Colpevole in “allegra compagnia”? Niente saldi sul sequestro

In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, ai sensi dell’art. 322- ter c.p., in caso di illecito plurisoggettivo deve applicarsi il principio solidaristico, che implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente. Perciò, una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la sua confisca ed il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare ciascuno dei concorrenti, anche per l’intera entità equivalente al profitto accertato.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 39936, depositata il 26 settembre 2014. Il caso. Il tribunale di Monza confermava il sequestro per equivalente disposto sui titoli in possesso di un indagato per i reati ex artt. 640, comma 2, 319 e 321 c.p L’uomo ricorreva in Cassazione, deducendo che l’accusa era per reati da lui commessi in qualità di amministratore di fatto di una società, beneficiaria dei fatti, per cui, prima di ricorrere al sequestro per equivalente, i giudici avrebbero dovuto eseguire il sequestro del profitto presso la società stessa. Tuttavia, per la Corte di Cassazione, nel caso di specie un’escussione per ricercare i beni profitto del reato, anche se non tentata, sarebbe stata infruttuosa, in quanto gli introiti risultavano percepiti nelle casse sociali in epoca risalente e quindi ragionevolmente non individuabili, anche perché si trattava di prestazioni quasi del tutto non eseguite, che rimandavano alla necessità di artifici contabili. Era, quindi, giustificabile, nella fase preliminare in cui il provvedimento era stato imposto, l’emissione di tale provvedimento cautelare per equivalente sui beni personali, salvo ulteriori approfondimenti successivi per l’ipotesi di verifica di persistenza di una parte del profitto in possesso della società, che eventualmente potrà comportare la limitazione del successivo provvedimento ablativo. Illecito plurisoggettivo. In più, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, ai sensi dell’art. 322- ter c.p., in caso di illecito plurisoggettivo deve applicarsi il principio solidaristico, che implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente. Perciò, una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la sua confisca ed il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare ciascuno dei concorrenti, anche per l’intera entità equivalente al profitto accertato. Nel caso di specie, oltre al fatto che la società non era stata perseguita ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, non era contestato che il ricorrente fosse tra gli autori dell’illecito. Perciò, l’importo oggetto dell’illecito poteva essere sequestrato sui suoi beni personali. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 luglio – 26 settembre 2014, n. 39936 Presidente Milo – Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Monza ha respinto il riesame proposto nell'interesse di G.P. in relazione al sequestro per equivalente disposto sui titoli in suo possesso, per un valore di oltre Euro 300.000, in relazione ai reati di cui agli artt. 640, Comma 2, cod. pen. e 319, 321 cod. pen 2. La difesa di G. deduce erronea applicazione della legge penale, con riferimento a quanto previsto dall'art. 322 ter cod. pen. Osserva a riguardo che, sulla base delle contestazioni elevate a carico del suo assistito, si imputa a questi la compilazione di bollette per il pagamento da parte della Metropolitana Milanese in misura superiore al dovuto, in favore della società RRS srl di cui era amministratore di fatto, circostanza che doveva indurre, in principalità, all'esecuzione del sequestro del profitto presso la società beneficiaria, ed a far ricorso al sequestro per equivalente solo in caso di incapienza di questa. L'assenza di una argomentazione sul punto specifico, su cui era stato proposto il riesame, rende illegittimo il provvedimento impugnato. 3. Con il secondo motivo si eccepisce la natura meramente apparente della motivazione, nella parte in cui ha contrastato eccezioni non proposte, ignorando quanto specificamente dedotto in ordine all'onere della previa escussione della società, aspetto del tutto ignorato, la cui mancata analisi vizia irrimediabilmente il provvedimento impugnato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Il principio di diritto di cui nel ricorso si rivendica l'applicazione, attinente all'onere di preventiva escussione del beneficiario dell'azione illecita, in questo caso della società amministrata di fatto da G. , ipoteticamente in possesso del profitto che deve sottoporsi a sequestro in prevenzione rispetto alla ricerca dell'equivalente, secondo quanto richiesto dall'art. 322 ter cod. pen., risulta nel merito inapplicabile. Tale escussione, sia pure non tentata per ricercare i beni profitto del reato confiscabili ex art. 240 cod. pen., appare pacificamente infruttuosa, per lo meno parzialmente, alla luce delle emergenze di fatto evidenziate nel provvedimento impositivo. Deve invero da un canto rilevarsi che in tale atto risulta chiaramente specificato che gli introiti risultano percetti nelle casse sociali in epoca risalente e quindi ragionevolmente non individuabili ad oggi, per di più con riguardo a prestazioni quasi del tutto non eseguite, il che rimanda alla necessità di artifici contabili, non idonei a permettere la compiuta correlazione tra le spese affrontate e l'indebito corrispettivo ricevuto. Tale impossibilità risulta ulteriormente avvalorata dalla circostanza dell'avvenuto riconoscimento da parte del G. del versamento in favore dei pubblici amministratori corrotti del prezzo di tale corruzione, che presuppone la possibilità di registrare in uscita somme rilevanti, prive di indicazione dell'effettiva causale. Per di più, proprio l'attestazione relativa all'intervenuto versamento del prezzo della corruzione nelle mani dei pubblici ufficiali permette di escludere con certezza che, almeno tale importo, pari a circa Euro 120.000, pacificamente ricavato dall'illecita conclusione di contratti pubblici, sia presente nelle casse sociali. Del resto, la fase preliminare in cui il provvedimento cautelare è stato imposto, e le difficoltà di ricostruzione dei bilanci societari risalenti alle annualità 2008-2010 in cui si è snodato l'illecito rapporto contrattuale, al fine di verificare se parte della somma indebitamente riscossa permanga nelle casse sociali, giustifica l'emissione del provvedimento cautelare per equivalente sui beni personali, salvo gli approfondimenti successivi per l'ipotesi di verifica di persistenza di una parte del profitto nel possesso della società, che potrà comportare la limitazione del successivo provvedimento ablativo alla quota non rinvenuta di tali introiti, rapportabile alla natura di bene equivalente questa analisi, squisitamente di merito, non può che essere rimessa al giudice procedente. Il dato, effettivo, della carenza di motivazione sul punto da parte del Tribunale del riesame non fa venir meno la legittimità dell'ordinanza, per quanto ricavabile dal provvedimento impositivo, posto che i provvedimenti reali sono impugnabili nel giudizio di legittimità solo per violazione di legge, per quanto detto insussistente. Per lo stesso motivo deve escludersi la fondatezza del secondo motivo di impugnazione, ove si contestano vizi dell'argomentazione nel provvedimento, irrilevanti ex art. 325 comma 1 cod. proc. pen Peraltro, a legittimare l'iniziativa nei confronti del solo G. , giova rammentare che, come chiaramente fissato nei precedenti di questa Corte sul punto, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di cui all'art. 322 ter c.p., nel caso di illecito plurisoggettivo deve applicarsi il principio solidaristico che implica l'imputazione dell'intera azione e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l'individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità equivalente al profitto accertato Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008 - dep. 02/07/2008, Fisia Italimpianti Spa e altri, Rv. 239926 . Nella specie, al di là del dato di fatto riguardante il mancato perseguimento dell'ente ai sensi della l.n. 231 del 2001, non risulta neppure contestato in ricorso che G. , nella qualità citata, sia tra gli autori dell'illecito che ha condotto all'acquisizione dell'indebito profitto, sicché l'importo oggetto dell'illecito ben può essere sequestrato nei suoi beni personali, per l'intero, salvo i successivi accertamenti quantitativi. 3. L'accertamento di infondatezza del ricorso impone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, in applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.