Spaccio: per il piccolo “commerciante” non ci può essere una grande pena

In caso di spaccio di sostanze stupefacenti, non può essere considerato irrilevante il parametro quantitativo della droga venduta, ai fini della concessione dell’attenuante prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 50842, depositata il 3 dicembre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Catania condannava un imputato per aver illecitamente detenuto, a fini di spaccio, 9,5 g di eroina. L’uomo ricorreva in Cassazione, deducendo l’illogicità della motivazione riguardo alla destinazione della droga allo spaccio. La Cassazione rileva che, in sede di appello, l’imputato aveva contestato il mancato riconoscimento dell’attenuante prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 per fatti di lieve entità. Anche se questo motivo non era stato riproposto in sede di cassazione, i giudici di legittimità ritengono che si tratti di una questione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo e, quindi, sottoponibile al loro giudizio. Parametro quantitativo. Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva basato la propria decisione su elementi come la modalità di occultamento della droga all’interno della bocca ed il possesso del bilancino di precisione. Si trattava di condizioni che apparivano unicamente funzionali alla dimostrazione della destinazione della droga allo spaccio. Tuttavia, la quantità in possesso del ricorrente era minima, in quanto da essa si potevano ricavare circa quattro dosi. E la Corte sottolinea che il parametro quantitativo che è quello maggiormente significativo per individuare la lesione dell'interesse protetto non è quindi superato dalla ricorrenza di parametri sussidiari tali da determinare un non trascurabile allarme sociale e la valutazione globale in ordine alla portata dell'offensività per la collettività del fatto contestato , e quindi è tale da far ritenere appunto la sussistenza dell'ipotesi di minore gravità . Perciò, la Cassazione riqualifica il fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 e rimanda la decisione alla Corte d’appello di Catania, che dovrà anche tener conto degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014 e dei successivi interventi normativi in materia di sostanze stupefacenti.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 settembre – 3 dicembre 2014, n. 50842 Presidente Bianchi – Relatore Ciampi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 9 novembre 2012 la Corte d'Appello di Catania, in parziale riforma della sentenza emessa dal GIP presso il Tribunale di Catania in data 21 maggio 2010 appellata dall'imputato B.G., escluso l'aumento della contestata recidiva, riduceva la pena inflitta ad anni quattro di reclusione ed € 18.000,00 di multa. Il B. era stato ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 73 comma Ibis del d.P.R. n. 309 del 1990 per aver illecitamente detenuto al fine di spaccio gr. 9,5 di eroina 2. Avverso tale decisione ricorre personalmente il B. deducendo la violazione di legge e la mancanza, insufficienza e/o manifesta illogicità della motivazione quanto alla destinazione allo spaccio della sostanza in sequestro Considerato in diritto 3. Osserva la Corte al B. è stata contestata la detenzione al fine di spaccio di gr. 9,5 di eroina, con un principio attivo pari a gr. 0,997, da cui potevano ricavarsi circa quattro dosi. In sede di appello l'imputato ha espressamente contestato il mancato riconoscimento dell'ipotesi di cui all'art. 73, comma 5 del d.P.R. n. 309 del 1990, ma la Corte territoriale ha radicalmente escluso la ricorrenza della allora attenuante invocata, tenuto conto delle modalità concrete della condotta posta in essere dall'imputato , da cui era possibile evincersi la professionalità criminale dell'imputato . Il B. non ripropone in questa sede la questione. Va comunque rilevato che la cognizione della Corte di cassazione, se da un lato è rappresentata anzitutto dai vizi denunciati con i motivi dì ricorso, questi non esauriscono comunque il thema decidendum del giudizio di cassazione questo va infatti integrato con le questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo art. 609, comma 2, c. p.p. .Conseguentemente la Corte è chiamata, anzitutto, a verificare la sussistenza delle cause di non punibilità previste dall'art. 129 c.p.p. In secondo luogo, la Corte deve rilevare d'ufficio la violazione del principio di legalità della pena, nonché i vizi processuali più gravi, quali l'abnormità del provvedimento impugnato, la nullità assoluta, l'inammissibilità, nonché l'inutilizzabilità. Infine è da riconoscersi che, nella sua istituzionale funzione regolatrice del diritto, la Corte di cassazione ha il potere-dovere di attribuire ai fatti, così come compiutamente ricostruiti sotto il profilo storico dal giudice di merito, la corretta qualificazione giuridica, con il limite costituito dal divieto di reformatio in peius. Nella specie appare ricorrere la fattispecie di cui al 5° comma dell'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990. La verifica della Corte territoriale con riferimento al motivo di gravame sul punto non appare infatti corretta in quanto gli elementi evidenziati modalità di occultamento della droga all'interno della bocca, possesso del bilancino di precisione , appaiono unicamente funzionali alla dimostrazione della destinazione allo spaccio dello stupefacente. Il parametro quantitativo che è quello maggiormente significativo per individuare la lesione dell'interesse protetto non è quindi superato dalla ricorrenza di parametri sussidiari tali da determinare un non trascurabile allarme sociale e la valutazione globale in ordine alla portata dell'offensività per la collettività del fatto contestato è tale da far ritenere appunto la sussistenza dell'ipotesi di minore gravità. 4. Riqualificato il fatto ex art. 73 comma 5 dpr 309/1990, la sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio alla Corte d'appello di Catania, altra sezione per la determinazione della pena, che dovrà tener peraltro conto del novum normativo costituito, dalla novellazione dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 e della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 1014 - nonché degli interventi normativi ad essa seguiti, disciplina che deve indubbiamente ritenersi più favorevole rispetto a quella vigente all'epoca dei commesso reato che prevedeva per l'ipotesi de qua una pena edittale maggiore sia nel minimo che nel massimo P.Q.M. riqualificato il fatto ex art. 73 comma 5 dpr 309/1990, annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Catania, altra sezione per la determinazione della pena.