Fuori o dentro casa? Per l’imputato è sempre lo stesso girone infernale

Divieto ed obbligo di dimora sono disciplinati dalla stessa norma, l’art. 283 c.p.p., in un contesto normativo artt. 281 – 285 c.p.p. che indica le misure secondo un principio di maggiore gravosità. Perciò, le due misure in questione, da un punto di vista sistematico, si equivalgono in termini di incidenza sulla libertà personale.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 50392, depositata il 2 dicembre 2014. Il caso. Il tribunale di Bologna sostituiva il divieto di dimora nella provincia di Bologna disposto dal gip con l’obbligo di dimora nel capoluogo e la prescrizione di non uscire dalla propria abitazione tra le 20 e le 7 in favore di un imputato per ripetute cessioni di eroina. L’imputato ricorreva in Cassazione, sostenendo che la decisione dei giudici avesse peggiorato la sua situazione personale, in quanto riteneva la nuova misura più gravosa, perché alla limitazione di movimento sul territorio nazionale aggiungeva ulteriori vincoli con la permanenza di numerose ore presso l’abitazione. Sullo stesso piano. La Corte di Cassazione ricorda che divieto ed obbligo di dimora sono disciplinati dalla stessa norma, l’art. 283 c.p.p., in un contesto normativo artt. 281 – 285 c.p.p. che indica le misure secondo un principio di maggiore gravosità. Perciò, le due misure in questione, da un punto di vista sistematico, si equivalgono in termini di incidenza sulla libertà personale. Da un punto di vista normativo, quindi, le due misure sono equivalenti a livello di gravità. Per la Cassazione, un altro punto di vista potrebbe essere l’incidenza in concreto sulla libertà personale delle due misure, in relazione al loro specifico contingente contenuto. Trattasi, però, di una questione di mero fatto, censurabile soltanto se il giudice non desse conto delle ragioni della scelta. Nel caso di specie, però, i giudici avevano adeguatamente motivato sul punto, valorizzando i fatti che il divieto di dimora non soddisfaceva le esigenze cautelari, che il legame e l’appoggio familiare avrebbero costituito un contesto idoneo a ridurre il rischio di recidiva e che, in base ai fatti per cui l’imputato era sotto processo, era necessaria la misura del divieto di allontanamento dall’abitazione durante le ore notturne. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 novembre – 2 dicembre 2014, n. 50392 Presidente Agrò – Relatore Citterio Considerato in fatto 1. S.M., imputato per ripetute cessioni di eroina in Bologna, era destinatario della misura cautelare del divieto di dimora nella provincia di Bologna. Sulla sua richiesta di sostituzione di tale misura con altra che gli consentisse di vivere nella casa coniugale sita nel capoluogo, dopo il rigetto del GIP il Tribunale felsineo in sede di appello sostituiva il divieto di dimora nella provincia di Bologna con l'obbligo di dimora nel capoluogo e la prescrizione di non uscire dalla propria abitazione tra le ore 20 e le ore 7 il Giudice collegiale argomentava da un precedente specifico in Milano, sintomatico dell'inidoneità del divieto di dimora a svolgere efficacia preventiva la rilevanza del legame familiare e della stabile dimora ad attenuare ogni azione connessa a mere esigenze di sostentamento la necessità comunque di adottare prescrizioni che riducessero il pericolo di reiterazione di già comprovate condotte di spaccio proprio in Bologna l'imputato aveva richiesto l'applicazione della pena per i fatti contestatigli in questo procedimento . 2. Ricorre S.M. tramite il difensore avv. L. Bertoluzza enuncia unico motivo di violazione del divieto di riforma in senso peggiorativo del provvedimento giurisdizionale in materia di compressione cautelare della libertà personale. Sostiene che la decisione avrebbe peggiorato la situazione personale rispetto a quella oggetto del gravame, la nuova misura dovendosi intendere quale più gravosa perché alla limitazione di movimento sul territorio nazionale aggiunge limitazioni anche con la permanenza di numerose ore presso l'abitazione. Ragioni della decisione 3. II ricorso pone innanzitutto la questione di diritto se la misura dell'obbligo di dimora con la prescrizione del divieto di allontanamento dall'abitazione in talune ore della giornata sia più gravosa del divieto di dimora. In questi termini la risposta deve essere negativa. E' in proposito assorbente il rilievo sistematico che divieto ed obbligo di dimora anche con le prescrizioni del divieto di allontanamento per alcune ore dall'abitazione sono disciplinati dalla medesima norma l'art. 283 c.p.p. , in un contesto normativo il capo II del titolo I dei libro IV, dedicato alle misure cautelare coercitive che all'evidenza indica le varie misure proprio secondo un principio di maggiore gravosità articoli da 281 a 285 . Risulta pertanto evidente che, secondo il legislatore, le due misure, anche con le loro articolazioni interne, dal punto di vista sistematico si equivalgono in termini di incidenza sulla libertà personale e significativamente la giurisprudenza di questa Corte prevede che l'obbligo di non allontanamento dall'abitazione in alcune ore del giorno sia specifico, per evitare - connotati di afflittività che caratterizzano gli arresti domiciliari Sez.6, sent. 10672/2003 . Deve pertanto essere affermata l'equivalenza normativa, quanto ai termini astratti di della gravità, tra le due misure cautelavi. La questione diviene allora quella, del tutto diversa, dell'incidenza in concreto sulla libertà personale dell'una o dell'altra misura, tra quelle previste dal medesimo art. 283, in relazione allo specifico contingente loro contenuto. Questo aspetto, tuttavia, una volta rilevata l'equivalenza normativa in termini di astratta gravosità, può trovare considerazione solo in relazione a possibili vizi della motivazione che dà conto della contingente singola specifica scelta del giudice, per il resto risolvendosi in questione di mero fatto, che attiene ad interessi altrettanto di mero fatto e non giuridicamente rilevanti, se non nei limiti, appunto, del vizio di motivazione. In altri termini, il provvedimento potrebbe essere censurato solo quando la motivazione sui vari punti della specifica regolamentazione adottata in sede di sostituzione all'interno delle misure previste dall'art. 283 in entrambe le direzioni, divieto -& gt & lt - obbligo di soggiorno non desse conto delle ragioni della scelta in termini immuni dai vizi soli rilevanti ex art. 606.1 lett.E . Nella fattispecie, il Giudice del provvedimento impugnato ha dato conto del fatto che proprio in Bologna l'imputato aveva commesso i vari fatti per cui è processato, che il divieto di dimora in Bologna e provincia alla luce del precedente non era per sé certamente efficace a soddisfare le esigenze cautelavi considerate dalla lettera C dell'art. 274, che il legame e l'appoggio familiare in Bologna costituivano un contesto idoneo a ridurre il rischio di recidiva, che tuttavia proprio in relazione ai fatti per i quali era sottoposto a processo quelle permanenti esigenze cautelavi richiedevano anche la misura del non allontanamento serale-notturno dall'abitazione, nei termini concretamente adottati nel penultimo periodo di p. 2 l'ordinanza indica anche le prescrizioni del dispositivo come sollecitate dall'articolata argomentazione che ha appena svolto . Si tratta di motivazione assolutamente immune da alcuno dei tassativi vizi per i quali, soli, il vizio di motivazione rileva in questa sede di legittimità. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.