L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni presuppone l’indebita attribuzione a sé di un diritto

L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni si traduce nella indebita attribuzione a sé stesso, da parte del privato, di poteri e facoltà spettanti al giudice, sicché ove si tratti di poteri che non possano essere esercitati dal giudice, non può essere ravvisato tale reato e il fatto deve essere ricondotto ad una diversa ipotesi criminosa, e in particolare a quella di cui all’art. 610 c.p., la quale è applicabile quando, per difetto dei presupposti o dell’elemento psicologico, non ricorrono gli estremi del delitto di cui all’art. 393 c.p

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38571, depositata il 19 settembre 2014. Il caso. La Corte d’Appello pronunciava la riforma della sentenza emessa in primo grado, con la quale l’imputato era stato dichiarato responsabile del delitto di cui all’art. 610 c.p. violenza privata , riducendone la pena e confermando nel resto la sentenza del Giudice monocratico del Tribunale. In particolare, l’imputato era stato condannato per aver usato violenza nei confronti della persona offesa al fine di strapparle dalle mani una cartella contenente documenti relativi ad un condominio, che egli stesso in precedenza aveva amministrato. Avverso la sentenza della Corte territoriale proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato. Violenza privata e non esercizio arbitrario delle proprie ragioni. A giudizio della Corte di Cassazione, la sussistenza del fatto contestato risulta adeguatamente illustrata dal giudice di merito e risulta incensurabile la qualificazione della condotta ascritta all’odierno ricorrente nel quadro normativo dell’art. 610 c.p Infatti, deve ritenersi correttamente esclusa dal giudice di appello la configurabilità dell’ipotesi delittuosa prevista dall’art. 393 c.p. esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persona , atteso che tale reato presuppone che l’agente sia animato dall’esercizio di un diritto nella consapevolezza di poter ricorrere al giudice. L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni si traduce nella indebita attribuzione a sé stesso, da parte del privato, di poteri e facoltà spettanti al giudice, sicché ove si tratti di poteri che non possano essere esercitati dal giudice, non può essere ravvisato tale reato e il fatto deve essere ricondotto ad una diversa ipotesi criminosa, e in particolare a quella di cui all’art. 610 c.p., la quale è applicabile quando, per difetto dei presupposti o dell’elemento psicologico, non ricorrono gli estremi del delitto di cui all’art. 393 c.p. Cass., Sez. V, n. 2164/98 . Per questi motivi la Corte giudica il ricorso privo di fondamento e annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 maggio – 19 settembre 2014, numero 38571 Presidente Marasca – Relatore De Berardinis Ritenuto in fatto Con sentenza in data 25.5.12 la Corte di Appello di Bari pronunziava la riforma della sentenza emessa dal Giudice monocratico del Tribunale di Foggia,con la quale ROVEA Giorgio era stato dichiarato responsabile del delitto di cui all'articolo 610 CP, commesso in danno di B.S.,che l'imputato aveva costretto a consegnare documenti relativi al condominio di S Giovanni Rotondo-Via S.Antonio s.numero -medinate minaccia e strappando infine dalle mani della persona offesala cartella come si desume dal provvedimento -fatto acc.in data 28-4-2005 Per tale reato la Corte aveva ridotto la pena a mesi due di reclusione,confermando nel resto la sentenza di primo grado Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore deducendo 1-violazione di legge,in riferimento alla esclusione dell'ipotesi di cui all'articolo 393 CP,ed erronea applicazione dell'articolo 610 CP. -A riguardo il ricorrente censurava la sentenza per illogicità della motivazione,evidenziando che il giudice di merito si era basato sulle dichiarazioni della persona offesa dal reato senza tener conto di quelle dello stesso imputato. Rilevava sul punto che egli,nella veste di precedente amministratore del condominio,aveva consegnato alla B., che avrebbe assunto tale caríca, la documentazione inerente a dieci anni di amministrazione,chiedendole il rilascio di una ricevuta riportante l'elenco dei documenti stessi,e che la predetta aveva opposto un rifiuto. Pertanto l'imputato evidenziava che egli aveva assunto il comportamento qui contestato al fine di rientrare in possesso della documentazione e tutelarsi nei confronti dei terzi, negando di avere usato nei confronti della persona offesa violenza o minaccia. 2-deduceva infine che il reato ascrittogli risulta estinto per prescrizione,il cui termine risultava decorso alla data del 28 dicembre 2012 e concludeva chiedendo l'annullamento dell'impugnata sentenza. Rileva in diritto Il ricorso risulta privo di fondamento. Deve evidenziarsi che la sussistenza del fatto contestato risulta adeguatamente illustrata dal giudice di merito,e che risulta incensurabile la qualificazione della condotta ascritta all'odierno ricorrente nel quadro normativo dell'articolo 610 CP. Invero dal testo della sentenza impugnata si evince la prova della violenza usata dall'imputato nei confronti della persona offesa, strappando dalle mani della predetta la cartella contenente la documentazione indicata essendo la prova desunta sia da dichiarazioni della persona offesa che da quelle di un teste indifferente, nonché dal verbale di sequestro della cartella. Orbene deve ritenersi correttamente esclusa dal giudice di appello la configurabilità dell'ipotesi delittuosa prevista dall'articolo 393 CP.,atteso che tale reato presuppone che l'agente sia animato dall'esercizio di un diritto nella consapevolezza di poter ricorrere al giudice -sul punto la decisione si rivela in sintonia con il principio sancito da questa Corte,con sentenza Sez.V del 20.2.1998,numero 2164, Ottavia no-RV209812-per cui & lt l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni si traduce nella indebita attribuzione a sé stesso da parte del privato,di poteri e facoltà spettanti al giudice sicchè ove si tratti di poteri che non possano essere esercitati dal giudice,non può essere ravvisato tale reato e il fatto deve essere ricondotto ad una diversa ipotesi criminosa,e in particolare a quella di cui all'articolo 610 CP.,Ia quale è applicabile quando,per difetto dei presupposti o dell'elemento psicologico non ricorrono gli estremi del delitto di cui all'articolo 393 CP. Le deduzioni difensive non si rivelano al riguardo idonee a palesare l'esistenza di una pretesa suscettibile di tutela giuridica a favore dell'imputato Tanto rilevato,deve evidenziarsi che il reato di cui si tratta risulta estinto per decorrenza del termine di prescrizione,alla data del 28 ottobre 2012,successiva alla pronunzia della sentenza di appello-Conseguentemente,non rilevandosi la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso,va pronunziato l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza,dichiarando l'estinzione del reato P.Q.M . Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione. Roma,deciso il 21 maggio 2014.