Totale difformità dell’opera: ne rispondono il proprietario e il direttore dei lavori

Sono penalmente responsabili il proprietario e il direttore dei lavori che realizzano una costruzione in totale difformità e con variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire. Tale difformità è riscontrabile quando l’opera non rientri in quella autorizzata sia per i rilevanti aumenti di superficie e volumetria, sia per le diverse caratteristiche tipologiche e di utilizzazione, tali da rendere il manufatto autonomo e nuovo dal punto di vista costruttivo e di valutazione economica sociale.

E’ stato così deciso nella sentenza n. 49619, della Corte di Cassazione, depositata il 28 novembre 2014. Il caso. La Corte d’appello confermava la colpevolezza degli imputati perché ritenuti responsabili, in concorso tra loro, rispettivamente quali proprietario e direttore dei lavori, del reato di cui all’art. 44, comma 1 lett b , d.P.R. n. 308/2001, per aver realizzato una costruzione su due piani in totale difformità e con variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire. Gli imputati ricorrevano per cassazione denunciando l’errata applicazione della legge penale ed extrapenale, nonché il travisamento dei fatti. Secondo i ricorrenti, la Corte territoriale aveva erroneamente ravvisato nelle modifiche apportate, l’esecuzione di interventi in totale difformità, mentre invece si trattava solo di variazioni essenziali. La difformità dell’opera sul piano costruttivo e sul piano economico – sociale. Il ricorso è manifestatamente infondato e pertanto va dichiarato inammissibile. Infatti, come spiega la Cassazione, è pacifico in sede di legittimità che la difformità totale si verifica allorché si costituisca un aliud pro alio ” e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico – sociale. Il concetto di difformità parziale si riferisce, invece, ad ipotesi tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma Cass., n. 16392/2010 . La disciplina di riferimento. La normativa di riferimento, in base all’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, stabilisce che sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile . L’organismo edilizio. In particolare, come spiegato dalla Corte di Cassazione, per organismo edilizio si intendono sia la sola unità immobiliare sia una pluralità di porzioni volumetriche. Pertanto, la difformità totale può riferirsi sia alla costruzione di un corpo autonomo sia all’effettuazioni di modificazioni con opere anche soltanto interne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull’assetto del territorio attraverso l’aumento del cd. carico urbanistico”. L’autonoma utilizzabilità. Inoltre, il riferimento alla autonoma utilizzabilità , non impone che il corpo difforme sia fisicamente separato dell’organismo edilizio complessivamente autorizzato, ma soltanto che conduca alla creazione di una struttura precisamente individuabile e suscettibile di un uso indipendente, anche se l’accesso a detto corpo sia possibile esclusivamente attraverso lo stabile principale. Nel caso di specie, i Giudici di merito avevano rilevato che la volumetria quasi doppia rispetto al progetto originario e la conformazione del tutto difforme avevano condotto all’esistenza di un organismo del tutto diverso da quello autorizzato. In sostanza erano state realizzate opere non rientranti tra quelle autorizzate, non solo per i rilevanti aumenti di superficie e volumetria, ma anche per le diverse caratteristiche tipologiche e di utilizzazione, che avevano dato autonomia e novità sia sul piano costruttivo sia su quello della valutazione economica sociale, dal momento che erano state ricavate due autonome unità abitative. La Cassazione rileva che la pronuncia del Giudice di merito è del tutto coerente dal punto di vista logico e in linea con i principi esposti, perciò dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 settembre – 28 novembre 2014, n. 49619 Presidente Fiale – Relatore Orilia Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Firenze con sentenza 15.11.2013 ha confermato la colpevolezza di B.R. e Bi.Fl. perché ritenuti responsabili, in concorso tra loro, rispettivamente quali proprietario e direttore dei lavori, del reato di cui all'art. 44 comma 1 lett. b del DPR n. 380/2001 realizzazione di un costruzione su due piani in totale di difformità e con variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire n. 250/07 . La Corte di merito ha motivato la decisione considerando - sulla scorta di quanto emerso dalle fotografie e dalle deposizioni dei testi escussi - il notevole aumento di volumetria, la posizione diversa e la realizzazione, al posto di un piano interrato, di un seminterrato munito di porte finestre e autonomo ingresso con creazione sostanziale di due autonome unità abitative. Ha quindi ravvisato la totale difformità dal permesso di costruire. 2. Gli imputati, tramite i difensori, ricorrono per cassazione denunziando l'errata applicazione della legge penale ed extrapenale nonché il travisamento dei fatti. Rimproverano alla Corte di Appello di avere ravvisato nelle modifiche apportate, l'esecuzione di interventi in totale difformità mentre invece trattavasi solo di variazioni essenziali. Contestano la creazione di due unità abitative ritenendola una mera illazione della Corte d'Appello e procedono ad un'esegesi degli artt. 31 e 32 del DPR n. 380/2010. Rilevano inoltre che, trattandosi di interventi realizzati in zona non sottoposta a vincoli, non risultano integrati gli estremi della contravvenzione contestata art. 44 lett. b , sicché - a loro dire - si impone l'annullamento con rinvio per valutare la configurabilità della violazione di cui all'art. 44 lett. a del citato DPR n. 380/2001. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 606 ultimo comma cpp. A norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 e già della L. n. 47 del 1985, art. 7 , devono ritenersi eseguite in totale difformità dal permesso di costruire quelle opere che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile . Come già affermato da questa Corte cfr. tra le varie, Sez. 3, Sentenza n. 16392 del 17/02/2010 Cc. dep. 27/04/2010 Rv. 246960 , la difformità totale si verifica allorché si costruisca un aliud pro alio e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale. Il concetto di difformità parziale si riferisce, invece, ad ipotesi tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma. Nella previsione legislativa in esame a l'espressione organismo edilizio indica sia una sola unità immobiliare sia una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale può riconnettersi sia alla costruzione di un corpo autonomo sì a all'effettuazione di modificazioni con opere anche soltanto interne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull'assetto del territorio attraverso l'aumento del c.d. carico urbanistico . Difformità totale può aversi, inoltre, anche nel caso di mutamento della destinazione d'uso di un immobile o di parte di esso, realizzato attraverso opere implicanti una totale modificazione rispetto al previsto b il riferimento alla autonoma utilizzabilità non impone che il corpo difforme sia fisicamente separato dall'organismo edilizio complessivamente autorizzato, ma soltanto che conduca alla creazione di una struttura precisamente individuabile e suscettibile di un uso indipendente, anche se l'accesso a detto corpo sia possibile esclusivamente attraverso lo stabile principale. Nel caso di specie i giudici di merito hanno accertato che il nuovo fabbricato era di dimensioni di gran lunga superiori rispetto a quelle di progetto in particolare, il piano seminterrato, che secondo il progetto doveva essere completamente interrato, aveva una superficie doppia rispetto a quella assentita mq. 163 in luogo di 83 , mentre il volume del nuovo edificio in costruzione, secondo le misurazioni effettuate dal tecnico comunale geom. Z. era di 538 me. al netto degli annessi da demolire, quindi di gran lunga superiore rispetto alla volumetria autorizzata 304 me, sempre al netto delle volumetrie dei predetti annessi . La volumetria quasi doppia e la conformazione del tutto difforme per la presenza del piano seminterrato in luogo del piano completamente interrato e la diversa collocazione sul suolo hanno indotto la Corte di merito a ravvisare l'esistenza di un organismo del tutto diverso da quello autorizzato anche perché in tal modo si erano ottenuti due piani destinagli ad uso abitativo e addirittura dotati di ingressi autonomi laddove invece il titolo abilitativo prevedeva un sol piano più un piano interrato utilizzabile solo per servizi accessori . Sulla base di tali dati fattuali la Corte toscana ha condiviso il giudizio di totale difformità già espresso dal primo giudice. Una tale conclusione, frutto di accertamenti desunti dalle deposizioni del verbalizzante e del tecnico comunale, nonché dalla relazione di quest'ultimo acquisita agli atti unitamente al materiale fotografico, evidenzia dunque l'intervenuta realizzazione di opere non rientranti tra quelle autorizzate, non solo per i rilevanti aumenti di superficie e volumetria, ma anche per le diverse caratteristiche tipologiche e di utilizzazione, che hanno una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale come testimonia inequivocabilmente il fatto che sono state ricavate due autonome unità abitative. La decisione dunque si rivela non solo logicamente coerente ma anche in linea con i principi esposti e pertanto si sottrae alla critica dei ricorrenti che invece sollecita una rivalutazione della vicenda fattuale soprattutto laddove contesta l'affermazione sulla realizzazione di due unità, autonome senza però neppure documentare la propria opposta tesi e dunque non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità perché, come è noto, il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene solo alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo. Al giudice di legittimità è infatti preclusa - in sede di controllo sulla motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa . Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell'ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione Cass. Sez. 6, Sentenza n. 9923 del 05/12/2011 Ud. dep. 14/03/2012 Rv. 252349 . Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186 , alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.