Politica, ‘ndrangheta e…metodo mafioso nelle elezioni

L’aggravante di cui all’art. 7 l. n. 203/1991 ha natura oggettiva e si trasmette a tutti i concorrenti nel reato e, dunque, si applica anche al politico che, per colpa, abbia eventualmente ignorato il fine dell’azione delittuosa di avvantaggiare il sodalizio criminoso.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 39554, depositata il 25 settembre 2014. Il caso. Nei confronti dell’indagato, politico calabrese, veniva emessa richiesta di applicazione della custodia in carcere in relazione al reato di corruzione elettorale previsto dall’art. 86, T.U. n. 570/1960, aggravato dall’art. 7 l. n. 203/1991, per avere promesso a due esponenti di spicco della ‘ndrangheta, operante nella zona di Lamezia Terme, poi divenuti collaboratori di giustizia, utilità economiche consistenti nell’aggiudicazione di appalti di forniture e servizi all’interno di strutture pubbliche in cambio di voti elettorali. L’indagato aveva incontrato tali personaggi per il tramite di un avvocato, figlio di un amico, direttamente presso il suo studio. Il procedimento era stato originato proprio dalle dichiarazioni degli stessi collaboratori, i quali, avevano evidenziato la messa a disposizione del politico nei loro confronti, in cambio dei voti promessi. Configurabilità del reato e dell’aggravante del metodo mafioso. Il Tribunale del riesame di Catanzaro, tuttavia, rigettava la richiesta, avverso la quale veniva proposto ricorso per cassazione da parte del pm, che lamentava violazione di legge e contraddittorietà e illogicità della motivazione laddove, nell’ignorare le conformi dichiarazioni dei propalanti, l’ordinanza aveva escluso che l’indagato avesse preso parte attiva nella vicenda. Con riguardo, invece, all’aggravante di cui all’art. 7 L. 203/1991, il pm evidenziava come fosse inverosimile che un politico, operante in Calabria da molti anni, ed interessato ad ottenere consensi a Lamezia Terme, non avesse preventiva conoscenza dei legami familiari” dei soggetti che andava ad incontrare. In tal senso, tale aspetto da solo bastava per configurare l’elemento soggettivo del reato contestato. Il reato. La fattispecie incriminatrice, invero, prevede che venga punito chiunque, per ottenere, a proprio od altrui vantaggio, il voto elettorale o l'astensione, dà, offre o promette qualunque utilità ad uno o più elettori, o, per accordo con essi, ad altre persone . La stessa pena si applica all'elettore che, per dare o negare la firma o il voto, ha accettato offerte o promesse o ha ricevuto denaro o altra utilità . Ebbene, la norma abbastanza chiaramente dispone la punibilità di tutte quelle condotte che siano finalizzate ad ottenere voti dietro la promessa di un compenso . Già la Suprema Corte, con la sentenza n. 32825/2011, aveva stabilito che il reato di corruzione elettorale, previsto dall’art. 86 del DPR 16 maggio 1960 n. 570, è pacificamente reato di corruzione già materializzato dalla semplice offerta o promessa . Tale è l’orientamento seguito anche dalla pronuncia in esame, dato che quel che conta, per la punibilità, in capo all’offerente o al promettente, è la mera offerta o promessa di favoritismi da parte del candidato, o chi per lui, per ottenere il voto, a prescindere addirittura da eventuali riserve mentali del promittente. La natura dell’aggravante. Si ricorda che l’art. 7 l. n. 203/1991 prevede un aggravamento di pena da un terzo alla metà per i delitti punibili con pena diversa dall'ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo . Nel caso di specie, la Corte ha affermato che, data la natura oggettiva di tale aggravante, la quale riguarda le modalità dell’azione, la stessa si trasmette a tutti i concorrenti nel reato, con la conseguenza che è sufficiente che l’elemento soggettivo sussista in capo ad alcuni o solo uno di essi gli esponenti mafiosi . Addirittura, ritiene che, ai sensi dell’art. 59 c.p., l’aggravante debba applicarsi anche a colui che, versando in una situazione di mera ignoranza colpevole, non fosse stato eventualmente consapevole della finalizzazione dell’azione delittuosa ad avvantaggiare il sodalizio criminoso le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui ignorate per colpa .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 maggio – 25 settembre 2014, n. 39554 Presidente Giordano – Relatore Sandrini Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza pronunciata il 3.12.2013 il Tribunale di Catanzaro, costituito ai sensi dell'art. 310 cod.proc.pen, ha rigettato l'appello proposto dal pubblico ministero avverso l'ordinanza in data 15.07.2013 con cui il giudice per le indagini preliminari in sede aveva respinto la richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di A.P. , in relazione al reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 86 T.U. n. 570 del 1960, e 7 legge n. 203 del 1991. L'applicazione della misura coercitiva era stata chiesta in relazione all'accusa mossa all'A. , già assessore alle politiche ambientali della Regione Calabria e candidato alle elezioni regionali del 2010, di aver promesso a G.G. , C.S. e M.M. , esponenti di primo piano della cosca di ndrangheta G. operante nella zona di omissis , nel corso di incontri avvenuti nello studio professionale dell'avv. S.G. figlio di un medico primario dell'ospedale di amico dell'A. , utilità economiche consistenti nell'aggiudicazione di appalti di forniture e servizi all'interno di strutture pubbliche, in cambio di voti elettorali. Il Tribunale, premesso che la vicenda in esame si inseriva nell'ambito della c.d. operazione , scaturita anche dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia C.S. e G.G. , rispettivamente componente del gruppo di fuoco il primo e figlio il secondo del capo storico della cosca mafiosa, G.F. , soggetti la cui credibilità soggettiva e attendibilità intrinseca erano state ampiamente verificate nel corso delle indagini, rilevava che entrambi i collaboratori avevano riferito, negli interrogatori del 12.06.2012, 6.02.2013 e 3.07.2013 C. , e del 4.12.2012, 4.02.2013 e 3.07.2013 G. , il contenuto del loro incontro con l'esponente politico catanzarese A.P. , all'epoca candidato alle elezioni regionali calabresi, che erano stati organizzati nel 2010 dall'avv. S. presso il proprio studio legale, ed al quale entrambi avevano preso parte. Dal contenuto, riassunto nell'ordinanza, dei suddetti interrogatori, integranti autonome chiamate in correità ritenute dal Tribunale costanti, coerenti e specifiche, convergenti nei loro contenuti essenziali, e costituenti l'una idoneo riscontro dell'altra, non erano tuttavia emersi, ad avviso del Tribunale, gravi indizi di colpevolezza a carico dell'A. , in quanto il dominus della vicenda doveva ritenersi l'avv. S. , nella sua qualità di soggetto legato da forti vincoli di cointeressenza con gli esponenti della cosca G. , ma non anche con l'A. , che era amico di suo padre e che poteva ignorare la personalità delinquenziale dei suoi interlocutori, non conoscendo la realtà criminale di omissis , tenuto conto che la promessa di futuri vantaggi economici in cambio dell'appoggio elettorale era stata formulata ai due affiliati alla cosca direttamente dall'avv. S. , secondo un comportamento dal quale il C. e il G. si erano limitati a inferire che la promessa provenisse dall'A. e che quest'ultimo fosse a conoscenza del loro radicamento criminale. 2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, deducendo, ex art. 606 comma 1 lett. b ed e cod.proc.pen., violazione di legge e mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione dell'ordinanza impugnata, di cui chiede l'annullamento. Il ricorrente lamenta la natura completamente immotivata dell'affermazione con cui il Tribunale aveva escluso che il C. avesse dichiarato che nel corso dell'incontro avvenuto nello studio dell'avv. S. l'A. avesse detto alcunché, entrando in palese contraddizione col tenore letterale delle dichiarazioni del collaboratore e coi contenuti dell'incontro da lui riferiti, e pervenendo a una interpretazione complessiva del dichiarato del C. del tutto svincolata dai suoi contenuti reali evidenzia che nell'interrogatorio del 6.02.2013 il C. aveva dichiarato che l'avv. S. aveva presentato all'A. lui e il G. come due persone importanti di Lamezia Terme che potevano fargli ottenere diversi voti, e che l'A. si era messo a disposizione dicendo loro di impegnarsi che poi lui sarebbe stato disponibile nei loro confronti nell'ambito delle sue competenze politiche il senso di tali dichiarazioni era stato confermato dal C. nel successivo interrogatorio del 3.07.2013, laddove il collaboratore, pur non ricordando le parole esatte pronunciate nell'occasione dall'A. , riferiva che questi sicuramente aveva raccomandato loro di impegnarsi per fargli ottenere più voti possibili, promettendo che una volta eletto si sarebbero rivisti tramite l'avv. S. per dare concretezza alla disponibilità manifestata verso le esigenze imprenditoriali dei suoi interlocutori. A sua volta il G. aveva dichiarato, nell'interrogatorio del 4.12.2012, che l'A. lo aveva contattato tramite l'avv. S. , incontrandolo nello studio di quest'ultimo prima delle elezioni regionali, dove l'indagato gli aveva chiesto di appoggiarlo dicendo che se fosse stato eletto avrebbe procurato a lui e a M.M. lavori all'ospedale di e aveva ribadito anche nel successivo interrogatorio del 3.07.2013 che l'A. si era impegnato a mettersi a disposizione se avesse ottenuto ciò che lui e il C. gli promettevano, e cioè un paio di migliaia di voti a , sul punto trovando un riscontro individualizzante nelle dichiarazioni del C. . L'ordinanza impugnata era dunque affetta da manifesta illogicità nella parte in cui aveva tratto una conclusione che era contraddetta dallo stesso dato letterale delle dichiarazioni dei collaboratori, da cui emergeva la partecipazione attiva dell'A. , in prima persona, alla promessa di favori o altre utilità in cambio del procacciamento di voti da parte del G. e del C. sempre dal punto di vista logico, doveva ritenersi inimmaginabile che l'avv. S. potesse farsi garante della promessa di utilità economiche, in cambio dell'appoggio elettorale, nei confronti di personaggi del calibro criminale del C. e del G. , senza un preventivo assenso dell'A. all'assunzione del relativo impegno, unitamente alla certezza dell'effettiva disponibilità di quest'ultimo ad adempiere la promessa, garantita dalla presenza fisica dell'uomo politico all'incontro avvenuto nello studio legale. Quanto alla sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 7 legge n. 203 del 1991, risultava inverosimile che un politico locale, operante da tempo nella realtà socio-economico-culturale calabrese e interessato a ottenere un forte consenso elettorale a omissis , ignorasse l'appartenenza alla ndrangheta dei personaggi ai quali si rivolgeva, ciò che bastava a integrare l'elemento soggettivo richiesto per l'estensione della circostanza aggravante all'A. , nella sua qualità di concorrente nel reato di corruzione elettorale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto. 2. Dal testo stesso dell'ordinanza impugnata, e in particolare dagli estratti degli interrogatori dei collaboratori di giustizia C.S. e G.G. ivi testualmente riportati circa i loro rapporti con l'indagato, emerge in modo evidente la manifesta illogicità e l'intrinseca contraddittorietà della motivazione con cui il Tribunale ha escluso la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell'A. in ordine al concorso nel reato di corruzione elettorale ascritto ai suoi interlocutori e all'avv. S. , rispetto ai contenuti dichiarativi delle propalazioni dei collaboratori quali risultano in modo immediato dalla loro lettura. Occorre premettere che la credibilità soggettiva e l'attendibilità intrinseca, già positivamente verificate nel più ampio contesto delle indagini concernenti la cosca di ndrangheta operante nel territorio di omissis capeggiata da G.F. , delle chiamate in correità effettuate dai due collaboratori di giustizia, e la loro reciproca idoneità a costituire Cuna autonomo riscontro dell'altra, non sono in discussione è lo stesso provvedimento impugnato a dare atto pagina 10 dell'ordinanza che, anche in relazione alla specifica vicenda che coinvolge l'A. , le propalazioni accusatorie del C. e del G. risultano pienamente attendibili sia sul piano oggettivo, perché costanti, coerenti e specifiche, sia su quello soggettivo, non emergendo dagli atti alcun concreto interesse degli stessi a calunniare l'incolpato , e che, risultando tra loro autonome ma, al contempo, convergenti nel nucleo essenziale della condotta addebitata all'attuale indagato , ciascuna chiamata può essere ritenuta, rispetto all'altra, come elemento che ne conferma l'attendibilità in termini estrinseci ed individualizzanti ovvero aventi valore dimostrativo non solo in ordine all'accertamento della verificazione del fatto di reato, ma anche in ordine alla sua attribuzione e riferibilità al soggetto colpito . Non sono, altresì, in discussione il fatto e le circostanze materiali dell'incontro, concordemente riferito dai collaboratori di giustizia, avvenuto nel 2010 in vista delle elezioni regionali calabresi, organizzato dall'avv. S. presso il proprio studio ed al quale parteciparono oltre al legale e al padre dello stesso tanto il C. e il G. , quanto l'A. , che nell'occasione fu presentato ai primi due dall'avv. S. come candidato alle prossime elezioni in cerca di appoggio elettorale. Anche il fatto che lo scopo e l'oggetto dell'incontro fossero costituiti dalla messe di voti mille o duemila, secondo quanto riferito dal G. nell'interrogatorio del 3.07.2013 che i due esponenti della cosca mafiosa erano ritenuti in grado di procacciare all'A. , oltre a costituire l'unica lettura logica possibile dell'evento, emerge in modo palese, costante e puntuale da tutte le dichiarazioni dei collaboratori riportate nell'ordinanza impugnata alle pagine da 6 a 9 . L'ipotesi che due esponenti di vertice della cosca di ndrangheta dominante a OMISSIS si potessero impegnare a fornire un simile, decisivo, appoggio elettorale nella zona dagli stessi controllata, senza la promessa, da parte dell'uomo politico beneficiario, di una corrispettiva utilità economica, una volta eletto, appare - di per sé - difficilmente compatibile con la realtà è lo stesso provvedimento gravato, peraltro, a riportare - testualmente alle pagine 7, 8 e 9 - le parole pronunciate nell'occasione dall'indagato, riferite tanto dal C. in entrambi gli interrogatori del 6.02.2013 Impegnatevi per i voti che poi io sono qua e del 3.07.2013 spero che mi fate avere quello che un po' di voti, qua ci sono le carte, poi ci rivediamo, ci sentiamo tramite l'avvocato , quanto dal G. nel suo interrogatorio del 3.07.2013 A. rispose che se otteneva quello che gli stavamo promettendo era a disposizione , il cui significato in termini di assunzione di un impegno diretto dell'A. nei confronti dei suoi interlocutori non è stato adeguatamente valutato dall'ordinanza impugnata. La motivazione con cui il Tribunale, valorizzando essenzialmente il contenuto del primo interrogatorio in data 12.06.2012 del C. , laddove questi non aveva inizialmente attribuito all'A. l'assunzione di un espresso impegno verbale nei suoi riguardi, e sostanzialmente travisando quello dell'ultimo interrogatorio del collaboratore in data 3.07.2013 ritenuto confermativo delle prime dichiarazioni e non di quelle successive del 6.02.2013, nonostante la lettera inequivoca delle parole, riferite dal C. come pronunciate dall'indagato, più sopra trascritte poi ci rivediamo, ci sentiamo tramite l'avvocato , ha escluso financo l'esistenza di un comportamento concludente dell'A. in ordine all'assunzione dell'illecita promessa elettorale che avrebbe costituito il frutto di una mera deduzione dei collaboratori basata su quanto loro prospettato dall'avv. S. circa la disponibilità dell'uomo politico , si pone pertanto in aperta e palese contraddizione col contenuto testuale di quanto dichiarato dal C. il 6.02.2013 e il 3.07.2013, e riscontrato in termini specifici e individualizzanti dalle dichiarazioni del G. nell'interrogatorio del 3.07.2013 A. rispose che se otteneva quello che gli stavamo promettendo era a disposizione , senza spiegare in modo coerente e adeguato le ragioni del mancato credito attribuito a contenuti dichiarativi che la stessa ordinanza aveva appena ritenuto pag. 10 costanti, coerenti e specifici , e perciò pienamente attendibili . Il vizio di motivazione risulta altresì manifesto nella misura in cui il provvedimento impugnato ha omesso completamente di confrontarsi col valore indiziante assegnato dall'accusa allo stesso dato di fatto oggettivo della presenza fisica dell'A. all'incontro appositamente organizzato dall'avv. S. per metterlo in contatto diretto coi due esponenti di vertice della cosca mafiosa, secondo una condotta la cui unica lettura logica - prospettata come plausibile dall'accusa - era quella di garantire la serietà e l'effettività, da parte dell'indagato, dell'impegno di mettersi a disposizione dei soggetti presentatigli come persone in grado di procurare molti voti a sostegno della sua elezione. 3. La motivazione dell'ordinanza impugnata è manifestamente illogica, e non congruente alle risultanze della prova dichiarativa ivi riportate, anche nella parte in cui ha escluso la sussistenza di un compendio indiziario in grado di supportare la prova che l'A. conoscesse l'appartenenza mafiosa dei suoi interlocutori e l'area di provenienza dei voti dagli stessi promessi. Dalle parole testuali dei collaboratori pagine 7 e 9 dell'ordinanza emerge che nel corso dell'incontro nel suo studio l'avv. S. presentò all'A. il C. e il G. come due persone importanti a , e in particolare il G. come il numero uno e il massimo di Lamezia, rappresentando come la sua famiglia fosse in grado di raccogliere voti sul territorio a là, nel territorio che gli servivano i voti ce la vedevamo noi come famiglia interrogatorio G. del 3.07.2013 l'assenza di qualsiasi ulteriore indicazione, qualificante dell'importanza personale attribuita tout court ai due soggetti e del ruolo apicale rivestito dal G. nel territorio lametino, unitamente alla capacità della famiglia dello stesso di controllare qualche migliaio di voti, appariva dunque tale da non consentire dubbi sul riferimento di una simile leadership ad un contesto mafioso, con riguardo all'appartenenza alla cosca omonima capeggiata dal padre del G. , elemento la cui mancata conoscenza e rappresentazione da parte di un uomo politico nato e operante in Calabria, e cannato a rappresentare interessi elettori locali, doveva perciò costituire oggetto di specifico approfondimento motivazionale da parte del Tribunale. Va infine rilevato, con riguardo alla valutazione de, gravi indizi dell'aggravante del fine di agevolare le attività dell'associazione mafiosa, contestata all'indagato ex art. 7 legge n. 203 del 1991, che,a stessa ha natura oggettiva, riguardando una modalità dell'azione, e si trasmette perciò a tutti i concorrenti nel reato con la conseguenza che è sufficiente che il relativo elemento volitivo sussista in capo ad alcuni o anche ad uno soltanto dei correi Sez. 5 n. 10966 dell'8/11/2012 Rv 255206 Sez. 6 n. 19802 del 22/0V2009, Rv. 244261 , in particolare agli esponenti della cosca G. , perché l’aggravante possa applicarsi - secondo il disposto dell'art. 59 cod. pen. - anche al complice che, versando in una situazione di mera ignoranza colpevole, non fosse stato eventualmente consapevole della finalizzazione dell'azione delittuosa ad avvantaggiare il sodalizio criminoso Sez. 2 n. 51424 del 5/12/2013, Rv. 258581 . 4. L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per un nuovo esame, che non incorra nei vizi motivazionali sopra censurati, dell'appello del pubblico ministero circa la sussistenza delle condizioni per applicare all'indagato la misura coercitiva attualmente consentita dal titolo del reato. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro.