Marito defunto, lei ne incassa la pensione: condannata anche per la truffa tentata nell’ultimo, fatale blitz alle Poste

Per ben quattro anni l’anziana signora è riuscita a buggerare i dipendenti dell’ufficio postale, ma, alla fine, il suo bluff è stato scoperto. E l’ultimo tentativo di incassare la pensione è comunque catalogabile come truffa tentata, nonostante il direttore dell’ufficio fosse stato precedentemente informato della morte del marito della donna.

Percorso quasi netto per un’anziana donna, capace di buggerare, per anni – da agosto 2002 a marzo 2006 –, i dipendenti dell’ufficio postale, incassando la pensione di guerra del marito, però già morto. L’ultimo – in ordine cronologico – incasso, difatti, le è fatale viene smascherato l’inganno. Così la donna è condannata non solo per la truffa perpetrata per anni, e anche per la truffa tentata, e non riuscita, in occasione del suo ultimo blitz alle Poste Cass., sent. n. 45114/2014, Seconda Sezione Penale, depositata oggi . Bluff scoperto. Nessun dubbio, sia chiaro, sulla condotta della donna, la quale, è acclarato, ha riscosso, dall’agosto 2002 al marzo 2006, la pensione di guerra del marito, nonostante questi fosse deceduto . ‘Vittime’ designate gli impiegati dell’ufficio postale preso di mira dalla donna. Consequenziale la condanna, concordano i giudici di merito. Però non solo per la truffa perpetrata, come detto, per anni, ma anche per la truffa tentata e non riuscita – a marzo 2006 – quando il bluff messo in atto dalla donna è stato scoperto. Proprio su quest’ultimo punto viene centrato il ricorso in Cassazione proposto dal difensore della donna, il quale ritiene illogico contestare anche la truffa tentata . Per quale motivo? Semplicemente perché il direttore dell’ufficio postale era a conoscenza, dal 20 marzo 2006, del decesso del pensionato, e quindi in condizione di negare la corresponsione del denaro. Tale visione, però, viene ritenuta non plausibile dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, difatti, confermano la condanna anche per la truffa tentata . Ciò perché, spiegano i giudici, l’idoneità del comportamento della donna a trarre in inganno i dipendenti dell’ufficio postale è dimostrata dai fatti , e la sopravvenuta conoscenza , da parte del direttore, del decesso del pensionato nulla toglie all’astratta capacità di cagionare la falsa rappresentazione della realtà . Difatti, concludono i giudici, solo l’intervento di fattori esterni ha fatto sì che la donna non riuscisse, questa volta, nell’inganno .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 15 – 31 ottobre 2014, n. 45114 Presidente Petti – Relatore Rago Fatto e diritto 1. Con sentenza del 26/06/2013, la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza con la quale, in data 29/06/2011, il giudice monocratico del tribunale di Noia aveva ritenuto P. Luisa colpevole dei reati di truffa capo sub a e tentata truffa capo sub b aggravata per avere riscosso - dall'agosto 2002 al marzo 2006 - la pensione di guerra del marito V.G. nonostante questi fosse deceduto. 2. Avverso la suddetta sentenza l'imputata, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione limitatamente al capo sub b tentata truffa sostenendo che, poiché il Direttore dell'ufficio postale era stato messo a conoscenza, fin dal 20/3/2006, del decesso del V., e, quindi, messo nelle condizioni di negare la corresponsione della pensione alla P. quando questa si fosse recata all'ufficio postale per la riscossione, allora il tentativo di truffa non sarebbe ipotizzabile trattandosi di reato impossibile. 3. II ricorso è manifestamente infondato. In fatto, va premesso che non è in contestazione la condotta truffaldina posta in essere dalla ricorrente la quale, ricorrendo a vari artifizi descritti nel capo d'imputazione, per anni indusse in errore gli impiegati dell'ufficio postale, facendosi consegnare la pensione del marito, sebbene questi fosse deceduto. Correttamente, pertanto, entrambi i giudici di merito, anche relativamente al tentativo condotto con le stesse modalità con le quali per anni la ricorrente era riuscita a farsi consegnare la pensione, hanno disatteso la medesima doglianza osservando che l'idoneità del comportamento a trarre in inganno i dipendenti dell'ufficio postale è dimostrato dai fatti e la sopravvenuta conoscenza del decesso del marito nulla toglie all'astratta capacità di cagionare la falsa rappresentazione della realtà e solo l'intervento di fattori indipendenti ed esterni alla volontà della donna hanno impedito che anche questa volta la P. riuscisse nell'inganno ad incassare la pensione del coniuge . La Corte, infatti, si è adeguata al costante orientamento giurisprudenzale - che in questa sede va ribadito - secondo il quale l'idoneità degli atti va valutata ex ante prescindendo dalle condizioni che, in concreto, hanno ostacolato la realizzazione del delitto ex plurimis SSUU 6218/1983 Rv. 159725 Cass. 7630/2004 Rv. 228557 Cass. 41405/2010 Rv. 248933 Cass. 30139/2011 Rv. 250413 Cass. 36536/2011 Rv. 251145 Cass. 44260/2013 Rv. 256866. La declaratoria di inammissibilità preclude la rilevabilità della prescrizione in applicazione del principio di diritto secondo il quale l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. ex plurimis SSUU 22/11/2000, De Luca, Riv 217266 - Cass. 4/10/2007, Impero. Stessa regola vale nell'ipotesi in cui, in ipotesi, la prescrizione fosse maturata prima dell'impugnata sentenza, dovendosi ribadire il principio secondo il quale L'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., l'estinzione del reato per prescrizione, pur maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello, ma non dedotta né rilevata da quel giudice SSUU 23428/2005 riv 231164 Cass. 6693/2014 riv 259205 Cass. 25807/2014 riv 259202 Alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.