Vendita di beni con marchio “CE” contraffatto: qual è la qualificazione giuridica del fatto?

E’ punito secondo il reato di cui all’art. 515 c.p. Frode nell'esercizio del commercio chi venda prodotti recanti il marchio CE contraffatto. Infatti, la non veridicità della marcatura, rende il prodotto stesso diverso da quello dichiarato. La condotta, quindi, non rientra nella diversa ipotesi di reato di cui all’art. 517 c.p. Vendita di prodotti industriali con segni mendaci , che invece punisce la messa in circolazione di opere dell’ingegno o di prodotti industriali presentati con nomi, marchi o segni distintivi imitanti quelli già adottati da altro imprenditore.

E’ stato così deciso nella sentenza n. 50307, della Corte di Cassazione, depositata il 2 dicembre 2014. Il caso. Un uomo ricorreva in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello, con la quale l’imputato era stato condannato per il delitto di cui all’art. 517 c.p. Vendita di prodotti industriali con segni mendaci , per aver posto in vendita occhiali da sole e da vista recanti il marchio CE contraffatto. Il ricorrente lamentava l’errata applicazione della norma penale predetta, dovendosi escludere l’idoneità del marchio CE a trarre in inganno gli acquirenti. Sbagliata qualificazione giuridica del fatto. Il ricorso è fondato nei termini che seguono. La questione non riguarda la generica censura portata avanti dal ricorrente secondo cui il falso marchio CE apposto sugli occhiali non fosse idoneo a ingannare i possibili acquirenti sulla qualità del prodotto. Bensì sulla diversa qualificazione giuridica del fatto e la conseguente illegalità della pena inflitta. In particolare, il fatto, avuto riguardo alla natura sussidiaria del delitto di cui all’art. 517, c.p., integra, per l’evidente univocità del fine di vendita e l’idoneità della condotta, il diverso reato di tentativo di frode in commercio di cui agli artt. 56, 515 c.p Frode nell'esercizio del commercio . Cass., n. 9276/2011 . Il delitto di cui all’art. 517 c.p. ha per oggetto la tutela dell’ordine economico e richiede semplicemente un’imitazione del marchio o del segno distintivo, anche se non ancora registrato o riconosciuto, tale da trarre in inganno l’acquirente sulle caratteristiche essenziali del prodotto. E’ perciò integrato il predetto reato quando vengano messe in circolazione opere dell’ingegno o di prodotti industriali presentati con nomi, marchi o segni distintivi imitanti quelli già adottati da altro imprenditore, con possibilità di creare confusione sulla provenienza dei beni stessi Cass., n. 23819/2009 . La marcatura CE” la non veridicità del logo rende il prodotto diverso da quello dichiarato. Il logo CE è stato istituito dalla legislazione comunitaria per certificare la conformità del prodotto ai requisiti essenziali richiesti dal mercato comunitario. Questo logo deve essere apposto in modo visibile, leggibile e indelebile, e certifica una qualità essenziale del prodotto la sua conformità a standard europei di sicurezza che, in caso di non veridicità della marcatura, rende il prodotto stesso diverso da quello dichiarato Cass., n. 5068/2012 . L’art. 515 c.p. punisce chi consegna cose diverse da quelle oggetto del contratto. Nel reato di frode nell’esercizio del commercio, il bene tutelato va individuato nel leale esercizio di tale attività, e la condotta tipica punita consiste nella consegna di una cosa diversa per origine, provenienza, qualità o quantità, da quella oggetto del contratto, indipendentemente dal fatto che l’agente abbia usato particolari accorgimenti per ingannare il compratore o dalla circostanza che quest’ultimo potesse facilmente, applicando normale attenzione e diligenza, rendersi conto della difformità tra merce richiesta e consegnata. Dunque, il reato sussiste, nella sua ratio punitiva della disonestà commerciale, anche quando l’acquirente dovesse anticipatamente sapere che gli verrà fornita merce diversa da quella domandata Cass., n. 1169/1984 . In conclusione la pena pecuniaria irrogata all’imputato è illegale in quanto superiore al massimo edittale della pena pecuniaria prevista per il reato di cui all’art. 515 c.p., sicché la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 ottobre – 2 dicembre 2014, n. 50307 Presidente Squassoni – Relatore Aceto Il collegio ha esaminato gli atti, ha letto la relazione e ne ha condiviso le conclusioni, non utilmente contrastate dalle ulteriori difese delle parti. II Fallimento, infatti, nella propria memoria insiste in una tesi dell'inammissibilità dell'opposizione qualora il creditore non abbia presentato osservazioni al progetto di stato passivo depositato dal curatore di cui questa Corte ha già rilevato l'assoluta infondatezza con le sentenze nn. 5659/012 ed 11026/013, senza addurre nuovi argomenti e, soprattutto, senza chiarire perché, a fronte del disposto dell'art. 99 I. fall., che consente al creditore escluso non solo di opporsi al provvedimento del G.D. ma anche di produrre nuove prove e di sollevare nuove eccezioni, la natura pacificamente impugnatoria del giudizio di opposizione dovrebbe addirittura precludere il diritto di azione del medesimo creditore, ove questi non abbia mosso osservazioni al progetto del curatore che non è un provvedimento giurisdizionale e che non vincola il G.D. . La banca, d'altro canto, dà un'errata lettura del decreto impugnato, che ha chiaramente accertato che non risulta alcun compenso a favore di Oxford per la prestazione della garanzia , espressamente rilevando, peraltro, che la fideiussione dovrebbe essere considerata atto a titolo gratuito se valutata in relazione al patrimonio della debitrice. L'accoglimento del secondo motivo del ricorso comporta la cassazione del decreto impugnato. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito e, pertanto, rigettare l'opposizione proposta da Unicredit. Le spese del grado di merito e del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il primo ed accoglie il secondo motivo del ricorso cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l'opposizione allo stato passivo del Fallimento della Oxford s.r.l. proposta da Unicredit Managemente Bank s.p.a., nella sua qualità di mandataria di Unicredit s.p.a. condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di opposizione, che liquida in rispettivi € 11.200, di cui € 200 per esborsi, € 1.500 er diritti ed € 9.500 per onorari, nonché di quelle del giudizio di legittimità, che liqui a in € 12.100, di cui € 100 per esborsi, oltre, per entrambi i gradi, rimborso forfetario ed accessori legge.