E’ legittimo il sequestro preventivo se l’imputato non fornisce la prova della provenienza lecita del denaro

La presunzione di illegittima provenienza delle risorse patrimoniali accumulate da un soggetto condannato per reati di cui all’art. 12 sexies l.n. 356/1992, deve escludersi in presenza di fonti lecite e proporzionate di produzione, sia che esse siano costituite dal reddito dichiarato ai fini fiscali, sia che provengano dall’attività economica svolta, benché non evidenziate, in tutto o in parte, nella dichiarazione dei redditi. Spetta all’indagato/imputato allegare e/o dimostrare, che i beni sequestrati furono acquistati con il provento di attività economiche non denunciati al fisco con la conseguenza che, in assenza di alcun riscontro alle mere affermazioni dell’istante, prevale la presunzione di illegittima provenienza.

La vicenda. Con sentenza n. 49498, depositata il 27 novembre 2014, la Seconda Sezione penale di Cassazione ha rigettato i ricorsi, con condanna anche alle spese, l’uno avanzato da un indagato per i reati di cui agli artt. 416 – 474 e 648 c.p. e sottoposto alla misura degli arresti domiciliari per il solo reato di ricettazione di prodotti con marchi contraffatti avverso la sentenza con cui aveva subito il sequestro preventivo, ex art. 12 sexies , l. n. 356/1992 di beni mobili e immobili a lui, direttamente o indirettamente, appartenenti, e l’altro dalla di lui figlia, quale destinataria del sequestro di due autovetture. Il ricorrente ha dedotto che il Tribunale del Riesame non aveva considerato che egli risultava titolare del 22 maggio 2002, vale a dire in epoca anteriore rispetto ai fatto di reato contestati risalenti agli anni 2011/2012 all’omonima ditta individuale esercente l’attività di commercio all’ingrosso di abbigliamento ed accessori” che aveva prodotto ricavi non dichiarati dall’anno 2002 in poi, giustificativi dell’acquisizione della titolarità dei beni sottoposti a sequestro. Erroneamente, quindi, il tribunale ha affermato che gli importi derivanti dall’attività economica esercitata dall’indagato dal 2002 al momento dell’applicazione della misura cautelare reale, sia pure non denunciata ai fini delle imposte sul reddito, non potessero essere computati ai fini della giustificazione della consistenza patrimoniale dei beni sottoposti a sequestro, in quanto la norma pone in alternativa al parametro del reddito dichiarato quello dell’attività svolta . Ha, poi, anche contestato l’omessa motivazione in ordine alla ritenuta intestazione fittizia addotta in capo a sua figlia, per cui ella non potesse acquistare le due autovetture oggetto di sequestro ad essa intestate con denaro di propria pertinenza, essendo la medesima titolare di un esercizio commerciale. La figlia del ricorrente, dal canto suo, ha dedotto la stessa doglianza del padre, sostenendo di possedere un reddito derivante dall’attività economica esercitata, nonché la mancata prova fornita dal Tribunale in merito alla circostanza per cui ella era stata ritenuta mera intestataria fittizia delle due autovetture, quando le medesime erano, in realtà, nella disponibilità del di lei padre. L’onere di dimostrare la titolarità grava sull’imputato. Gli Ermellini rigettano, però, i ricorsi, ricordano il granitico orientamento per cui è onere dell’imputato dimostrare in modo serio la titolarità di un bene e delle proprie attività economiche. Nel caso di specie, invece, il ricorrente non ha minimamente allegato né provato di avere acquistato i beni sequestrati con denaro proveniente da attività economica lecita sebbene i redditi non fossero stati dichiarati dal fisco La presunzione di illegittima provenienza delle risorse patrimoniali accumulate da un soggetto condannato per reati di cui all’art. 12 sexies legge 7 agosto 1992, n. 356 deve escludersi in presenza di fonti lecite e proporzionate di produzione, sia che esse siano costituite dal reddito dichiarato ai fini fiscali, sia che provengano dall’attività economica svolta, benché non evidenziate, in tutto o in parte, nella dichiarazione dei redditi. Spetta all’indagato/imputato allegare e/o dimostrare, che i beni sequestrati furono acquistati con il provento di attività economiche non denunciati al fisco con la conseguenza che, in assenza di alcun riscontro alle mere affermazioni dell’istante, prevale la presunzione di illegittima provenienza . Sull’omessa motivazione in ordine alla titolarità dei beni della figlia, la Suprema Corte rileva la mancanza di interesse ad agire da parte del ricorrente. Gli indizi della simulazione. Per quanto, poi, concerne le doglianza dell’altra ricorrente, i giudici di Piazza Cavour ritengono corrette le deduzioni del Tribunale del Riesame, in quanto costituiscono indizi gravi precisi e concordanti della simulazione di beni intestati dall’indagato ad un terzo, la natura giuridica e le modalità dell’atto dispositivo nella specie donazione , il rapporto di stretta parentela fra le parti dell’atto dispositivo padre e figlio , la vicinanza temporale fra l’atto di spoliazione e la commissione da parte del dante causa di un reato per il quale è prevista la confisca dei beni, la destinazione del bene, le qualità personali dell’avente causa giovane età e l’oggetto dell’atto dispositivo ingente somma di denaro .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 11 – 27novembre 2014, n. 49498 Presidente Petti – Relatore Rago Fatto 1. Con ordinanza del 28/02/2014, il Tribunale del Riesame di Napoli confermava i decreti con i quali, in data 15/01/2014 e 31/01/2014, il giudice per le indagini preliminari del medesimo tribunale aveva ordinato il sequestro preventivo - ex art. 12 sexies L. 356/1992 - di beni mobili ed immobili appartenenti, in via diretta ed indiretta, a P.G. indagato per i reati di cui agli artt. 416 - 474 e 648 cod. pen. e sottoposto alla misura degli arresti domiciliari per il solo reato di ricettazione di prodotti con marchi contraffatti. 2. Avverso la suddetta ordinanza, hanno proposto separati ricorsi per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori, P.G. e P.R.R. in quanto terza destinataria del sequestro di due autovetture. 3. P.G. , ha dedotto i seguenti motivi 3.1. violazione dell'art. 12 sexies L. 356/1992 il ricorrente sostiene che il Tribunale non aveva considerato che esso ricorrente risultava titolare dal 22 maggio 2002, vale a dire in epoca anteriore rispetto ai fatti di reato contestati risalenti agli anni 2011/2012, dell'omonima ditta individuale esercente l'attività di commercio all'ingrosso di abbigliamento ed accessori che aveva prodotto ricavi non dichiarati dall'anno 2002 in poi, giustificativi dell'acquisizione della titolarità dei beni sottoposti a sequestro. Erroneamente, quindi, il tribunale ha affermato che gli importi derivanti dall'attività economica esercitata dall'indagato dal 2002 al momento dell'applicazione della misura cautelare reale, sia pure non denunciata ai fini delle imposte sul reddito, non potessero essere computati ai fini della giustificazione della consistenza patrimoniale dei beni sottoposti a sequestro, in quanto la norma pone in alternativa al parametro del reddito dichiarato quello dell'attività economica svolta” 3.2. omessa motivazione in ordine alla circostanza per cui P.R.R. - figlia di esso ricorrente - non potesse acquistare le due vetture ad essa intestate con denaro di propria pertinenza essendo la medesima titolare di un esercizio commerciale. In altri termini, il Tribunale non aveva spiegato le ragioni della ritenuta intestazione fittizia. 4. P.R.R. ha dedotto, in pratica, la stessa doglianza dedotta dal padre P.G. ed illustrata al precedente p. 3.1., sostenendo che ella, in realtà, aveva un reddito, sebbene non dichiarato, derivante dall'attività economica esercitata. In ogni caso, il tribunale non aveva dimostrato che essa ricorrente fosse una mera intestatala fittizia delle due autovetture e che le medesime, in realtà, erano nella disponibilità di P.G. . Diritto 1. P.G 1.1. violazione dell'art. 12 sexies L. 356/1992 la censura è infondata per le ragioni di seguito indicate. In punto di diritto, quanto affermato dal ricorrente trova un ampio riscontro nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità. Infatti, da ultimo, si è consolidato il principio di diritto secondo il quale in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai sensi dell'art. 12 sexies L. n. 356 del 1992, il giudice, qualora l'imputato dimostri la lecita titolarità di beni e di attività economiche non denunciati al fisco, è obbligato a tenerne conto nel suo libero convincimento fornendo adeguata e puntuale motivazione in ordine alle giustificazioni fornite dall'interessato” Cass. 13425/2013 Rv. 255082 Cass. 6336/2013 Rv. 254532 Cass. 9678/2014 Rv. 259468 Cass. 21265/2011 Rv. 252855. Il suddetto indirizzo giurisprudenziale è stato, infine, da ultimo confermato e ribadito da SSUU 33451/2014 rilevando che nell'art. 12 sexies, infatti, a differenza di quanto è previsto nella L n. 505 del 1965, citato art. 2 ter, la presunzione di illecita provenienza dei beni del condannato viene ancorata letteralmente ed esplicitamente al combinato disposto della sproporzione rispetto all'attività economica svolta e dell'assenza di giustificazione, ma non anche, in alternativa, alla esistenza di sufficienti indizi della loro provenienza da qualsiasi attività illecita. In altri termini, se è vero che per entrambe le misure ablatorie è previsto che i beni da confiscare si trovino nella disponibilità diretta o indiretta del soggetto e che siano di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all'attività economica esercitata, è altresì vero che il requisito alternativo della provenienza illecita del bene qualificabile come frutto o reimpiego di proventi illeciti è specificamente previsto solo per la confisca di prevenzione” . Questa Corte ritiene di dover confermare il suddetto principio di diritto, condividendolo. Tuttavia, nel caso di specie, il ricorso va ugualmente rigettato. Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente nel presente ricorso, la problematica dedotta in questo grado di giudizio, non risulta dedotta davanti al Tribunale del Riesame tanto si evince dalla memoria depositata il 28/02/2014 a firma dell'avv.to Gennaro Marano tant'è che nell'ordinanza pag. 6 si illustrano le doglianze dedotte dal ricorrente che attengono solo al fumus delicti ed al periculum in mora questione non più dedotte in questa sede e la questione della computabilità, ai fini della sproporzione, non è minimamente trattata dal tribunale che, dopo avere osservato che l'istante non aveva dichiarato redditi dal 1996 al 2012, concludeva rilevando che non si è dunque dimostrato che, ai momento in cui venivano acquistati i suddetti beni o accesi i conti correnti, il prevenuto disponesse di lecite provviste finanziarie ”. In questa sede, il ricorrente, come si è detto, si è limitato ad invocare, tout court, l'indicato principio giurisprudenziale ma non si è minimamente peritato neppure di allegare un qualsivoglia riscontro alle proprie apodittiche affermazioni. Sul punto, invero, va rilevato che se è condivisibile il suddetto principio di diritto, è anche vero che quella stessa giurisprudenza invocata dal ricorrente, non ha mai messo in discussione che solo ove l'imputato dimostri in modo serio la titolarità di un bene e di attività economiche che superino di fatto l'immagine reddituale rappresentata al fisco, il giudice deve tenere conto di tale realtà nel suo libero convincimento, anche considerando che la previsione in questione richiede che si tratti di beni di cui l'imputato non possa giustificare la provenienza, con la conseguenza che sulle giustificazioni fornite dall'interessato deve essere fornita puntuale e adeguata motivazione Cass., sez. 5, 25.09.2007, n. 39048 ” così, ad es. in motivazione, Cass. 13425/2013 cit. la quale, peraltro, si è conformata allo stesso principio risultante dai precedenti giurisprudenziali supra citati. Pertanto, poiché nel caso di specie, il ricorrente non ha minimamente né allegato né provato di avere acquistato i beni sequestrati con denaro proveniente da attività economica lecita sebbene i redditi non fossero stati dichiarati al fisco, la censura non può che essere respinta alla stregua del seguente principio di diritto La presunzione di illegittima provenienza delle risorse patrimoniali accumulate da un soggetto condannato per reati di cui all'art. 12 sexies legge 7 agosto 1992, n. 356 deve escludersi in presenza di fonti lecite e proporzionate di produzione, sia che esse siano costituite dal reddito dichiarato ai fini fiscali, sia che provengano dall'attività economica svolta, benché non evidenziate, in tutto o in parte, nella dichiarazione dei redditi. Spetta all'indagato/imputato allegare e/o dimostrare, che i beni sequestrati furono acquistati con il provento di attività economiche non denunciati al fisco con la conseguenza che, in assenza di alcun riscontro alle mere affermazioni dell'istante, prevale la presunzione di illegittima provenienza ”. 1.2. omessa motivazione in ordine alla titolarità dei beni di P.R.R. la censura è manifestamente infondata, non avendo, sul punto, il ricorrente os ad eloquendum in quanto, per costante giurisprudenza di questa Corte in tema di misure di misure cautelari reali, è inammissibile, per difetto di interesse, l'impugnazione proposta dall'indagato/imputato - avverso il decreto di confisca di un bene immobile ritenuto fittiziamente intestato a terzi - in quanto, in tal caso, la legittimazione ad impugnare spetta solo al terzo apparente intestatario, proprio perché solo costui, è il soggetto avente in ipotesi diritto alla restituzione del bene ex plurimis Cass. 17935/2014 Rv. 259258. 2. P.R.R. . 2.1. La prima censura - identica a quella dedotta dal ricorrente P.G. - va rigettata per gli stessi identici motivi illustrati supra al p.1.1. 2.2. Anche la seconda doglianza omessa motivazione in ordine all'intestazione fittizia è infondata per le ragioni di seguito indicate. In punto di diritto, vertendosi in materia di sequestro di beni appartenenti ad un terzo, sul presupposto che, in realtà, siano nella disponibilità dell'indagato per reati per i quali è prevista la confisca, è opportuno rammentare i principi di diritto che, in modo costante, questa Corte di legittimità ha reiteratamente enunciato. Il principio base e fondamentale è il seguente incombe alla pubblica accusa l'onere di dimostrare l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, sicché possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell'acquisizione del bene in capo al soggetto indagato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca, così come spetta al giudice della cautela esplicare poi le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, utilizzando allo scopo non solo circostanze sintomatiche di mero spessore indiziario, ma elementi fattuali, dotati dei crismi della gravità, precisione e concordanza, idonei a sostenere, anche in chiave indiretta, l'assunto accusatorio ex plurimis Cass. 11732/2005 riv 231390, in motivazione - Cass. 3990/2008 riv 239269 - Cass. 27556/2010 riv 247722 . L'onere probatorio dell'accusa consiste unicamente nel dimostrare, anche e soprattutto attraverso presunzioni plurime, gravi, precise e concordanti, che quei beni, in realtà, non sono del terzo, ma sono nella disponibilità dell'indagato a qualsiasi titolo ”. E così, è stato affermato che costituiscono indizi gravi precisi e concordanti della simulazione di beni intestati dall'indagato ad un terzo, la natura giuridica e le modalità dell'atto dispositivo nella specie donazione , il rapporto di stretta parentela fra le parti dell'atto dispositivo padre e figlio , la vicinanza temporale fra l'atto di spoliazione e la commissione da parte del dante causa di un reato per il quale è prevista la confisca dei beni, la destinazione del bene, le qualità personali dell'avente causa giovane età e l'oggetto dell'atto dispositivo ingente somma di denaro ” Cass. 15829/2014 riv 259538. Nel caso di specie, il tribunale ha evidenziato a il rapporto di parentela - padre/figlia - fra l'indagato P.G. e la ricorrente P.R.R. b la circostanza che la ricorrente non aveva neppure allegato documentazione comprovante guadagni leciti [ .] ” c quanto all'attività imprenditoriale della figlia R.R. desta ben più di un sospetto sul fatto che la donna effettivamente se ne occupi, il fatto che non soltanto tale impresa opera nel medesimo settore di quella del padre, ma sia altresì ubicata nel medesimo luogo in cui ha sede quest'ultima ” d dal 1996 al 2012 non ha mai presentato alcuna dichiarazione dei redditi” . Orbene, a fronte di tale quadro indiziario, la ricorrente in questa sede si è limitata ad invocare, in modo del tutto tralaticio, la pacifica giurisprudenza in tema di sequestro di beni del terzo, ma senza spiegare le ragioni per le quali la motivazione sarebbe omessa o apparente. Sul punto, infatti, va rammentato che, a norma dell'art. 325 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione avverso le ordinanze in materia cautelare reale può essere proposto solo per violazione di legge nella quale rientra la mancanza assoluta o apparenza di motivazione, nel mentre, sfuggono al ricorso, i vizi della motivazione [art. 606/1 lett. e c.p.p. illogicità - incompletezza] o quelli inerenti la prova [art. 606 lett. d c.p.p.], e ciò perché il sindacato della Cassazione non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità dell'indagato, essendo limitato al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella astratta il che comporta che non può essere effettuato alcuna valutazione sulla fondatezza del fatto - reato, né sul merito dell'accusa né sulla sussistenza e gravità degli indizi di colpevolezza ex plurimis SSUU 5876/2004 Rv 226712 - SSUU 29/05/2008, Ivanov, riv 239692. Di conseguenza, poiché la motivazione addotta dal tribunale non può essere ritenuta affatto apparente, ma logica e puntuale, la denuncia del vizio motivazionale deve ritenersi inammissibile ai sensi dell'art. 325 c.p.p., comma 1, essendo stato peraltro affidato ad argomentazioni del tutto generiche e prive di specificità argomentativa. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. RIGETTA i ricorsi e CONDANNA i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.