Stop all’imbarbarimento del linguaggio: condannato per la parola ‘scemo’

Confermata la pronunzia del Giudice di pace nessun dubbio sulla valenza negativa del termine utilizzato nei confronti di una persona. Irrilevante il richiamo all’abitudine a un linguaggio volgare, che, comunque, non toglie valenza negativa a determinate parole.

Scorrono veloci i decenni, cambiano i costumi – in peggio o in meglio, fate voi – e si modifica anche il linguaggio, includendo neologismi improponibili tempo addietro e parole ‘vietate’ sino a qualche anno fa ma tutto ciò, a volte, può essere cancellato con poche righe. Esemplare la pronunzia con cui è stata confermata la condanna di un uomo per il reato di ingiuria fatale l’aver additato una persona – un pubblico ufficiale – come scemo” Cass., sent. n. 52082/14, Quinta Sezione Penale, depositata oggi . Linguaggio. Dal vocabolario ‘Treccani’ è facile recuperare il significato della parola ‘scemo’, con cui viene identificato un soggetto scarso d’intelligenza, stupido, sciocco”. Allo stesso tempo, dalla vita quotidiana è altrettanto semplice desumere come la parola ‘scemo’ sia probabilmente la meno offensiva tra quelle utilizzate quasi in automatico, magari in un litigio, oppure in uno ‘scontro’ verbale a un semaforo. Proprio per questo, l’uomo condannato dal Giudice di pace per il reato di ingiuria chiede ai giudici della Cassazione di rivedere quella decisione, tenendo presente come il termine ‘scemo’ non possa avere valenza ingiuriosa, ai sensi della legge penale . Obiezione inutile, però, almeno per i giudici del ‘Palazzaccio’, i quali confermano la condanna, ricordando – forse, indirettamente, anche ai cittadini italiani – che le frasi volgari e offensive sono idonee a integrare gli estremi del reato di oltraggio anche se siano divenute di uso corrente in particolari ambienti , perché l’abitudine al linguaggio volgare e genericamente offensivo, proprio di determinati ceti sociali, non toglie alle dette frasi la loro obiettiva capacità di ledere , in questo caso, il prestigio del pubblico ufficiale, con danno della pubblica amministrazione da esso rappresentata .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 10 novembre – 15 dicembre 2014, n. 52082 Presidente Dubolino – Relatore Demarchi Albengo Ritenuto in fatto 1. P.D., imputato dei reati di cui agli articoli 612 e 594 del codice penale, commessi nei confronti di Perugini Francesco, è stato condannato dal giudice di pace di Ancona per il reato di ingiuria ed assolto per quello di minaccia. 2. Contro la predetta sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato per erronea applicazione di legge, nonché vizio di motivazione, in merito al riconoscimento della fattispecie delittuosa di cui all'articolo 594 cod. pen. la motivazione sarebbe contraddittoria perché la condanna si fonda sulle dichiarazioni della persona offesa che sono state ritenute inattendibili per quanto riguarda il reato di cui all'articolo 612 cod. pen Lamenta, poi, che non sia stata ritenuta la scriminante della provocazione e contesta che il termine scemo abbia valenza ingiuriosa ai sensi della legge penale. Considerato in diritto 1. Il ricorso é infondato per quanto riguarda la prima censura, è sufficiente precisare che la valutazione frazionata dell'attendibilità del teste persona offesa è stata giustificata con il fatto che sull'ingiuria - intesa come dato di fatto oggettivo - vi è stata l'ammissione dell'imputato, mentre per quanto riguarda le minacce non vi è stato alcun riscontro. 2. Quanto alla concessione della scriminante della provocazione, non può certo ritenersi tale il mancato raggiungimento di un accordo transattivo, di cui peraltro non si dice nemmeno a chi dei due contendenti sia addebitabile e per quale motivo rendendo, pertanto, sul punto il ricorso aspecifico . 3. Infine, quanto alla natura ingiuriosa della parola scemo , occorre ricordare che Le frasi volgari e offensive sono idonee a integrare gli estremi del reato di oltraggio anche se siano divenute di uso corrente in particolari ambienti perché l'abitudine al linguaggio volgare e genericamente offensivo proprio di determinati ceti sociali non toglie alle dette frasi la loro obiettiva capacità di ledere il prestigio del pubblico ufficiale, con danno della pubblica amministrazione da esso rappresentata nella fattispecie era stata ritenuta oltraggiosa la frase vieni qui scemo, cretino cfr. Sez. 6, n. 6431 del 25/02/1989, CATALDI, Rv. 181175 . 4. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.