestarsi di fronte agli ambiti di esclusivo dominio privato, come dimostrato dalla previsione dell'art. 391-sexies cod. proc. pen 2. La giusta causa invocata dal ricorrente, che avrebbe reso legittimo l'inoltro al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Cremona della e-mail carpita abusivamente dalla posta elettronica della persona offesa, è, nella specie, insussistente. In materia di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, la nozione di giusta causa, alla cui assenza l'art. 616 secondo comma cod. pen., subordina la punibilità della rivelazione del contenuto della corrispondenza, non è fornita dal legislatore ed è dunque affidata al concetto generico di giustizia, che la locuzione stessa presuppone, e che il giudice deve pertanto determinare di volta in volta con riguardo alla liceità - sotto il profilo etico e sociale - dei motivi che determinano il soggetto ad un certo atto o comportamento Cass., n. 8838 del 1/10/1997 . Nel caso concreto, nessuna norma giuridica, etica o sociale autorizza la propalazione di notizie ottenute invadendo la sfera privata altrui che sia la posta, il domicilio, il luogo di lavoro o altro luogo in cui si svolge la personalità umana per ristabilire un principio morale offeso , ovvero per consentire la punizione di un comportamento ritenuto - dall'autore -genericamente disdicevole o contrario a regole giuridiche, deontologiche o morali, giacché non è consentito a chiunque, nell'attuale contesto culturale e ordinamentale, farsi giudice dei comportamenti altrui, specie se l'asserita ansia di giustizia origina dall'avversione nutrita verso una controparte processuale. Conseguentemente, nessun obbligo di segnalazione o di denuncia è posto dall'ordinamento a carico del privato che sia venuto, anche accidentalmente ma non è il caso , a conoscenza di notizie siffatte. Destituite di fondamento sono anche le doglianze relative all'assenza di nocumento per l'avv. B. , sia perché - come rilevato dai giudici di merito - la diffusione, in ambito forense, di giudizi immotivatamente negativi su giudici e avvocati del foro frequentato dalla B. ha procurato a quest'ultima un sicuro personale discredito, sia perché il nocumento cui si riferisce l'art. 616/2 cod. pen. non riguarda solo la persona del mittente, ma anche quella del destinatario e degli eventuali terzi danneggiati. Nella specie, non v'è dubbio che la missiva abbia colpito anche i giudici e gli avvocati cui la B. si riferiva nei suoi giudizi trancianti. Nessun rilievo assume, pertanto, il fatto la B. non sia stata sanzionata dal Consiglio dell'Ordine di appartenenza. Quanto, poi, all'esclusione della possibilità di nocumento per la B. , in considerazione dei procedimenti penali pendenti a suo carico, siamo di fronte ad un corto circuito logico, che esime, per la sua evidenza, da ogni necessità di confutazione. 3. Il motivo sull'entità della pena è inammissibile, risolvendosi nella astratta lamentela sulla eccessività della pena, senza alcun apprezzamento dei fatti e senza tener conto della personalità dell'imputato, che, invece, i giudici di merito hanno adeguatamente valorizzato, ponendoli a base del trattamento sanzionatorio. Nella specie, i giudici hanno tenuto conto della prolungata attività di accesso abusivo alla posta elettronica altrui e di divulgazione a terzi di svariate comunicazioni destinate a rimanere riservate, mostrando di aver adeguatamente apprezzato i fatti di causa e le conseguenze che da essi sono derivate, mentre la personalità e i motivi dell'agire sono stati valorizzati per la concessione delle attenuanti generiche. Trattasi di motivazione ampia, congrua e logica che fa puntuale applicazione dei criteri che, ai sensi dell'art. 133 cod. pen., devono guidare il giudice nella commisurazione del trattamento sanzionatorio. 4. Anche l'ultimo motivo - concernente la sospensione condizionale della pena - è infondato. Il beneficio è stato, infatti, concesso dal giudice di primo grado vedi dispositivo letto in udienza , nonostante, per errore materiale, non si faccia menzione dello stesso nel dispositivo della sentenza-documento ma se ne parla in motivazione . Il giudice d'appello ha confermato la decisione del Tribunale, per cui ha confermato anche la sospensione condizionale della pena da questi disposta nonostante in motivazione si argomenti il contrario . Nessuna motivo ha, pertanto, il ricorrente di dolersi di una omissione che può essere corretta con la procedura dell'errore materiale salvo, in ogni caso, la possibilità di revoca del beneficio in sede esecutiva . 5. Consegue a tanto che il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.