Quando le frasi offensive contenute in un articolo di giornale sono diffamazione?

L’individuazione del soggetto passivo del reato di diffamazione a mezzo stampa, in mancanza di indicazione specifica e nominativa ovvero di riferimenti inequivoci a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto, deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell’offesa, quale si desume anche dal contesto in cui è inserita. Pertanto, non può essere ravvisato il reato di diffamazione qualora vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria, anche limitata, se le persone cui le frasi si riferiscono non sono individuabili.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 51096, depositata il 9 dicembre 2014. Il fatto. Il Tribunale di Catania aveva dichiarato l’imputato responsabile del reato di diffamazione a mezzo stampa poiché, in qualità di commissario del Corpo della Polizia Municipale di Palermo, in un’intervista pubblicata su un quotidiano, con riferimento a presunte irregolarità nella gestione delle sanzioni amministrative contestate agli automobilisti palermitani riferiva non siamo in presenza di errori casuali, sono errori voluti dall’alto . Con ciò offendendo l’onore del comandante del corpo di Polizia Municipale di Palermo e il responsabile del servizio di verbalizzazione del medesimo corpo di Polizia Municipale. Contro tale sentenza proponeva appello l’imputato la Corte d’appello di Catania, ritenendo dolosamente scorretto il comportamento del dichiarante, ha rigettato l’appello e confermato la sentenza impugnata. Contro tale decisione l’imputato propone ricorso in Cassazione censurando la ritenuta insussistenza del diritto di critica sindacabile, come emerge dal contenuto dell’intervista da lui rilasciata in qualità di commissario della Polizia Municipale e, soprattutto, di rappresentante sindacale. Secondo l’imputato, infatti, il contenuto dell’intervista si risolve in una mera denunzia di disorganizzazione, dando atto dell’abnorme numero di ricorsi accolti, rispetto alle elevate contravvenzioni. L’accusa rivolta ai vertici politici e amministrativi, pertanto, non costituisce diffamazione, ma un doveroso intervento nella veste di pubblico impiegato e di delegato sindacale. Reato di diffamazione. Il Collegio ricorda preliminarmente che il reato di diffamazione consiste nell’offesa alla reputazione di un persona determinata e non può essere ravvisato nel caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria, anche limitata, se le persone cui le frasi si riferiscono non sono individuabili. La giurisprudenza sul punto è rigorosa, richiede infatti che l’individuazione del soggetto passivo del reato di diffamazione a mezzo stampa, in mancanza di indicazione specifica e nominativa ovvero di riferimenti inequivoci a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto, deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell’offesa, quale si desume anche dal contesto in cui è inserita. Nessuna indicazione nominativa. Nel caso in esame il labile riferimento consente di individuare categorie eterogenee di presunti responsabili. Ciò consente alla Corte di concludere che, sotto il profilo dell’individuazione dei responsabili delle disfunzioni, la censura contenuta nell’articolo appare assolutamente generica e lontana dai presupposti di affidabile certezza richiesti dalla giurisprudenza, in quanto priva di indicazione nominativa, sia riguardo ai responsabili, sia agli enti o alle strutture specificamente preposte all’istruzione e definizione delle pratiche in oggetto. Per le considerazioni suesposte, la S.C. ha deciso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 settembre – 9 dicembre 2014, n. 51096 Presidente Savani – Relatore Positano Ritenuto in fatto 1. Il difensore di M.G. propone ricorso per cassazione contro la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Catania in data 3 aprile 2013, con la quale è stata confermata la decisione di condanna adottata dal Tribunale di Catania, in data 9 novembre 2010 e avverso l'ordinanza, con la quale è stata rigettata la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. Il Tribunale aveva dichiarato M. responsabile del reato di diffamazione a mezzo stampa, ai sensi degli articoli 595 codice penale e 13 della legge n. 47 del 1948 poiché, in qualità di commissario del Corpo della Polizia Municipale Palermo, in un'intervista pubblicata sul quotidiano La Repubblica , con riferimento a presunte irregolarità nella gestione delle sanzioni amministrative contestate agli automobilisti palermitani, riferiva non siamo in presenza di errori casuali, sono errori voluti dall'alto, è ordinata dall'alto . Con ciò intendendo dire che i vertici del corpo della Polizia Municipale erano responsabili di tali presunte gravi irregolarità e con ciò offendendo l'onore di P.M., Comandante del corpo della Polizia Municipale di Palermo e di L.M.C., responsabile del servizio di verbalizzazione del medesimo corpo di Polizia Municipale. L'imputato veniva condannato, altresì, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, liquidato in via equitativa in euro 10.000, a favore dei comandante, ed in euro 5000, in favore della responsabile del servizio. 2. Avverso la sentenza proponeva appello l'imputato, rilevando che il significato delle dichiarazioni rilasciate era ben diverso, essendosi limitato a registrare l'anomalia rappresentata dal numero molto elevato di ricorsi accolti, a causa del ritardo nell'istruttoria della pratica. Conseguentemente, le dichiarazioni rientravano nel diritto di critica sindacale. Chiedeva la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e, in via gradata, censurava il trattamento sanzionatorio. 3. La Corte d'Appello riteneva infondati tutti i motivi, confermando la sentenza emessa dal Tribunale. 4. Avverso la decisione di secondo grado propone ricorso per cassazione il difensore di M. G., lamentando - violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza del diritto di critica sindacale - vizio di motivazione relativamente all'ordinanza di rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale - violazione di legge in relazione agli articoli 62 bis, 69 codice penale e 13 della legge n. 47 del 1948, in ordine al rigetto del riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche - violazione di legge in ordine alla razionalità dei criteri di liquidazione del danno civile. Considerato in diritto La sentenza impugnata merita censura. 1. La Corte d'Appello dopo aver operato una condivisibile premessa sui presupposti del diritto di critica, ne ha ritenuto insussistenti i presupposti poiché, nonostante la verità della notizia, rappresentata dall'oggettiva presenza di ritardi anomali e reiterati nella trasmissione dei ricorsi, ha sostenuto che l'imputato avesse travalicato i limiti, distorcendo la realtà, attribuendo la causa dei disservizio al comportamento volutamente omissivo delle due parti civili, rappresentate dai vertici della Polizia Municipale di Palermo. Al contrario, continua la Corte territoriale, risulta documentalmente che le parti civili avevano reiteratamente segnalato al Direttore Generale, al Provveditore, all'Economo, al Ragioniere Generale, al Sindaco e al relativo Assessorato i disservizi, rappresentati dalla mancata riscossione delle somme, con conseguente grave pregiudizio erariale. Si apprende che della vicenda si era occupata anche la Corte dei Conti, avviando un'indagine. Era anche stato costituito un gruppo di lavoro, nominato dal Sindaco, al fine di risolvere la questione e tale nucleo era coordinato dalla persona offesa, L.M.C 2. Sulla base di tali elementi la Corte territoriale ha ritenuto dolosamente scorretto il comportamento del dichiarante, il quale avrebbe prospettato, nell'intervista giornalistica, un comportamento inerte o doloso dei vertici a fronte, invece, di un impegno specifico per la risoluzione dei problemi, concretizzatosi nella costituzione di un nucleo ad hoc. 3. Con il primo motivo di ricorso la difesa censura la ritenuta insussistenza del diritto di critica sindacale, come emerge dal contenuto dell'intervista rilasciata dall'imputato, quale commissario della Polizia Municipale, ma soprattutto, nella qualità di rappresentante sindacale. Nell'intervista si dava atto dell'abnorme numero di ricorsi accolti, rispetto alle contravvenzioni elevate e dell'assenza di un'attribuzione nominativa di tale responsabilità, risolvendosi il contenuto dell'intervista in una denunzia di disorganizzazione. Conseguentemente, l'accusa rivolta ai vertici politici e amministrativi dell'organizzazione non costituisce diffamazione, ma un doveroso intervento nella veste di pubblico impiegato e di delegato sindacale. Secondo la difesa, sussistono tutti gli elementi del diritto di critica sindacale e di cronaca in particolare, la veridicità della notizia relativa al numero elevatissimo di contravvenzioni per le quali è intervenuta decadenza, la continenza dell'espressione e la rilevanza della notizia. 4. Con il secondo motivo censura l'ordinanza di rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, relativa all'acquisizione di documenti ed escussione di testi. 5. Con il terzo motivo lamenta il mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, rispetto all'aggravante, operato senza tenere conto del valore della pubblica denunzia della disfunzione, l'assenza di riferimenti personali e la rilevanza dell'attività sindacale svolta. 6. Il primo motivo è fondato. Il reato di diffamazione consiste nell'offesa alla reputazione di una persona determinata e non può essere, quindi, ravvisato nel caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria, anche limitata, se le persone cui le frasi si riferiscono non sono individuabili Sez. 5, Sentenza n. 10307 del 18/10/1993 Rv. 195555 . 7. Nel caso di specie il labile riferimento errori voluti dall'alto è ordinata dall'alto consente di individuare categorie eterogenee di presunti responsabili, peraltro corrispondenti, in parte, ai destinatari delle segnalazioni inviate dalle parti civili, e cioè oltre ai vertici della Polizia Municipale, anche il Sindaco, i referenti dell'Assessorato competente, l'Economo, il Direttore Generale, il Ragioniere, il Provveditore, oltre a tutti coloro che, pur non rivestendo cariche apicali come in effetti la stessa L. , avrebbero potuto ragionevolmente identificarsi con coloro che dall'altro gestiscono e amministrano le procedure di istruzione o riscossione delle sanzioni amministrative conseguenti alle violazioni stradali dei Comune di Palermo. 8. La giurisprudenza sul punto è rigorosa, richiedendo che l'individuazione dei soggetto passivo dei reato di diffamazione a mezzo stampa, in mancanza di indicazione specifica e nominativa ovvero di riferimenti inequivoci a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto, deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell'offesa, quale si desume anche dal contesto in cui è inserita Sez. 5, sentenza n. 2135 del 07/12/1999 Rv. 215476 massime precedenti conformi N. 6507 del 1978 Rv. 139108, N. 8120 del 1992 Rv. 191312, N. 10307 del 1993 Rv. 195555, N. 18249 del 2008 Rv. 239831 . Nei caso di specie risulta documentalmente e non è contestato che il ricorrente non abbia menzionato nell'intervista giornalistica il Comandante dei corpo della Polizia Municipale di Palermo e il responsabile dei servizio di verbalizzazione del medesimo corpo di Polizia Municipale, tanto meno ha individuato un qualche politico o funzionario comunale, limitandosi a rilevare che l'elemento anomalo, costituito dal numero dei ricorsi accolti per ritardi nella procedura di notifica della contestazione o per difetto di controdeduzioni, pari a circa il 70%, non poteva essere casuale, facendo da ciò discendere che si trattava di errori voluti dall'alto . L'accoglimento del 70% dei ricorsi relativi alle sanzioni amministrative rappresentava, come riconosciuto anche dal giudice di secondo grado, un dato oggettivamente abnorme e non contestato dalle persone offese, che non poteva essere attribuito al caso pertanto, il ricorrente ne individuava la ragione nell'insipienza di coloro che avevano la responsabilità politica e amministrativa dei servizi comunali e che, evidentemente, per lungo tempo non avevano adottato gli opportuni accorgimenti organizzativi. La censura contenuta nell'articolo in oggetto appare, sotto il profilo dell'individuazione dei responsabili delle disfunzioni, assolutamente generica lontana dai presupposti di affidabile certezza richiesti dalla giurisprudenza, in quanto priva di indicazione nominativa, sia riguardo ai singoli responsabili, sia agli enti o alle strutture specificamente preposte, per il tramite dei rispettivi funzionari, dirigenti o politici, all'istruzione e definizione delle pratiche in oggetto. 9. Sulla base di tali considerazioni la decisione impugnata va annullata per insussistenza del fatto. 10. Tale statuizione risulta assorbente rispetto ad ogni altra questione prospettata dal difensore del M., con conseguente mancata adozione di provvedimenti riguardo alle spese della costituita parte civile. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.