All’assoluzione del pubblico ufficiale segue l’assoluzione del privato beneficiario

Il reato d’abuso d’ufficio è reato proprio e per la sua sussistenza è necessario che sia commesso da un pubblico ufficiale, a carico del quale deve essere riconosciuto sia l’elemento oggettivo, sia l’elemento soggettivo.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 44790, depositata il 27 ottobre 2014. Il fatto. Due imputati nell’ambito del medesimo procedimento penale, il primo in veste di pubblico ufficiale che aveva rilasciato il permesso di costruire e il secondo nella veste di privato beneficiario del titolo edilizio illegittimo, venivano, rispettivamente l’uno assolto dall’abuso perché il fatto non costituisce reato in mancanza dell’elemento psicologico e dall’illecito edilizio per non aver commesso il fatto, l’altro condannato per i medesimi reati. Il privato proponeva istanza di revisione della sentenza che lo condannava per i reati di violazione edilizia e di abuso d’ufficio, commessi in concorso con l’altro imputato, osservando che la decisione era inconciliabile con la sentenza assolutoria nei confronti del pubblico ufficiale. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli, confermativa della posizione assunta dal primo giudice, propone ricorso per cassazione il privato beneficiario. Investita della questione, la Corte di Cassazione ha ritenuto effettivamente inconciliabile la sentenza di condanna nei confronti del privato con quella assolutoria nei confronti del pubblico ufficiale. Il dolo del pubblico ufficiale. Il privato, infatti, risponde quale concorrente in un reato che per sua natura può essere commesso esclusivamente dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Dato che l’interesse protetto dalla norma incriminatrice è costituito dall’imparzialità della Pubblica Amministrazione nei confronti dei cittadini, rispetto al concretizzarsi dell’offesa, il dolo del pubblico ufficiale è essenziale, poiché senza di esso non vi è violazione del dovere facente capo allo stesso e, quindi, lesione del bene giuridico protetto. Dunque, sostiene la Cassazione, le sentenze in oggetto non contengono valutazioni giuridiche diverse, ma ricostruzioni del fatto opposte e incompatibili la sentenza del pubblico ufficiale ricostruisce un’ipotesi di errore scusabile a carico del tecnico, le sentenze del privato descrivono un accordo illecito e un comportamento improntato a mala fede. In conclusione, pertanto, deve ritenersi che non sia possibile la sussistenza del reato d’abuso d’ufficio solo a carico del privato beneficiario, laddove l’assoluzione del pubblico ufficiale per carenza dell’elemento psicologico comporta l’assoluzione del privato per il medesimo reato. La Suprema Corte, alla luce di queste ricostruzioni, ha deciso per l’annullamento dell’ordinanza impugnata e rinviato alla Corte d’appello di Roma per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 13 maggio – 27 ottobre 2014, n. 44790 Presidente Zecca – Relatore Esposito Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 9/7/2013 la Corte d'Appello di Roma dichiarava inammissibile l'istanza proposta da R.A. per la revisione della sentenza del GUP di Napoli del 21 luglio 2008, confermata dalla Corte d'Appello di Napoli e, successivamente, dalla Corte di Cassazione, passata in giudicato, con la quale il predetto era stato ritenuto responsabile per i reati, unificati per continuazione, di violazione edilizia e di abuso d'ufficio, commessi in concorso con il p.u. M.C. . 2. Era accaduto che M.C. e R.A. , imputati nell'ambito del medesimo procedimento penale, il primo nella veste di p.u. che aveva rilasciato il permesso di costruire e il secondo nella veste di privato beneficiario del titolo edilizio illegittimo, a seguito di opzione da parte del primo per il rito ordinario e da parte del secondo per il giudizio abbreviato, erano stati, entrambi con sentenze divenute irrevocabili, rispettivamente l'uno assolto dall'abuso perché il fatto non costituisce reato e dall'illecito edilizio per non aver commesso il fatto, con assoluzione degli altri coimputati privati concorrenti, l'altro condannato per i medesimi reati. La vicenda ruotava attorno al permesso a costruire rilasciato il 26/6/2006 in favore del R. , quale committente di opere edilizie, in contrasto con gli strumenti urbanistici del Comune di Crispano. L'illiceità della concessione edilizia, accertata per contrasto con gli strumenti urbanistici e carenza di istruttoria, nella ricostruzione del G.u.p. aveva determinato, oltre alla consumazione del reato di costruzione abusiva, anche di quello di abuso d'ufficio. Nella decisione attinente al R. i giudici avevano incidentalmente sostenuto la responsabilità del M. , in concorso con il predetto. 3. A fondamento dell'istanza di revisione il R. aveva dedotto, in primis, la sussistenza dell'ipotesi di cui alla lettera A del comma 1 del'art. 630 c.p.p., osservando che la decisione era inconciliabile con la sentenza assolutoria nei confronti del M. in secondo luogo di quella di cui alla lettera C della stessa norma, in ragione dell'esistenza di una nuova prova, tale potendosi qualificare la citata sentenza. 4. Nel dichiarare inammissibile l'istanza di revisione la Corte territoriale ha osservato che la sentenza assolutoria nei confronti del M. non contestava i fatti posti a fondamento della decisione assunta nei confronti del R. . Ha rilevato che il M. era stato assolto dal reato di abuso per l'incertezza circa la sussistenza dell'elemento psicologico, cioè del dolo intenzionale, a causa della scarsa chiarezza della normativa edilizia, con la formula perché il fatto non costituisce reato. Ne era derivata una ricaduta sul reato di violazione edilizia, per il quale la formula era stata quella del non aver commesso il fatto . Ha ritenuto che i fatti posti a fondamento delle due sentenze non solo non sono inconciliabili, ma sono gli stessi, mentre ciò che distingue le due difformi decisioni, pur nella conferma della oggettività dei medesimi, è la valutazione in ordine alla responsabilità del M. , incidentalmente affermata dal GUP ed esclusa dal Tribunale. Ha richiamato l'orientamento giurisprudenziale in forza del quale l'incompatibilità non deve sussistere fra valutazioni svolte nelle due sentenze, bensì con riferimento ai fatti sui quali esse si basano. Ha affermato che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere, a pena d'inammissibilità, tali da dimostrare, se accertati, che il condannato va prosciolto e che tali elementi non possono consistere nel mero rilievo di un contrasto nella valutazione degli stessi fatti, peraltro sotto il profilo dell'elemento psicologico. 5. La Corte ha ritenuto inapplicabile, altresì, il disposto di cui alla lettera C del comma 1 dell'art. 630 c.p.p., trattandosi di disposizione che fa riferimento alla sopravvenienza di nuove prove e non già di nuove sentenze. 6. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il R. . Con il primo motivo deduce violazione degli artt. 323 e 110 c.p., oltre a manifesta illogicità della motivazione. Rileva che la sentenza impugnata omette di affrontare il problema di carattere giuridico specifico posto con l'istanza di revisione. In particolare, non considera che il reato di abuso d'ufficio è reato proprio e che per la sua sussistenza è necessario che sia commesso da un pubblico ufficiale, a carico del quale deve essere riconosciuto sia l'elemento oggettivo, sia l'elemento soggettivo. Incorre nell'errore di diritto di ritenere che sia possibile la sussistenza del reato di abuso d'ufficio solo a carico del privato beneficiario, laddove l'assoluzione del pubblico ufficiale per carenza dell'elemento psicologico comporta l'assoluzione dell'extraneus per il medesimo reato. Osserva che le sentenze non contengono valutazioni giuridiche diverse, ma ricostruzioni del fatto opposte e incompatibili la sentenza M. ricostruisce un'ipotesi di errore scusabile a carico del tecnico, le sentenze R. descrivono un accordo illecito e un comportamento improntato a mala fede. 7. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio motivazionale della sentenza nella parte in cui sostiene che una nuova sentenza non può costituire nuova prova ai sensi dell'art. 630 n. 1 lett. C c.p.p Rileva che nella specie la sentenza richiamata costituisce prova della buona fede di M. , con ricadute sulla posizione del beneficiario dell'atto. 8. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento all'art. 44 lett. B D.p.r. 380 del 2001 e vizio motivazionale. Osserva che il R. era stato condannato in conseguenza di un permesso di costruire ritenuto illegittimo e, quindi, tamquam non esset, a seguito di disapplicazione. Di conseguenza, una volta ritenuto giuridicamente esistente il permesso di costruire, viene meno anche la condanna per il reato indicato, che punisce colui il quale realizza un intervento edilizio non autorizzato. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è fondato e merita accoglimento. 2. Reputa questa Corte che la sentenza di condanna nei confronti del R. sia inconciliabile con quella assolutoria nei confronti del M. . Ed invero la norma di cui all'art. 630 primo comma c.p.p. va letta nel caso in disamina in correlazione con le norme di diritto sostanziale relative alla fattispecie di reato di abuso d'ufficio e di concorso di persone nel reato proprio. Il R. , infatti, risponde quale concorrente in un reato che per sua struttura può essere commesso esclusivamente dal pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni la partecipazione dolosa dell'intraneus è essenziale affinché ricorra la lesione del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. L'interesse protetto dalla norma è costituito, infatti, dalla imparzialità della Pubblica Amministrazione nei confronti dei cittadini, intesa come salvaguardia dei poteri pubblici dall'esercizio dei medesimi da parte dei pubblici ufficiali in spregio al diritto di uguaglianza dei consociati. Rispetto al concretizzarsi dell'offesa, il dolo del pubblico ufficiale è essenziale, poiché senza di esso non vi è violazione del dovere facente capo allo stesso e, quindi, lesione del bene giuridico protetto. 3. Da ciò consegue che il reato di abuso d'ufficio non può essere ravvisato a carico del solo privato beneficiario. Sotto tale profilo erra la Corte territoriale nell'affermare che l'abuso d'ufficio si è concretizzato per il solo fatto che il permesso di costruire è stato rilasciato nel contrasto con gli strumenti urbanistici, e alla fine con la tutela del territorio . Ciò che viene in considerazione in relazione al reato di abuso d'ufficio, infatti, è il bene giuridico della probità e della correttezza della P.A., non già le norme di diritto penale e amministrativo a tutela del territorio. 4. Alla luce di quanto esposto l'argomento posto a fondamento della decisione impugnata, secondo cui l'incompatibilità tra giudicati deve sussistere non fra le valutazioni svolte nelle due sentenze, bensì con riferimento ai fatti sui quali esse si basano , non è d'ostacolo al positivo vaglio d'ammissibilità dell'istanza di revisione. Con riferimento al reato in argomento, in ragione della sua natura di reato proprio, deve ritenersi, infatti, che tutti gli elementi del reato in capo al pubblico ufficiale, compreso il dolo intenzionale, rientrino, rispetto alla posizione del concorrente extraneus, nella nozione di fatti stabiliti a fondamento della sentenza ex art. 630 lett. A c.p.p L'interpretazione offerta, oltre che corretta sul piano logico e sistematico, è idonea, altresì, a evitare un intollerabile differente trattamento fra soggetti diversi in relazione alla medesima vicenda incontrovertibilmente accertata. 5. In base alle svolte argomentazioni va accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri motivi. Ne consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma per nuovo esame. P.Q.M. La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma per nuovo esame.