Docce inutilizzabili, riscaldamento out, servizio idrico carente: disagi sopportabili per il detenuto

Respinte le proteste di un uomo ‘ospitato’ nella casa circondariale di Agrigento. Evidenti le carenze lamentate, ma non bastano per poter ipotizzare un trattamento inumano e degradante da parte dell’amministrazione penitenziaria.

Niente riscaldamento, docce in condizioni discutibili – vista l’umidità presente – e, soprattutto, servizio idrico assolutamente carente. Precisa, dettagliata, concreta, la lista delle lamentele del detenuto. Evidenti i disagi subiti da lui, come dagli altri detenuti. Ma ciò non basta per ipotizzare un trattamento degradante Cassazione, sentenza n. 38065, sez. I Penale, depositata oggi . Condizione umana Come detto, i problemi lamentati dal detenuto – ‘ospitato’ nella casa circondariale di Agrigento – appaiono rilevanti, soprattutto considerando gli effetti nella vita quotidiana dietro le sbarre. Eppure il reclamo proposto, centrato su riscaldamento mancante, fruizione disagevole delle docce per l’umidità presente, dimensione della cella e carenze idriche , viene considerato irrilevante dal magistrato di sorveglianza. Per provare a modificare tale visione, però, l’uomo ribadisce le proprie doglianze in Cassazione, sostenendo di avere diritto a fruire del servizio idrico e spiegando che l’aerazione del bagno non funzionava e che, per effetto della mancanza di riscaldamento , egli era costretto a patire il freddo , come ‘certificato’ dai suoi malanni . Ma anche queste ulteriori sottolineature si rivelano inutili. Per i giudici del ‘Palazzaccio’ – che respingono definitivamente le obiezioni del detenuto –, difatti, la decisione del magistrato di sorveglianza è ineccepibile , per una ragione semplicissima la condizione detentiva descritta, pur con limitazioni generalizzate a tutta la popolazione carceraria – come la situazione di carenza idrica che era generalizzata per tutto il territorio di Agrigento – , non configura un trattamento inumano e degradante da parte dell’amministrazione penitenziaria .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 luglio – 17 settembre 2014, n. 38065 Presidente Siotto – Relatore Novik Ritenuto di fatto Con ordinanza in data 19 aprile 2013 il Magistrato di Sorveglianza di Agrigento respingeva il reclamo proposto dal detenuto M.A., che aveva ad oggetto le problematiche che riguardavano l'istituto penitenziario relativamente al riscaldamento mancante, alla fruizione disagevole delle docce per l'umidità presente, alla dimensione della cella e alle carenze idriche. Rilevava in proposito detto Magistrato ripercorsa la giurisprudenza sul punto di rango costituzionale, di legittimità e della Corte europea che il reclamo non era fondato, in quanto le celle avevano dimensioni di metri quadri 10,90 al netto del bagno, con spazio disposizione superiore a 3 m.q. per ciascun detenuto che la situazione di carenza idrica era generalizzata per tutto il territorio di Agrigento che il bagno era aerato artificialmente e che il riscaldamento non era funzionante per l'impossibilità di un ripristino della sua funzionalità che il detenuto fruiva di due ore per la socialità e di quattro ore in spazi aperti, nonché di colloqui e corrispondenza telefonica con i congiunti. Verso questo provvedimento ha proposto ricorso M. ribadendo le proprie doglianze. Ritiene di aver diritto a fruire del servizio idrico che il computo dello spazio a disposizione non teneva conto del mobilio esistente che l'aerazione del bagno non funzionava e che per effetto della mancanza di riscaldamento egli era costretto a patire il freddo. Enunciava i malanni che lo affliggevano. Il Procuratore generale presso questa corte nella sua requisitoria scritta ha chiesto di dichiararsi inammissibile il ricorso, in quanto ripetitivo delle doglianze già formulate e afferente al merito della decisione adottata. Considerato in diritto Il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge. La decisione del Magistrato di sorveglianza, sopra sintetizzata, conforme alla normativa ed alla pertinente giurisprudenza, è del tutto ineccepibile. In proposito va premesso che, come è ben noto, in base alle sentenze della Corte Costituzionale in particolare la 26/99 e la 526/2000 ed alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità a partire da Cass. Pen. SS. UU. n. 25079 in data 26.02.2003, Rv. 224603, Gianni , il reclamo ex art. 14 ter Ord. Pen. è consentito quale rimedio giurisdizionale per la lamentata violazione di diritti soggettivi attinenti la condizione carceraria. Al di fuori di tale sfera, ogni pur legittima doglianza deve trovare la sua sede in altri rimedi previsti dall'ordinamento ricorsi civili o amministrativi . Orbene, il legittimo accesso al reclamo ex art. 14 ter Ord. Pen. è dunque subordinato al presupposto che l'istante agisca in forza di un vero e proprio diritto soggettivo di ambito carcerario che si assume violato quale il diritto alla salute, allo studio, i rapporti con la famiglia, ecc. . Si deve trattare, quindi, di situazioni soggettive di cui si chiede la tutela sulla base di una fonte normativa Costituzione o legge ordinaria che la riconosca. Nella fattispecie, il magistrato di sorveglianza ha evidenziato come la condizione detentiva di M., pur con limitazioni generalizzate a tutta la popolazione carceraria, non configuri un trattamento inumano e degradante da parte dell'amministrazione penitenziaria. Il ricorrente non svolge nessuna censura allo specifico ragionamento del giudice, ma si limita a riproporre le stesse questioni già respinte. In definitiva il ricorso, manifestamente infondato in ogni sua deduzione, deve essere dichiarato inammissibile ex artt. 591 e 606, comma 3, Cpp. Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 mille in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma il 8 luglio 2014