Per evitare un infortunio sul lavoro, è consigliabile rinnovare l’arredamento

E’ punibile il datore di lavoro per l’infortunio sul lavoro di un dipendente, anche se questo si è fatto male, cadendo da una scala dimenticata dalla precedente società.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 43459, depositata il 17 ottobre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Firenze condannava la legale rappresentante di una società, a causa delle lesioni personali subite da un dipendente, caduto da una scala priva dei dispositivi di sicurezza durante il lavoro, per colpa generica ed in violazione di specifiche norme antinfortunistiche. L’imputata ricorreva in Cassazione, deducendo che la scala fosse situata all’esterno del magazzino aziendale e che nessun dipendente l’avesse mai usata. In più, la società aveva messo a disposizione delle scale idonee e conformi alle prescrizioni antinfortunistiche. Di chi è la scala? La Corte di Cassazione, riesaminando la vicenda, rileva che la scala in questione era stata trovata dall’operaio appoggiata su uno scaffale, anche se non faceva parte della dotazione originaria dell’azienda molto probabilmente era stata lasciata lì dal precedente locatario . C’era la disponibilità. Tuttavia, la scala era nella disponibilità dei dipendenti e, anche se questi potevano utilizzarne altre conformi alle prescrizioni di sicurezza, mancavano il divieto espresso di utilizzare la prima e dei cartelli che ne inibissero l’uso. La responsabilità colposa discendeva, perciò, dal mancato controllo preventivo delle condizioni della scala e dall’averne consentito l’impiego anziché eliminarla, essendo prevedibile che i dipendenti potessero comunque farne uso. Ciò valeva, anche se il dipendente infortunato aveva avuto una condotta imprudente, utilizzando la prima scala a portata di mano. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 9 gennaio – 17 ottobre 2014, n. 43459 Presidente Sirena – Relatore Casella Ritenuto in fatto Con sentenza emessa il 24 febbraio 2011, il Tribunale di Firenze - Sezione staccata di Empoli dichiarò D.R. responsabile del delitto di lesioni personali ex art. 590, commi 1, 2 e 3 cod. pen. commesso in omissis , per colpa generica e per la violazione di specifiche norme antinfortunistiche, in danno del B.C. dipendente della s.r.l. Paperclean, legalmente rappresentata dalla imputata il quale si era infortunato - riportando ferite nella regione frontale e fratture alla gamba destra giudicate guaribili in un tempo superiore a giorni 40 - cadendo a terra dalla scala sulla quale era salito per prelevare materiale stoccato a circa cm.168 di altezza, a cagione della mancanza, alle estremità inferiori dei due montanti ed alle estremità inferiori dell'attrezzo, dei dispositivi antisdrucciolevoli nonché dei ganci di trattenuta. Condannò quindi l'imputata, con i doppi benefici di legge, alla pena di giorni VENTI di reclusione, concesse le attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla contestata aggravante nonché al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede. Con sentenza in data 18 maggio 2012, la Corte d'appello di Firenze confermava la pronunzia di primo grado. Ricorre per cassazione, per tramite del difensore, l'imputata articolando tre distinte censure le prime due, per violazione dell'art. 606 lett. e cod. proc.pen. la terza per violazione dell'art. 606 lett. d cod.proc.pen.,così sintetizzate. Con il primo motivo lamenta il difensore il difetto di motivazione in ordine al diniego di accesso al patteggiamento statuizione contenuta nella sentenza di primo grado e confermata dalla Corte d'appello sul rilievo della gravità del fatto e del grado della colpa, così obliterandosi la incensuratezza dell'imputata e l'occasionalità dell'evento. Con il secondo motivo. denunzia la difesa che, con motivazione contraddittoria, la Corte d'appello avrebbe giudicato la parte offesa assolutamente credibile benché fosse stata in realtà smentita dagli altri testi che riferirono, al contrario, che la scala in questione, al momento del fatto, si trovava non all'interno,ma all'esterno del magazzino aziendale che nessun dipendente aveva mai usato detta scala e che invece la società aveva messo a disposizione scale idonee e conformi alle prescrizioni antinfortunistiche, effettivamente rinvenute dalla P.G., all'interno dello stesso magazzino. Con la terza doglianza, censura il difensore il diniego della richiesta rinnovazione parziale dell'istruttoria mediante nuova escussione testimoniale del lavoratore infortunato affinché egli potesse fornire spiegazioni delle contraddizioni in cui era incorso nelle precedenti deposizioni, al fine di negare la propria colpa esclusiva nella produzione dell'evento. Conclusivamente il ricorrente insta per l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e deve quindi esser respinto con ogni conseguente effetto a carico dell'imputata, ex art. 616 cod. proc. pen Quanto alla prima censura,deve rilevarsi che con motivazione ineccepibile e del tutto coerente con la corretta applicazione della normativa di riferimento, la Corte distrettuale ha recepito le determinazioni del Tribunale di diniego dell'istanza di ammissione al patteggiamento avanzata dall'imputata attesa la gravità dell'evento e la non minimalità della colpa elementi di valutazione del caso specifico logicamente giudicati prevalenti rispetto all’incensuratezza dell'imputata ed alla occasionalità del fatto. Né va sottaciuto il significativo effetto di prevenzione speciale da ricollegarsi alla mancata conversione della pena detentiva in quella pecuniaria della specie corrispondente invece richiesta con il patteggiamento in logica coerenza con i richiamati elementi di valutazione. La sentenza impugnata è poi del tutto immune dai vizi lamentati con il secondo motivo di ricorso. In punto alla conferma del giudizio di colpevolezza dell'imputata, la Corte d'appello ha invero ineccepibilmente ribadito che,dalla compiuta istruttoria era emerso che la scala in ferro - le cui difformità dalle prescrizioni dettate dalla normativa antinfortunistica erano risultate incontestabili - fu trovata dall'operaio infortunatosi appoggiata su di uno scaffale, pur non facendo parte della dotazione originaria dell'azienda. Molto verosimilmente l'attrezzo di lavoro fu lasciato nel magazzino - ove la società si era di recente trasferita - dal precedente locatario. Era fuor di dubbio che la scala dovesse ritenersi nella disponibilità dei dipendenti della società di cui la D. era legale rappresentante,pur potendo essi servirsi anche di scale a libro e di scalei, conformi alle prescrizioni di sicurezza, attesa la mancanza di espresso divieto di servirsene rivolto al B. o di cartelli, sulla stessa apposti,che ne inibissero l'uso. La responsabilità colposa dell'imputata discendeva quindi dal fatto di non aver preventivamente controllato le obiettive condizioni della scala e di averne consentito l'impiego nell'azienda benché non a norma anziché eliminarla, non apparendo circostanza assolutamente imprevedibile, attesi gli evidenziati riscontri fattuali, che i dipendenti ne potessero occasionalmente far uso. Né era possibile escludersi il nesso di causalità tra le omissioni ascritte all'imputata e l'evento. Il fatto che l'operaio infortunatosi,pur risalendo al medesimo una condotta imprudente ed avventata che comunque il datore di lavoro è tenuto a scongiurare in ottemperanza alle norme di prevenzione antinfortunistica , avesse usato la prima scala esistente a portata di mano senza averne cercata un'altra più sicura per assolvere alle proprie mansioni, non integrava un comportamento anomalo od imprevedibile od ontologicamente avulso dalle incombenze allo stesso demandate nell'azienda. Per ciò che infine attiene alla terza doglianza, deve conclusivamente osservarsi che, con argomentazioni esaustive, i Giudici di seconda istanza hanno ribadito l'assoluta non necessità di procedere, in sede di rinnovazione parziale del dibattimento, all'escussione testimoniale della parte offesa che ebbe a riferire dinanzi al Tribunale le modalità dell'infortunio, riscontrate da altri elementi di prova, ferma quindi l'attendibilità della deposizione già resa. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.