Serenità ritrovata per la coppia, ma ciò non sminuisce i maltrattamenti subiti dalla donna

Confermata la condanna dell’uomo, resosi responsabile, in passato, di condotte violente nei confronti della moglie. Irrilevante il fatto che la donna abbia ridimensionato le accuse, a seguito della riappacificazione col proprio uomo, riappacificazione che ha portato anche al concepimento del terzo figlio.

Riappacificazione per la coppia di coniugi. Come ‘sigillo’ della ritrovata serenità anche il concepimento del terzo figlio, arrivato dopo la denuncia per maltrattamenti presentata dalla donna. Ciò, però, non rende meno gravi le accuse nei confronti dell’uomo, accuse acclarate, materiale probatorio alla mano, che conducono alla condanna Cassazione, sentenza n. 43764, sez. VI Penale, depositata oggi . Guerra e pace Nessun dubbio è stato espresso già dai giudici di merito, i quali condannano l’uomo per il reato di maltrattamenti in famiglia . Secondo l’uomo, però, tale decisione è eccessivamente dura. E a sostegno di questa tesi richiama il sostanziale ridimensionamento delle accuse da parte della moglie, dimostrato, aggiunge l’uomo, anche dalla circostanza che il terzo figlio era stato concepito dopo la denuncia presentata dalla moglie. E come ulteriore elemento a proprio favore, l’uomo evidenzia che i testi avevano semplicemente riferito di litigi di natura sporadica, tali da non integrare gli elementi costitutivi del reato, connotato da necessaria abitualità . La linea difensiva dell’uomo, però, si rivela assai fragile. Non a caso, i giudici della Cassazione confermano la condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia , sottolineando che la sopravvenuta ricomposizione dei rapporti tra marito e moglie nulla è in grado di dimostrare quanto alle pregresse attività , ossia i maltrattamenti denunciati dalla donna e percepiti personalmente anche da altre persone. Evidente, quindi, la responsabilità dell’uomo, a prescindere dalle evoluzioni successive della vita di coppia .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 settembre – 20 ottobre 2014, n. 43764 Presidente Ippolito – Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Palermo, con sentenza del 06/11/2013, ha confermato l'affermazione di responsabilità di C.B. pronunciata dal Tribunale di Agrigento -sezione distaccata di Licata in data 13/06/2011 in relazione al reato di maltrattamenti in famiglia, concedendo le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva contestata. 2. La difesa di B. ha proposto ricorso con il quale si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'applicazione della norma incriminatrice, in quanto nella sentenza sono state sottovalutate le deduzioni della difesa che segnalavano l'assenza sia dell'elemento psicologico che dell'elemento materiale del reato, con particolare riferimento al sostanziale ridimensionamento delle accuse realizzato dalla parte lesa, dimostrato dalla circostanza che il terzo figlio era stato concepito dopo la denuncia. Si osserva inoltre che gli ulteriori testi avevano riferito di litigi di natura sporadica, tali da non integrare gli elementi costitutivi del reato, connotato da necessaria abitualità. Si lamenta inoltre la svalutazione del dato della mancanza di un certificato medico in atti attestante le lesioni lamentate, a conforto della sussistenza del delitto di maltrattamenti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per genericità. 2. Si deve in proposito richiamare la natura del reato di maltrattamenti, che presuppone la presenza di reiterati comportamenti di svilimento della personalità di un membro della famiglia o di persona convivente, per desumere, da un canto, che la sopravvenuta ricomposizione dei rapporti tra le parti, evocata dall'interessato, nulla è in grado di dimostrare quanto alle pregresse attività, che emergono dalle dichiarazioni della parte lesa, e da quanto riferito dai testi che con essa si rapportavano nel periodo in cui questa subiva le vessazioni denunciate e che sono stati in grado, sulla base di quanto riferito in sentenza e non contestato nel ricorso, anche di percepire personalmente la presenza di episodi aggressivi rilevanti consumati dall'odierno ricorrente. Le osservazioni formulate nell'impugnazione, attinenti a quanto avvenuto successivamente, e volte a valorizzare il tentativo da parte della donna di ridimensionare le accuse, peraltro parziale, risultano del tutto generiche, oltre che irrilevanti, anche alla luce della contestazione svolta, che appare delimitata ad uno specifico arco temporale, cui deve necessariamente rapportarsi l'affermazione di responsabilità, e che, conseguentemente, rimane indifferente alle evoluzioni successive della vita di coppia. Manifestamente infondate risultano le contestazioni riguardanti l'omessa certificazione delle lamentate lesioni, poiché l'azione di maltrattamenti, sulla base di quanto ampiamente descritto nella sentenza, risulta comprovata da plurime prove testimoniali, la cui affidabilità non richiede il riscontro documentale richiamato. La superfluità ai fini dei decidere della documentazione di cui si assume la mancanza è confermata dal dato oggettivo che ben può esservi maltrattamento anche in assenza di lesioni, stante l'autonomia giuridica delle due figure delittuose per tutte Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, P, Rv. 256962 , mentre sulla base di quanto già riferito, è emerso che, nel caso concreto, conseguenze delle aggressioni consumate sul corpo della donna sono state accertate dai testi escussi nel corso del giudizio. 3. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'art. 616 cod.proc.pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000 in favore della Cassa delle ammende.