Custodia cautelare: necessarie valutazioni prognostiche sul regime sanzionatorio

La nuova disposizione di cui all’art. 275, comma 2 bis c.p.p. come modificata dal d.l. 26 giugno 2014 n. 92, convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014 n. 117, impone al giudice di operare previamente una valutazione prognostica sulla possibilità che la pena da irrogare possa essere determinata in misura superiore a 3 anni quale condizione per l’applicazione della misura restrittiva. Assume rilevanza, sul punto, il preventivo accertamento dell’astratta applicabilità all’interessato dell’ipotesi di lieve entità, che consentirebbe il contenimento della sanzione applicabile in misura inferiore a quanto previsto dalla disposizione processuale.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 49796, depositata il 28 novembre 2014. Il fatto. Con ordinanza, il Tribunale di Roma respingeva il riesame proposto dalla difesa dell’imputato contro il provvedimento del Tribunale che aveva applicato nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere, in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope . Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, eccependo violazione e vizio di motivazione, nella parte in cui nel provvedimento impugnato sono stati sottovalutati gli elementi indicativi della lieve entità. Si richiamano a tal fine sia la minima entità ponderale, sia le modalità rudimentali dell’accertata attività di spaccio, per sollecitare una rivalutazione sulla ricorrenza dell’ipotesi minore, che comporterebbe il venir meno della custodia cautelare. Con altro motivo di ricorso, si deduce violazione di legge per l’omessa rilevazione dell’inapplicabilità della custodia in carcere per i limiti edittali imposti dalla disposizione incriminatrice. Il Collegio ritiene tale ricorso fondato. Novella normativa. Infatti, la nuova disposizione di cui all’art. 275, comma 2 bis c.p.p. come modificata dal d.l. 26 giugno 2014 n. 92, convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014 n. 117, impone al giudice di operare previamente una valutazione prognostica sulla possibilità che la pena irroganda possa essere determinata in misura superiore a 3 anni quale condizione per l’applicazione della misura restrittiva. Sotto tale profilo, assume rilevanza il preventivo accertamento dell’astratta applicabilità all’interessato del comma 5 della norma incriminatrice, che, per il tipo di sostanze trattate e il regime sanzionatorio ad esse correlato, consentirebbe il contenimento della sanzione applicabile in misura inferiore a quanto previsto dalla disposizione processuale. Valutazioni prognostiche sul regime sanzionatorio. Il giudizio sull’applicabilità della misura cautelare risulta in corso all’atto dell’entrata in vigore della nuova disposizione. Ciò, ritiene il Collegio, consente di dare efficacia immediata alla novella normativa che ritiene rilevanti, per accertare le condizioni applicative, le valutazioni prognostiche sul regime sanzionatorio, il cui esame è essenziale, oltre che per la tenuta della gravità indiziaria rispetto al più grave reato contestato, anche ai fini della concreta applicabilità della misura nella situazione concreta. Valutare le ulteriori circostanze dell’azione potrebbe qualificare la condotta come lieve entità. Il Tribunale, rispetto all’allegazione difensiva sulla base della quale si rivendica tale determinazione, si è limitato a richiamare le circostanze di fatto, senza offrire indicazioni specifiche sulle ulteriori circostanze dell’azione che potrebbero consentire la qualificazione della condotta nell’ipotesi di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, e senza svolgere le conseguenti rilevanti valutazioni di merito sul punto, al fine di escludere tale inquadramento. Pertanto, ritiene il Collegio, il mancato approfondimento della circostanza di fatto rilevante impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata ed il rinvio per nuovo esame in proposito al Giudice di merito.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 – 28 novembre 2014, n. 49796 Presidente Garribba – Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 16/06/2014 il Tribunale di Roma ha respinto il riesame proposto dalla difesa di M.D. avverso il provvedimento del Tribunale di quella città del 05/06/2014 che ha applicato nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere, in relazione al reato di cui all'articolo 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309. 2. La difesa del D. nel suo ricorso eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione, nella parte in cui nel provvedimento impugnato sono stati sottovalutati gli elementi indicativi del fatto di lieve entità, malgrado la vicenda riguardasse la cessione in favore di tale Durante di marijuana pari a grammi 2,70 lordi, che l'acquirente aveva provveduto successivamente ad offrire in vendita due minorenni. Il successivo controllo ha condotto ad accertare la presenza, nel possesso dell'odierno ricorrente, di ulteriori grammi 19,70 della medesima sostanza, oltre che di euro 190 complessivi, elementi tutti che la difesa ha segnalato al fine di sollecitare la qualificazione del fatto nell'ambito dell'ipotesi meno grave, la cui applicazione era giustificata anche dalla circostanza che il ricorrente ha dichiarato di far uso personale di marijuana da più di 10 anni. Si richiamano tutti gli argomenti prospettati dalla difesa, quali il frazionamento della somma, suddivisa e custodita con modalità diverse sulla persona dell'interessato, che non consente di ricondurla completamente al momento della cessione il confezionamento del quantitativo ulteriore di marijuana in unico involucro e non già frazionato, che dimostra una destinazione diversa rispetto all'ipotizzata cessione la mancata analisi comparata delle circostanze che ha consentito al coimputato, nei cui confronti solamente era contestata l'aggravante della cessione della sostanza minore, l'applicazione degli arresti domiciliari, con erronea valorizzazione di un precedente specifico per droga posto a carico del D., che invece riguardava il coimputato. Si richiamano quindi sia la minima entità ponderale, sia le modalità di rudimentali dell'accertata attività di spaccio, per sollecitare una rivalutazione sulla ricorrenza dell'ipotesi minore, che comporterebbe il venir meno della applicabilità della custodia cautelare. 3. Con ulteriore motivo si deduce violazione di legge per l'omessa rilevazione dell'inapplicabilità della custodia in carcere per i limiti edittali imposti dalla disposizione incriminatrice, oltre che vizio della motivazione, nella parte in cui il giudice ha tratto dalla mancanza di fissa dimora dell'interessato l'impossibilità di applicare gli arresti domiciliari, desumendone per automatismo la possibilità di disporre solo la custodia cautelare in carcere, ed ha così disatteso i principi legali e convenzionali che impongono di valutare la misura in rapporto alla pericolosità concreta. Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato. 2. La nuova disposizione di cui all'art. 275 comma 2 bis cod. proc. pen. come modificata dal d.l. 26 giugno 2014 n. 92, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014 n. 117 impone al giudice di operare previamente una valutazione prognostica sulla possibilità che la pena irroganda possa essere determinata in misura superiore ad anni tre quale condizione per l'applicazione della misura restrittiva, e sotto tale profilo assume preventiva rilevanza l'accertamento dell'astratta applicabilità all'interessato della rivendicata applicazione del comma 5 della norma incriminatrice, che, per il tipo di sostanze trattate, ed il regime sanzionatorio ad esse correlato, consentirebbe in linea teorica il contenimento della sanzione applicabile in misura inferiore a quanto previsto dalla disposizione processuale. La circostanza che la modifica normativa sia sopraggiunta all'emissione del provvedimento impugnato non consente di nutrire dubbi sull'applicabilità immediata dei novum normativo, posto che il giudizio sull'applicabilità della misura cautelare risulta in corso all'atto dell'entrata in vigore della nuova disposizione, e poneva in discussione proprio l'esatto inquadramento normativo della fattispecie contestata. Ciò consente di attribuire efficacia immediata alla novella che ritiene rilevante, per accertare le condizioni applicative le valutazioni prognostiche sul regime sanzionatorio, il cui esame è essenziale, oltre che per la tenuta della gravità indiziaria rispetto al più grave reato contestato, anche ai fini della concreta applicabilità della misura nella situazione accertata, di cui per l'effetto necessariamente devono essere definiti i contorni, sul piano previsionale, già nella fase cautelare. Rispetto all'allegazione difensiva sulla base della quale si rivendicava tale determinazione, il Tribunale si è limitato a richiamare le circostanze di fatto, attinenti all'intervenuta cessione della sostanza stupefacente ed al possesso di denaro astrattamente riconducibile a precedenti cessioni, senza offrire indicazioni specifiche sulle ulteriori circostanze dell'azione che, in via teorica, potrebbero consentire la qualificazione della condotta nell'ipotesi di cui all'art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, né svolgere le conseguenti rilevanti valutazioni di merito sul punto, al fine di escludere tale inquadramento. 3. Il mancato approfondimento della circostanza di fatto rilevante impone l'annullamento del provvedimento impugnato ed il rinvio per nuova determinazione in proposito al giudice di merito. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma.