Offesa gratuita: il diritto di critica è un dito troppo piccolo dietro cui nascondersi

La sussistenza dell’esimente del diritto di critica presuppone la manifestazione di espressioni oggettivamente offensive della reputazione altrui, la cui lesività possa, tuttavia, trovare giustificazione nell’esistenza del diritto di libertà di espressione, ma sempre a condizione che l’offesa non si traduca in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale del soggetto passivo.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 47940, depositata il 19 novembre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Salerno dichiarava di non doversi procedere nei confronti di un imputato, accusato di diffamazione, in quanto era maturato il termine di prescrizione. L’uomo, sindaco di un paese, durante una seduta del consiglio comunale avrebbe offeso l’onore di un giudice di pace, affermando che nella sentenza sono state dette delle corbellerie ed evidentemente non si conoscono le leggi . Secondo i giudici di merito, doveva escludersi che la critica dell’imputato fosse rivolta all’interpretazione da altri prospettata del significato della sentenza. L’imputato ricorreva in Cassazione, deducendo la sussistenza della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca e la mancanza del dolo, non avendo egli voluto rivolgere le sue critiche alla sentenza, ma all’interpretazione data alla stessa da un consigliere comunale. Troppo poco. La Corte di Cassazione rileva che mentre la sentenza impugnata si era basata sul tenore letterale della frase, per cui non si rilevavano manifeste illogicità, il ricorrente aveva valorizzato dei frammentari brani di deposizioni riguardanti la specifica controversia tra lui stesso ed il consigliere comunale, ma questi non bastavano a dimostrare un travisamento delle prove. Offesa gratuita. Inoltre, sottolineano i giudici di legittimità, la sussistenza dell’esimente del diritto di critica presuppone la manifestazione di espressioni oggettivamente offensive della reputazione altrui, la cui lesività possa, tuttavia, trovare giustificazione nell’esistenza del diritto di libertà di espressione, ma sempre a condizione che l’offesa non si traduca in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale del soggetto passivo come invece avvenuto nel caso di specie . Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 25 settembre – 19 novembre 2014, n. 47940 Presidente Palla – Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 31/05/20131a Corte d'appello di Salerno, rilevato che, in data successiva alla sentenza di primo grado, era maturato il termine di prescrizione, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Pasquale Parente per il reato di diffamazione, confermando le statuizioni risarcitorie. Al Parente era contestato di avere, nel corso di una seduta del consiglio comunale di Montefusco, da lui presieduta quale sindaco, offeso l'onore e il decoro del giudice di pace di San Giorgio del Sannio, affermando nella sentenza sono state dette delle corbellerie ed evidentemente non si conoscono le leggi . In particolare, la Corte territoriale ha rilevato che, alla stregua delle espressioni adoperate, rivolte all'estensore della decisione, dovesse escludersi che la critica dell'imputato fosse rivolta all'interpretazione da altri prospettata del significato della sentenza. 2. Nell'interesse del Parente è stato proposto ricorso per cassazione affidato ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali nonché violazione degli artt. 51, 595 cod. pen., 538, 578, 129 cod. proc. pen. In particolare, il ricorrente critica la sentenza impugnata, per non avere adeguatamente affrontato le questioni relative alla sussistenza della scriminante dell'esercizio del diritto di critica e comunque del dolo, fermo restando che, alla luce dei complessivo quadro probatorio, emergeva che l'imputato non aveva inteso rivolgere le sue critiche alla sentenza, ma all'interpretazione che della stessa intendeva fornire il consigliere comunale Stanziale. 2.2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione degli artt. 157 e 159 cod. pen. nonché dell'art. 10 della l. n. 251 del 2005, criticando il fatto che la Corte territoriale, per un verso, non avesse fatto riferimento al percorso argomentativo seguito dal giudice di primo grado e, per altro verso, non avesse applicato integralmente la nuova disciplina concernente il calcolo dei periodi di sospensione anche ai rinvii disposti prima della sua entrata in vigore. Considerato in diritto 1. II primo motivo di ricorso è, nel suo complesso, infondato. Con riferimento alla critica che si concentra sulla ricostruzione del significato e della direzione lesiva dell'espressione adoperata, osserva la Corte che la motivazione della sentenza impugnata, legata al tenore letterale della frase pronunciata, non esibisce alcuna manifesta illogicità, laddove i frammentari brani delle deposizioni valorizzate dal ricorrente riguardano la specifica controversia che vedeva opposti l'odierno imputato ad un consigliere comunale, ma, proprio perché isolati dal contesto, non dimostrano di per sè alcun travisamento delle prove che investono i fatti di cui al capo di imputazione. Quanto poi al finale cenno al diritto di critica delle decisioni giudiziarie, va ribadito che la sussistenza di siffatta esimente presuppone, per sua stessa natura, la manifestazione di espressioni oggettivamente offensive della reputazione altrui, la cui lesività possa, tuttavia, trovare giustificazione nella sussistenza del diritto di libertà di espressione, ma sempre a condizione che l'offesa non si traduca in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale del soggetto passivo v., di recente, Sez. 5, n. 3047 del 13/12/2010 - dep. 27/01/2011, Belotti, Rv. 249708 . 2. II secondo motivo è infondato. Ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato, infatti, deve tenersi conto della disposizione per cui, in caso di sospensione del processo per impedimento dell'imputato o del suo difensore, l'udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento art. 159, comma primo, n. 3, cod. pen. , soltanto con riguardo ai rinvii disposti dopo la sua introduzione, avvenuta con la I. 5 dicembre 2005, n. 251. Sez. U, n. 43428 del 30/09/2010, Corsini, Rv. 248383 . Siffatta considerazione rende superfluo l'esame dell'ulteriore questione relativa alla natura dell'impedimento del difensore per contemporaneo impegno professionale, in quanto, anche a voler prescindere dagli ultimi due rinvii dal 17/02/2006 al 21/04/2006 e dal 21/04/2006 al 22/06/2006 , comunque il termine di prescrizione ordinario di sette anni e mesi sei è destinato a prolungarsi, per effetto dei rinvii anteriori all'entrata in vigore della I. n. 251 del 2005, di due anni, due mesi e cinque giorni, in tal modo superando, considerata la data di commissione del reato contestato 25/02/1998 , la data della sentenza di primo grado 09/11/2006 . 3. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 25/09/2014.