La prova dell'effettivo versamento delle retribuzioni si può desumere da elementi diversi dalle certificazioni rilasciate ai sostituti d'imposta

In tema di omesso versamento delle ritenute operate sugli emolumenti erogati e sul pagamento dell'acconto IVA , la sussistenza delle certificazioni ai sostituiti d'imposta non è essenziale sul piano probatorio potendo desumersi aliunde la prova dell'effettivo versamento delle retribuzioni, quali altre prove documentali o prove testimoniali, potendo essere anche indiziarie. Inoltre, lo stato d'insolvenza non libera il sostituto d'imposta, dovendo questi adempiere al proprio obbligo di corrispondere le ritenute così come adempie a quello di pagare le retribuzioni.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 37730, depositata il 15 settembre 2014. Il caso. Con sentenza del Tribunale, l'imputato viene dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 10- bis d.lgs. n. 74/2000, in quanto ha omesso di versare le ritenute operate sugli emolumenti erogati nell'anno di imposta 2006 e del reato di cui all'art. 10- ter d.lgs. n. 74/2000, in quanto ha omesso nel termine previsto dalla legge il pagamento dell'acconto IVA relativo al periodo di imposta successivo, relativo alla dichiarazione annuale dell'anno 2005. Unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, concesse le attenuanti generiche e operata la riduzione per la scelta del rito abbreviato, condannava la stessa alla pena di sei mesi di reclusione e alle pene accessorie di legge, pena poi sospesa. In appello si confermava la sentenza di primo grado pertanto, in virtù di tale decisione, il difensore decide di presentare ricorso per Cassazione, articolandolo in tre motivi di ricorso. Con i seguenti motivi di impugnazione, il difensore decide di ricorrere in Cassazione, per a la manifesta illogicità della motivazione per aver ritenuto che la prova dell'elemento costitutivo del reato di cui all'art. 10- bis d.lgs. n. 74/2000 dovesse ritenersi sufficiente raggiunta sulla scorta della certificazione rilasciata ai sostituiti, in quanto la norma incriminatrice richiede la prova, a carico dell'accusa, che le ritenute il cui versamento sia stato omesso, per l'ammontare rilevante secondo la soglia di punibilità, siano quelle risultanti da altra prova documentale, non fornita nel caso di specie, e non surrogabile da altra documentazione b la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui i giudici d'appello ritengono correttamente accertato l'elemento psicologico di entrambi i reati contestati, ovvero il dolo eventuale, anche se a parere della ricorrente i giudici non forniscono alcuna motivazione circa la presenza degli elementi indicatori del dolo nei reati omissivi c la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza con riguardo ai criteri di determinazione della pena ed al rispetto dei limiti edittali, nonché con riguardo alla concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva. La prova può arrivare in altri modi. Chiamata la Terza Sezione, il giudicante rileva l'assoluta inammissibilità della pretesa in ordine al primo motivo di ricorso. Difatti, è stato già rilevato dalla Corte di Cassazione che la sanzione si applica a chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, seguendo così la ratio della punibilità, in ordine esclusivamente all'omesso versamento e il riferimento alle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti d'imposta , altro significato non ha se non quello di indicare, quale condizione per la configurabilità del reato, l'effettivo versamento delle retribuzioni ai dipendenti. Di conseguenza, la sussistenza delle certificazioni ai sostituiti d'imposta non è essenziale sul piano probatorio potendo desumersi aliunde la prova dell'effettivo versamento delle retribuzioni, quali altre prove documentali o prove testimoniali, potendo essere anche indiziarie. Nel caso di specie si rilevano dal modello 770. Anche il secondo motivo di ricorso risulta infondato, in quanto, ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento di ritenute d'acconto, è richiesto il dolo generico, cioè la conoscenza dell'esistenza dell'obbligo di versamento delle ritenute certificate e la volontà di non adempiere, ampiamente dimostrato dai giudici di merito. Inoltre, in tema di omesso versamento delle ritenute all'erario, lo stato d'insolvenza non libera il sostituto d'imposta, dovendo questi adempiere al proprio obbligo di corrispondere le ritenute così come adempie a quello di pagare le retribuzioni di cui le ritenute stesse sono parte. Dunque, l'imprenditore che decide di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle ritenute all'erario, in presenza di una situazione economicamente difficile, non potrà addurre a propria discolpa l'assenza dell'elemento psicologico del reato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 gennaio – 15 settembre 2014, n. 37730 Presidente Mannino – Relatore Savino Ritenuto in fatto Con sentenza emessa in data 26 gennaio 2011 il Tribunale di Torino dichiarava D.R.F. colpevole dei reati di cui agli artt. 10 ter d.lvo 74/2000 - per aver omesso, quale legale rappresentante della Trading International SRL, di versare nel termine previsto per il pagamento dell'acconto IVA relativo al periodo di imposta successivo, ovvero alla scadenza del 27.12.06, l'imposta IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale per l'anno 2005 - capo A e 10 bis d.lvo 74/2000 - per avere omesso di versare le ritenute operate sugli emolumenti erogati nell'anno di imposta 2006 - capo B . Unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, concesse le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla contestata recidiva, operata la riduzione per la scelta del rito abbreviato, condannava la stessa alla pena di mesi sei di reclusione, pena sospesa ed alle pene accessorie di legge. Proposto appello, la Corte di Appello di Torino confermava in toto la suddetta sentenza. Avverso tale pronuncia il difensore della D.R. ha presentato ricorso per cassazione per i seguenti motivi 1 Manifesta illogicità della motivazione per aver ritenuto che la prova dell'elemento costitutivo del reato di cui al capo B , rappresentato dall'omesso versamento delle ritenute, dovesse ritenersi sufficientemente raggiunta sulla scorta di quanto emergente dal modello 770 presentato dalla Trading International, anziché sulla scorta della certificazione rilasciata ai sostituiti, come richiesto dalla norma incriminatrice. In particolare, ad avviso della difesa il modello 770 indicato dai giudici di merito non può ritenersi idoneo ai fini probatori posto che la norma incriminatrice richiede la prova, a carico dell'accusa, che le ritenute il cui versamento sia stato omesso, per l'ammontare rilevante secondo la soglia di punibilità indicata dalla legge, siano quelle risultanti da altra prova documentale, non fornita nel caso di specie, e non surrogabile da altra documentazione. Prova documentale la cui funzione, peraltro, è legalmente diversa. 2 Manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui i giudici di seconde cure ritengono correttamente accertato l'elemento psicologico di entrambi i reati contestati, ovvero il dolo eventuale dell'imputata con riguardo al superamento della soglia di punibilità, sulla base di apodittiche e generiche motivazioni secondo cui all'imprenditore è richiesta una diligenza qualificata nel valutare il volume di affari ed i conseguenti obblighi fiscali. Ne consegue che ove il predetto non si curi di accertare se, in concreto, l'ammontare dei versamenti omessi superi la soglia suddetta, non potrà invocare tale ignoranza ma risponderà del reato quantomeno a titolo di dolo eventuale. Assume la difesa innanzitutto che la motivazione sul punto si riferisce solo al reato riguardante l'omesso versamento dell'IVA mentre il motivo di appello era stato dedotto con riguardo ad entrambi i reati contestati. Osserva la difesa che l'impugnata sentenza nulla dice in ordine alla mancata dimostrazione dell'elemento soggettivo, anche nella forma del dolo eventuale, e sul superamento della soglia di punibilità quanto al reato contestato al capo B. Inoltre, a detta del ricorrente, i giudici di merito non forniscono alcuna motivazione circa la presenza degli elementi indicatori del dolo nei reati omissivi, rivelatori della rappresentazione ed accettazione del rischio, così come elaborati dalla giurisprudenza, e non si cura di argomentare in modo congruo ed esaustivo la ritenuta infondatezza delle motivazioni di appello circa la grave situazione finanziaria della società amministrata dall'imputata a causa del fallimento della Tecnorubber, principale debitore dell'impresa situazione che avrebbe ragionevolmente indotto l'imputata, stante la mancata riscossione di un rilevante credito verso tale cliente, a non prevedere il superamento della soglia di non punibilità. In definitiva, afferma la difesa, i giudici gravati avrebbero tenuto in scarsa considerazione, al fine della valutazione dell'elemento soggettivo quanto al superamento della soglia di punibilità, la consapevolezza da parte dell'imputata del considerevole calo degli incassi accompagnato dalla convinzione di non aver omesso nell'anno precedente il versamento dell'IVA per un importo superiore allo soglia di punibilità. 3 Violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione della sentenza con riguardo ai criteri di determinazione della pena ed al rispetto dei limiti edittali nonché con riguardo alla concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva. Ritenuto in diritto Il primo motivo risulta inammissibile. Ai sensi dell'articolo 10 bis del d.lvo n. 74/2000, infatti la sanzione si applica a chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti . Orbene, al fine di comprendere il dettato normativo, è opportuno ricordare che la norma in esame è stata introdotta successivamente all'entrata in vigore del citato d.lvo, dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1 comma 414, per colmare il vuoto normativo determinatosi a seguito dell'intervenuta abrogazione, ad opera dello stesso D.Lvo 74/2000, articolo 25, dell'articolo 2 della L. n. 516/82, che prevedeva la stessa fattispecie di reato. Per effetto di tale abrogazione nel testo originario del d.lvo 74/2000 non figuravano fattispecie di reato in continuità normativa rispetto a quella di cui al citato articolo 2 della L. n. 516/82 cfr. Cass. sez. 3, 29.12.2000 n. 3714 conf. Cass. sez. 3 n. 25875 del 7.7.2010 . L'articolo 10 bis d.lvo n 74/000, pur costituendo una nuova fattispecie criminosa introdotta dalla novella citata, senza alcuna continuità normativa con le disposizioni previgenti cfr. Cass. Sez. III n. 25875/2010 , nel colmare il vuoto normativo, operava sullo stesso piano della norma abrogata D.L. n. 429 del 1982, articolo 2, comma 2, conv. in L. n. 516 del 1982 che sanzionava chiunque non versa all'erario le ritenute effettivamente operate, a titolo di acconto o di imposta, sulle somme pagate e con la stessa finalità di impedire, attraverso la sanzione penale, che il datore di lavoro omettesse di versare le somme trattenute, quale sostituto di imposta, sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori. Ciò analogamente a quanto previsto per le ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sugli stipendi dei dipendenti, in relazione alle quali è prevista una specifica ipotesi di reato nel caso di mancato versamento di tali ritenute all'ente previdenziale, dal D.L. 12 settembre 1982, n. 463, conv. in L. n. 638 del 1983. Anche alla stregua del principio enunciato dalle Sezioni Unite secondo cui non era configurabile il reato di cui all'articolo 2 co. 1 L. 638/1983, senza il materiale esborso delle somme dovute al dipendente, ponendosi il versamento della retribuzione quale condizione per la configurabilità del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali da parte del datore di lavoro, il legislatore, nel reintrodurre la sanzione penale di cui all'articolo 10 bis cit. con la L. n. 311 del 2004, non poteva non tener conto, in presenza di fattispecie omogenee, di tale principio Sez. Un. n. 27641/2003 . Di conseguenza, nel riformulare la norma sanzionatoria, ha voluto precisare in modo inequivoco che la sanzione penale trova applicazione soltanto con riguardo alle ritenute operate sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai dipendenti. In particolare ha perseguito tale risultato introducendo il riferimento esplicito alle certificazioni rilasciate ai sostituiti in luogo della più generica formula contenuta nel D.L. n. 429 del 1982, articolo 2 conv. in L. n. 516 del 1982 le ritenute effettivamente operate, a titolo di acconto o di imposta, sulle somme pagate . Se dunque il significato dell'articolo 10 bis D.Lgs. n. 74 del 2000 è quello di sanzionare l'omesso versamento, nel termine previsto, delle ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto di imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, non vi è ragione per ritenere che la prova di ciò debba ricavarsi solo dalle certificazioni senza possibilità di ricorrere ad equipollenti. In sostanza il riferimento, contenuto nell'articolo 10 bis d.lvo 74/2000 alle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti di imposta , altro significato non ha se non quello di indicare, quale condizione per la configurabilità del reato, l'effettivo versamento delle retribuzioni ai dipendenti. Di conseguenza, la sussistenza della certificazione rilasciata ai sostituiti di imposta non è essenziale sul piano probatorio potendo desumersi aliunde la prova dell'effettivo versamento delle retribuzioni. Se è vero che l'onere della prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate, trattandosi di elemento costitutivo del reato, grava sulla pubblica accusa questa, però, può assolverlo sia mediante il ricorso a prove documentali o testimoniali sia attraverso la prova indiziaria. Appare, quindi, del tutto condivisibile l'assunto dei giudici gravati secondo cui la prova del rilascio della certificazione e quindi della effettiva corresponsione delle retribuzioni e delle trattenute operate potesse ricavarsi dal modello 770, considerato dato assolutamente non equivoco, in quanto proveniente dallo stesso datore di lavoro obbligato. La prova della certificazione nel caso di specie risulta dalla dichiarazione effettuata dall'imputato nel modello 770, nel quale, in veste di sostituto di imposta, lo stesso aveva dichiarato l'ammontare da lui dovuto a titolo di ritenute sui redditi di lavoro ex plurimis Cass., Sez. III, 15 novembre 2012 n. 1443, 254152 . Al pari manifestamente infondato risulta il secondo motivo concernente l'omessa considerazione da parte della corte distrettuale dell'assenza di consapevolezza da parte dell'imputato del superamento della soglia di punibilità prevista per i reati contestati. Premesso che, ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento di ritenute d'acconto, è richiesto il dolo generico - cioè la conoscenza dell'esistenza dell'obbligo di versamento delle ritenute certificate e la volontà di non adempiere - come giustamente rilevato dai giudici di merito, l'imprenditore è tenuto ad operare con diligenza nel valutare il volume di affari ed i conseguenti obblighi verso il fisco con la conseguenza che non può invocare a sua discolpa la mancata consapevolezza che l'ammontare dei tributi evasi superi la soglia di punibilità. Quanto poi alle difficoltà finanziarie, invocate come una sorta di esimente dall'adempimento degli obblighi tributari, si rammenta il costante orientamento di questo Collegio, secondo cui, in tema di omesso versamento delle ritenute all'erario, lo stato d'insolvenza non libera il sostituto d'imposta, dovendo questi adempiere al proprio obbligo di corrispondere le ritenute così come adempie a quello di pagare le retribuzioni di cui le ritenute stesse sono parte. Invero anche il sopravvenuto fallimento dell'agente non è sufficiente a scriminare il precedente omesso versamento delle ritenute, essendo preciso obbligo del sostituto d'imposta quello di ripartire le risorse esistenti all'atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da poter adempiere al proprio obbligo tributario, anche se ciò comporta l'impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare. Dunque l'imprenditore il quale decida, in presenza di una situazione economica difficile, di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle ritenute all'erario, non potrà addurre a propria discolpa l'assenza dell'elemento psicologico del reato si veda ex plurimis Cass. Sez. III n. 11694/1999 Rv. 215518 . Risultano infine inammissibili le censure riguardanti il trattamento sanzionatorio, segnatamente il vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche, già concesse in primo grado, sulla recidiva, e la doglianza relativa alla determinazione dell'entità della pena in misura superiore al minimo edittale. Come più volte affermato da questa Corte, infatti, le statuizioni in ordine all'entità della pena, al pari di quelle relative al riconoscimento o meno delle attenuanti generiche, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, rientrano nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, che sfugge al sindacato di legittimità qualora, come nel caso di specie, non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretto da sufficiente motivazione Sez. Un. 25/02/2010 Rv. 245931 . Orbene la sentenza impugnata, nel richiamare e fare proprie le conclusioni della sentenza di primo grado con riguardo alla determinazione dell'entità della pena ha fornito adeguata e congrua motivazione della scelta operata. Ne consegue la inammissibilità del ricorso. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.