Anche la distrazione di beni a proprio profitto è penalmente rilevante

In tema di appropriazione indebita, la nozione di appropriazione ha finito per assumere, con il passare del tempo, un significato sempre più ampio, comprensivo sia dell'appropriazione in senso stretto di cui le più tipiche forme di manifestazione sono l'alienazione, la consumazione e la ritenzione , sia della distrazione, sia dell'uso arbitrario dal quale derivi al proprietario la perdita del denaro o della cosa mobile. Ne consegue che, anche in relazione al delitto di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p., che non ha mai incluso formalmente la condotta di distrazione, prevale oggi l'opinione che ritiene tale condotta - intesa nel suo significato di deviare la cosa dalla sua destinazione o nel divergerla dall'uso legittimo - riconducibile sostanzialmente a quella appropriativa.

Lo ha stabilito la sez. II Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44176, depositata il 23 ottobre 2014. Possesso e detenzione nell’appropriazione indebita. Secondo il prevalente orientamento della dottrina, il possesso nel diritto penale è un potere di fatto sulla cosa esercitato autonomamente, cioè fuori della sfera di vigilanza diretta di chi abbia, sulla cosa stessa, un potere maggiore. Sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, esso consiste nella coscienza e volontà, in capo al possessore, della relazione materiale con la cosa, e dunque con la volontà di tenerla presso di sè c.d. animus rem sibi habendi , altrimenti sarebbe possessore anche chi non sa di avere il bene con sè. Su altro versante si pone l’istituto della detenzione, il quale ricorre nei soli casi di potere di fatto esercitato sotto la sfera giuridica di sorveglianza di chi abbia su di essa potere maggiore. Il delitto di appropriazione indebita si consuma al momento dell'interversione dell' animus possidendi in capo a colui cui la cosa è stata affidata, ossia nel momento nel quale egli matura la convinzione di volerla trattenere per sè. Ne consegue che è del tutto irrilevante, ai fini della configurazione del delitto consumato, la circostanza che, in un tempo successivo, il reo perda la materiale o giuridica disponibilità del bene, e non possa più provvedere alla sua consegna all'avente diritto. Contestata l’appropriazione. Secondo la difesa dell’imputato nel caso di specie, l’appropriazione di mero uso richiede pur sempre, sotto il profilo oggettivo, un’appropriazione del bene da parte dell’agente, pur se tale appropriazione deve concretizzarsi in un uso momentaneo della cosa. In ossequio al principio di offensività, che presiede il sistema penale, il fatto deve inoltre essere tale da eccedere i limiti del titolo in virtù del quale l’agente detiene la cosa in custodia. Tale pregiudizio, anche se minimo, deve comunque essere apprezzabile. In difetto, la fattispecie, priva della lesività minima necessaria, non può assumere rilevanza penale e giustificare l’applicazione della relativa sanzione di cui all’art. 646 c.p Sempre secondo la difesa, le prove assunte nel corso del processo in alcun modo permettevano di ritenere integrato il requisito dell’appropriazione, neanche momentanea. Tali prove, a tutto voler concedere, nella denegata ipotesi in cui fossero state considerate sufficienti a dimostrare l’uso contrario al titolo, avrebbero potuto indicare, semplicemente, un uso istantaneo da parte dell’imputato del telefono cellulare e del personal computer, appartenenti all’Istituto di Credito proprietario dei beni. La difesa dell’imputato concludeva perciò affermando che l’appropriazione di mero uso dei beni non era idonea a cagionare tale pregiudizio, né ad integrare un danno patrimoniale apprezzabile. e l’orientamento dominante. La sentenza in commento richiama la motivazione della recente pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 19054/2012, in tema di peculato d’uso art. 314 c.p. . Adattando la motivazione della prefata sentenza al caso di specie, la sez. II della Cassazione afferma che la condotta dell’agente il quale, utilizzando illegittimamente, per fini personali, il telefono o il personal computer, assegnatogli per ragioni d'ufficio, produce un apprezzabile danno al patrimonio della dell’Istituto di Credito per il quale lavora, o una concreta lesione alla funzionalità di quest’ultimo, deve ritenersi sussumibile nel reato di appropriazione indebita, previsto e punito dall’art. 646 c.p Uso arbitrario. In altri termini, il termine appropriarsi non significa soltanto annettere al proprio patrimonio il danaro o la cosa mobile altrui, bensì anche disporne, arbitrariamente, uti dominus sotto qualsiasi forma, sicché l'uso arbitrario dell'uno o dell'altra dal quale derivi per il proprietario l'irreversibile perdita dell'uno o dell'altra è equiparato all'appropriazione. In un caso – per certi versi – analogo, le Sezioni Unite della Suprema Corte avevano stabilito che è configurabile il reato di appropriazione indebita, nel caso in cui il dipendente di un istituto bancario privato conceda, di fatto, un fido al cliente, violando, in collusione con lo stesso, le norme sugli affidamenti stabilite dagli istituti, in modo da realizzare un'arbitraria disposizione di beni della banca a profitto di terzi sentenza n. 9863/1989 .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 15 – 23 ottobre 2014, n. 44176 Presidente Petti – Relatore Davigo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 12.12.2012 il Tribunale di Lecco dichiarò C.D. responsabile di appropriazione indebita del traffico internet di Deutsche Bank S.p.A. sotto forma di impulsi elettronici capo A e - concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 11 cod. pen. - lo condannò alla pena di mesi 4 di reclusione ed Euro 400,00 di multa, nonché del reato di cui all'art. 600 quater cod. pen. capo B e lo condannò alla pena di giorni 15 di reclusione ed Euro 1.032,00 di multa. L'imputato è stato condannato, in relazione al solo capo A, al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio, con una provvisionale ed alla rifusione delle spese a favore della parte civile Deutsche Bank S.p.A. 2. L'imputato propose gravame ma la Corte d'appello di Milano, con sentenza del 13.2.2014, confermò la pronunzia di primo grado e condannò l'imputato alla rifusione a favore della parte civile delle ulteriori spese di giudizio. 3. Ricorre per cassazione l'imputato personalmente deducendo 1. violazione di legge e vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova con i motivi di appello erano state segnalate le divergenze fra le dichiarazioni di R. e quelle del perito P. nonché di quelle di D. , riguardanti in particolare il numero e la tipologia di accessi al computer nel periodo compreso tra la consegna del computer a R. e l'inizio delle operazioni peritali la difesa aveva segnalato che l'accesso da parte di R. avrebbe reso non affidabili i dati nessuna valutazione sul punto è stata espressa dalla Corte territoriale non sono state valutate neppure le dichiarazioni di D. , sindacalista che ha assistito l'imputato nel contenzioso con la banca sull'intenzione della banca di licenziarlo l'unico fotogramma pedopornografico non consentirebbe di affermare che l'imputato ammesso che sia stato lei a scaricarlo ne abbia percepito tale natura 2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di cui all'art. 646 cod. pen. e le conseguenti statuizioni civili non vi è alcuna prova del trasferimento dei files scaricati dal telefono cellulare e dal computer della banca rimasti sempre nel possesso della banca ad altri apparati la condotta ascritta all'imputato sarebbe perciò distrazione di beni a proprio profitto o appropriazione di mero uso, penalmente irrilevante sul punto non vi sarebbe motivazione nella sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è generico, manifestamente infondato e svolge censure di merito. Anzitutto non può essere valutato il dedotto travisamento del contenuto delle prove testimoniali, sotto il profilo del contrasto, stante la genericità delle deduzioni in proposito svolte nel motivo di ricorso, mediante la trascrizione solo parziale delle dichiarazioni di R. , P. e D. . Questa Corte ha infatti affermato che, in forza della regola della autosufficienza del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l'onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l'effettivo apprezzamento del vizio dedotto. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 37982 del 26.6.2008 dep. 3.10.2008 rv 241023 . In secondo luogo il motivo di ricorso è inammissibile perché, sotto il profilo della violazione della legge processuale e del vizio di motivazione tenta di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito neppure alla luce della modifica dell'art. 606 lettera e cod. proc. pen. introdotta con L. n. 46/2006, ed inoltre è manifestamente infondato. Va premesso che la modifica normativa dell'art. 606 lettera e cod. proc. pen., di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46 lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati. È perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorché si introduce nella motivazione un'informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia Cass. Sez. 2, Sentenza n. 47035 del 03/10/2013 Ud. dep. 26/11/2013 Rv. 257499 . Attraverso l'indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione. Ciò peraltro vale nell'ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell'ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui il giudice d'appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4060 del 12/12/2013 Ud. dep. 29/01/2014 Rv. 258438 . Infine il dato probatorio che si assume travisato od omesso deve avere carattere di decisività non essendo possibile da parte della Corte di cassazione una rivalutazione complessiva delle prove che sconfinerebbe nel merito. Nel caso in esame i giudici di merito hanno esaminato i dati che si assumo trascurati affermando che L'appellante, speciosamente, da per provato ciò che non lo è, invocando un suo proprio assioma che vuole falsi tutti i dati processuali che non collimano con la sua tesi, senza badare che la falsa testimonianza e la manipolazione del computer con alterazione dei metadati dei lies allo scopo di ottenere la condanna di un innocente, sono delitti gravi e le accuse andrebbero lanciate con attenzione e prudenza , per poi precisare le ragioni per le quali ha disatteso le doglianze difensive p. 5 sentenza impugnata . Nella relativa motivazione non vi è alcuna manifesta illogicità o violazione di legge che la renda sindacabile in questa sede. 2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Premesso che la sentenza impugnata ha smentito la mancanza di una condotta appropriativa rilevando che ai dipendenti, in caso di uso personale del cellulare era imposto l'utilizzo di un codice personale, sarebbe comunque irrilevante il fatto che sul punto della qualificazione giuridica la sentenza di appello fosse carente di motivazione, giacché ciò che integra il vizio è l'omessa motivazione in fatto e non quella in diritto v. Cass. Sez. 4^ sent. 6243 del 7.3.1988 dep. 24.5.1988 rv 178442 Il vizio di motivazione rilevante ai fini della nullità della sentenza ex art. 475 n. 3 cod. proc. pen. è quello in fatto e non già quello in diritto, nel senso che non può esservi ragione di doglianza allorquando la soluzione di una questione di diritto, anche se immotivata o contraddittoriamente ed illogicamente motivata, sia comunque esatta, mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano”, resa sotto la vigenza del codice di procedura penale del 1930, ma che non vi sono ragioni che impongano una diversa valutazione sotto il vigente codice di rito . Pertanto nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito. Cass. Sez. 2, sent. n. 3706 del 21.1.2009 dep. 27.1.2009 rv 242634 . Sotto il profilo della violazione di legge la doglianza è manifestamente infondata. Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 19054 del 20/12/2012 dep. 02/05/2013 Rv. 255296 hanno affermato che, in tema di peculato, la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che utilizzi il telefono d'ufficio per fini personali al di fuori dei casi d'urgenza o di specifiche e legittime autorizzazioni, integra il reato di peculato d'uso se produce un danno apprezzabile al patrimonio della P.A. o di terzi, ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell'ufficio, mentre deve ritenersi penalmente irrilevante se non presenta conseguenze economicamente e funzionalmente significative. La sentenza ha cosi motivato 4.4. La condotta di appropriazione identifica li comportamento di chi fa propria una cose altrui, mutandone il possesso, con il compimento di atti incompatibili con il relativo titolo e corrispondenti a quelli riferibili al proprietario. Essa si articola in due momenti il primo, negativo c.d. espropriazione , di indebita alterazione dell'originaria destinazione del bene il secondo, positivo c.d. impropriazione , di strumentalizzazione della res a vantaggio di soggetto diverso dal titolare del diritto preminente. Con l'interverslo possessionis, il soggetto inizia a trattare il denaro o la cosa mobile come fossero suoi, compiendo su di essi uno o più atti di disposizione - comportamenti materiali o atti negoziali - che, incompatibili con il titolo del possesso, rivelano una signoria che non gli compete e che egli indebitamente si attribuisce. Nell'esercizio effettivo di una o più facoltà spettanti solo all'autentico dominus si realizza quella conversione della cosa a profitto proprio o altrui che, tradizionalmente indicata come ricompresa nel concetto stesso di appropriazione, non può non emergere anche là dove, come nell'art. 314 cod. pen., e diversamente da quanto avviene per il delitto di appropriazione indebita dove, previsto come ingiusto, compare quale finalizzazione del dolo specifico , il profitto proprio o altrui non risulti testualmente menzionato dalla norma. Secondo la giurisprudenza, la nozione di appropriazione nell'ambito del delitto di peculato realizzantesi con l'inversione del titolo del possesso da parte del pubblico agente, che si comporta, oggettivamente e soggettivamente, uti dominus nei confronti della res posseduta in ragione dell'ufficio, che viene, correlativamente, estromessa in toto dal patrimonio dell'avente diritto - è rimasta Invariata anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 86 del 1990 Sez. 6, n. 8009 del 10/06/1993, Ferolla, Rv. 194923 . L'espunzione della distrazione dal nuovo testo dell'art. 314 cod. pen. ha reso particolarmente delicato il problema dei rapporti tra le nozioni di appropriazione e distrazione. In giurisprudenza si ritiene che l'eliminazione della parola distrazione dal testo dell'art. 314 cod. pan., operata dalla legge n. 86 del 1990, non ha determinato puramente e semplicemente il transito di tutte le condotte distrattive poste in essere dall'agente pubblico nell'area di rilevanza penale dell'abuso d'ufficio. Qualora, infatti, mediante la distrazione del denaro o della cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione pubblica ed indirizzate ai soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di terzi, viene comunque integrato il delitto di peculato. La condotta distrattiva, invece, può rilevare come abuso d'ufficio nei casi in cui la destinazione del bene, pur viziata per opera dell'agente, mantenga la propria natura pubblica e non vada a favorire interessi estranei alla p.a. Sez. 6, n. 17619 dei 19/03/2007, Porpora Sez. 6, n. 40148 del 24/10/2002, Gennari . È interessante notare che anche in relazione al delitto di appropriazione indebita di cui all'art. 646 cod. pen., che non ha mai incluso forma/mente la condotta di distrazione, prevale l'opinione che ritiene tale condotta - intesa nel suo significato di deviare la cosa dalla sua destinazione o nel divergerle dall'uso legittimo - riconducibile sostanzialmente a quella appropriativa Sez. U, n. 9863 del 28/02/1989, Vita, Rv. 181789 Sez. U, n. 1 del 28/02/1989, Cresti, Rv. 181792 Sez. 2, n. 5136 del 04/04/1997, Bussei, Rv, 208059 Sez. 2, n. 282921 del 19/11/1991 Griffa, Rv. 189314 Sez. 2, n. 5523 dei 27/02/1991, B.N.L., Rv. 187512 . Discorso analogo, per il delitto di cui all'art. 646 cod. pen., si fa anche per l'uso indebito della cosa, ove esso si connoti per l'eccedenza dai limiti del titolo in virtù del quale l'agente deteneva in custodia la stessa, di modo che l'atto compiuto comporti un impossessamento, sia pur temporaneo, del bene Sez. 2, n. 47665 del 27/11/2009, Cecchini, Rv. 245370 Sez. 2, n. 5136 del 04/04/1997, Bussei, Rv. 208059 Sez. 3, n. 3445 dei 02/02/1995, Carnovale, Rv. 203402 Sez. 2, n. 2954 del 15/12/1971, dep. 1972, Rv. 120966 . La nozione di appropriazione, nello stesso ambito dei delitto di cui all'art. 646 cod. pen. il quale, com'è noto, ove aggravato ex art. 61, n. 9, cod. pen., si distingue dal peculato in ragione del titolo del possesso Sez. 6, n. 34884 del 07/03/2007, Rv. 237693 Sez. 6, n. 377 del 08/11/1988, Rv. 180167 , ha, dunque, finito per assumere, con il passare del tempo, un significato sempre più ampio, comprensivo sia dell'appropriazione in senso stretto di cui le più tipiche forme di manifestazione sono l'alienazione, la consumazione e la ritenzione , sia della distrazione, sia dell'uso arbitrario dal quale derivi al proprietario la perdita del denaro o della cosa mobile”. La richiamata motivazione, che il Collegio condivide, risponde alle doglianze svolte rivelandone la manifesta infondatezza. 3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. 4. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute per questo grado di giudizio dalla parte civile Deutsche Bank S.p.A. che si liquidano tenuto conto che va esclusa la fase introduttiva - che la parte civile non ha svolto - che la fase istruttoria è stata abrogata - e che l'indennità non è più spettante , in Euro 1.80,00, oltre rimborso forfettario delle spese, I.V.A. e C.P.A. per fase di studio e decisoria . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute per questo grado di giudizio dalla parte civile Deutsche Bank S.p.A. liquidate in Euro 1.800,00, oltre rimborso forfettario delle spese, I.V.A. e C.P.A