Ha distratto beni, inconsapevole del futuro fallimento … risponde di bancarotta?

Il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori. Il dolo generico della norma incriminatrice consiste nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

Questo il principio di diritto, peraltro ormai consolidato, riaffermato nella pronuncia della Corte di Cassazione n. 37505, depositata l’11 settembre 2014. Da una bad company ad una new company. Il presupposto fattuale da cui trae origine la pronuncia della Suprema Corte è episodio oggi quanto mai frequente in un contesto di diffusa crisi economica e carenza di liquidità delle imprese. I titolari di una società operante nel settore del commercio della frutta costituiscono due nuove società new companies destinate a proseguire l’attività della vecchia società, che si trovava in situazione di difficoltà economica bad company . Al fine di realizzare il disegno imprenditoriale, secondo la pubblica accusa, i titolari delle società distraggono fondi dalla cassa della bad company per farli confluire in quelle delle new companies . La vecchia società incorre dunque nell’inevitabile fallimento e la condotta degli amministratori, rilevata dal curatore fallimentare nella relazione ex art 33 l.f., porta al processo penale ed alla conseguente condanna degli amministratori per bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione. L’ipotesi parrebbe, quindi, integrare una caso scolastico di bancarotta, ma nel caso in esame, la difesa evidenzia, nel proprio ricorso per cassazione, come i giudici di merito non si fossero assolutamente curati di verificare - ed, in conseguenza, di dare atto nella motivazione della sentenza dell’esito di detta verifica - la sussistenza dell’elemento psicologico del delitto di bancarotta sotto il duplice profilo del fine di sottrarre i beni alla loro tipica funzione di garanzia per i creditori e della coscienza e volontà di determinare il dissesto della bad company . Ancora una volta Una rondine non fa primavera” . Come ho già avuto modo di scrivere, con questa felice e profetica pennellata”, autorevole dottrina F. D’Alessandro aveva salutato la ormai notissima pronuncia della Cassazione Cass. Sez. V, n. 4705/2012, Corvetta sulla vicenda del Ravenna calcio, che ha rappresentato l’appiglio giurisprudenziale per il ricorrente nel caso in esame. Come noto, infatti, in tale pronuncia la sez. V Penale, smentendosi peraltro con altra pronuncia depositata nella medesima giornata, aveva sovvertito un granitico orientamento giurisprudenziale giungendo ad affermare che nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione il fallimento non solo è elemento costitutivo del reato, ma anche evento in senso naturalistico del delitto e pertanto deve essere conseguenza secondo i principi in tema di sussistenza del nesso causale della condotta distrattiva e, naturalmente, deve rientrare nel fuoco dell’elemento psicologico del reato e dunque del dolo ed, ancora, essere oggetto di rappresentazione e volontà. Proprio richiamandosi a tale, come vedremo, rimasto invero assolutamente isolato, precedente il ricorrente aveva lamentato come nel caso in esame il profilo della rappresentazione dello stato di insolvenza dell’impresa e della volontà di cagionare con la condotta distrattiva un danno ai creditori da parte dell’imputata non fosse stato oggetto di analisi alcuna da parte dei giudici di merito. Secondo infatti l’assunto difensivo, l’imputata all’epoca della realizzazione delle condotte distrattive non aveva avuto alcuna consapevolezza dello stato di insolvenza della impresa ed ancor meno aveva agito con la volontà di determinare il dissesto ed in conseguenza di cagionare un danno concreto ai creditori. La struttura del delitto di bancarotta. Non è certo questa la sede per compiere osservazioni, con pretesa di un minimo di esaustività, sulla annosa questione della struttura del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione. Ai fini che interessano è sufficiente ricordare l’esistenza di risalente dibattito sul ruolo della dichiarazione di fallimento nel reato di bancarotta propria prefallimentare. Trattasi di questione ormai polverosa”, ma sempre attuale, sulla quale già erano intervenute le Sezioni Unite sul finire degli anni Cinquanta Cass. SS.UU., n. 2/1958 e da allora oggetto di contrasti, mai sopiti, fra giurisprudenza e dottrina. Come noto l’orientamento giurisprudenziale tradizionale afferma che la dichiarazione di fallimento, da un lato, debba essere senz’altro inserita tra i requisiti di fattispecie dell’art. 216 l.f., ma, dall’altro, nega che la stessa debba rientrare nel fuoco del dolo, non costituendo evento in senso naturalistico del reato in esame. La pronuncia sul Ravenna calcio, in linea di continuità con la giurisprudenza tradizionale, aveva, infatti, ribadito la natura di elemento costitutivo di fattispecie della dichiarazione di fallimento, ma, riconoscendone la natura di evento in senso naturalistico, con straordinaria portata innovativa, aveva affermato, per contro, che lo stesso fallimento doveva essere conseguenza delle condotte distrattive e ricadere, dunque, nel fuoco della volontà dell’agente al momento che aveva posto in essere le condotte incriminate. Il diktat della Suprema Corte. La valenza come precedente giurisprudenziale della pronuncia sul Ravenna calcio è stato, invero, già oggetto di diverse e specifiche pronunce giurisprudenziali ex pluribus Cass., sez. V Penale, sentenza n. 41887/13 depositata il 10 ottobre, in D& amp G del 11 ottobre 2013 nelle quali gli Ermellini hanno ribadito che, in tale fattispecie, il fallimento non è evento del reato e, dunque, non deve essere conseguenza delle condotte di distrazione, in quanto, laddove il legislatore ha inteso attribuire tale ruolo al fallimento, lo ha fatto con esplicita previsione legislativa. Ciò è avvenuto, a titolo esemplificativo con il d.lgs. n. 61/2002, che ha modificato in tale senso il testo dell’art. 223, comma 2, l.f. pertanto se analoga innovazione non è stata inserita nell’ipotesi di bancarotta propria, appare evidente che in tale ultima fattispecie detto nesso causale non è richiesto. Nel caso di specie dunque la strada per la Suprema Corte è spianata ed è agevole seguire il solco della recente e già consolidata giurisprudenza per affermare che la pronuncia sul Ravenna Calcio è un precedente giurisprudenziale totalmente isolato che non può essere condiviso in quanto basato su una visione del fallimento come evento del reato, non predicabile in base al tenore letterale della norma e, infatti, esclusa da tutta l’elaborazione giurisprudenziale degli ultimi decenni. Sulla base di tali premesse, afferma la Corte nella sentenza che si annota, correttamente i giudici di merito non si sono soffermati sulla verifica se il soggetto agente avesse agito con coscienza e volontà di determinare il dissesto della società, in quanto tale requisito è totalmente estraneo all’elemento soggettivo del reato contestato nel caso in esame all’imputata. Il ricorso viene dunque, inevitabilmente, rigettato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 maggio – 11 settembre 2014, numero 37505 Presidente Lombardi – Relatore Oldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 9 ottobre 2012 la Corte d'Appello di Catanzaro, in ciò confermando la decisione assunta dal Tribunale di Lamezia Terme invece riformata in ordine ad altri reati , ha riconosciuto F.M. responsabile dei delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione al fallimento della società Macno Fruits di C.A. s.a.s., per la ritenuta sua qualità di amministratrice, conservata di fatto dopo la dismissione del ruolo di socia accomandataria. 1.1. Le condotte distrattive, ascritte alla M. in concorso con G.L.F., C.D.F. e col socio accomandatario A.C., giudicato a parte, riguardavano prelievi di somme dalle casse della società per destinarle ad altre due imprese la Company Fruits di C.A. e la Euro Global Fruits s.a.s. di D.F.C. , costituite al fine di proseguire l'attività eludendo lo stato d'insolvenza della Macno Fruits s.a.s 1.2. La prova dei commessi reati è stata ravvisata nella relazione ex art. 33 legge fall., nella quale erano altresì riportate le dichiarazioni rese dai soci falliti al curatore, nonché nella deposizione testimoniale di costui in sede dibattimentale. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, per il tramite dei difensore, deducendo censure riconducibili a quattro motivi. 2.1. Col primo motivo la ricorrente eccepisce l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai soci falliti al curatore, in quanto raccolte nell'esercizio di attività ispettiva senza il rispetto delle disposizioni codicistiche, in violazione dell'art. 220 disp. att. al cod. proc. penumero argomenta osservando che l'art. 33, comma 4, della legge fallimentare, nel testo riformato eleva la relazione ad un vero e proprio atto d'indagine, col prevederne l'obbligo di trasmissione al pubblico ministero. 2.2. Col secondo motivo, denunciando carenza di motivazione per omessa confutazione dei motivi di appello, lamenta che le sia stata attribuita la responsabilità, a titolo di concorso, per condotte distrattive altrui delle quali non è stato individuato l'autore materiale sostiene che la propria estraneità ai fatti è stata apertamente riconosciuta dallo stesso curatore nel suo esame dibattimentale contesta che dalla mera gestione societaria di fatto e dalla partecipazione alle udienze prefallimentari possa derivare una forma di concorso morale, in assenza di prova della materialità della condotta. 2.3. Col terzo motivo la ricorrente rimprovera alla Corte d'Appello di aver omesso di rilevare la mancanza di qualsiasi accertamento probatorio sui singoli fatti di cui al capo d'imputazione. 2.4. Col quarto motivo deduce la carenza dell'elemento psicologico del reato, sotto il duplice profilo del fine di sottrarre i beni alla loro tipica funzione di garanzia per i creditori e della coscienza e volontà di determinare il dissesto. Considerato in diritto 1. Il primo motivo non è fondato. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha già ripetutamente affermato il principio secondo cui le relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare sono ammissibili come prove documentali in ogni caso e non solo quando siano ricognitivi di una organizzazione aziendale e di una realtà contabile, atteso che gli accertamenti documentali e le dichiarazioni ricevute dal curatore costituiscono prove rilevanti nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società così, da ultimo, Sez. F, numero 49132 del 26/07/2013, De Seriis, Rv. 257650 v. anche Sez. 5, numero 39001 del 09/06/2004, Canavini, Rv. 229330, citata dalla Corte d'Appello . 1.1. Non è fondatamente sostenibile che la questione proposta dal ricorrente debba trovare una nuova e diversa risposta a seguito della modifica dell'art. 33 legge fall., introdotta dall'art. 29 d.lgs. 9 gennaio 2006, numero 5 tra l'altro antecedente al menzionato arresto giurisprudenziale del 26 luglio 2013 . Ed invero, la disposizione contenuta nel nuovo testo del quarto comma dell'articolo citato, col prescrivere la trasmissione della relazione dei curatore al pubblico ministero, per nulla ha innovato circa la natura giuridica di quel documento del quale, del resto, già in precedenza era obbligatoria la trasmissione all'organo titolare dell'azione penale ogniqualvolta il giudice delegato avesse ravvisato nel suo contenuto gli estremi di una notizia di reato. 1.2. Sotto altro profilo, neppure ha pregio giuridico la pretesa di ricondurre le funzioni svolte dal curatore fallimentare all'attività ispettiva o di vigilanza, di cui tratta l'art. 220 disp. att. al cod. proc. penumero . Le attribuzioni del curatore hanno ben altra ampiezza e, soprattutto, ben altra tipologia, estendendosi dall'amministrazione del patrimonio fallimentare alla formazione dello stato passivo, alla liquidazione dell'attivo e - per quanto qui d'interesse - all'accertamento delle cause del fallimento, della diligenza spiegata dal fallito nell'esercizio dell'impresa, dell'eventuale compimento di atti di disposizione lesivi delle ragioni dei creditori. L'attività accertativa - e non meramente ispettiva - documentata nella relazione si svolge prima e al di fuori del procedimento penale, per cui non comporta alcun obbligo di osservanza delle relative disposizioni. 2. Privo di fondamento è anche il secondo motivo. Sulla scorta degli elementi probatori acquisiti la Corte di merito è pervenuta al convincimento che la M., pur dopo la cessazione della qualità di socio accomandatario, abbia seguitato ad amministrare in via di fatto la società Macno Fruits s.a.s., insieme al suo convivente G.L.F Sul punto la ricorrente non muove contestazioni, ma si limita a sostenere che la mera gestione di fatto e la partecipazione alle udienze prefallimentari non sono idonee a dar vita a una forma di concorso morale punibile così deducendo, tuttavia, omette di considerare che l'amministratore di fatto non è punito a titolo di concorso morale nell'illecito altrui, bensì quale diretto destinatario dei precetto penale, che gli fa obbligo - stante la posizione di garanzia derivantegli dal ruolo rivestito - di impedire il compimento di atti distrattivi da parte di altri, secondo il principio codificato nell'art. 40, comma secondo, cod. penumero Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo . 2.1. Ne deriva l'irrilevanza, già chiaramente evidenziata dalla Corte d'Appello, dei fatto che non tutte le condotte distrattive siano riconducibili alla M. nella loro materialità di alcune, peraltro, si è avuto accertamento positivo in tal senso, come attesta la sentenza impugnata al penultimo paragrafo di pag. 9 certa essendo comunque la sua consapevole partecipazione al disegno criminoso diretto a svuotare il patrimonio della società delle sue componenti attive, in concomitanza con la fraudolenta costituzione di altre due società destinate a giovarsi delle distrazioni per proseguire l'attività della Macno Fruits tant'è che alla costituzione di una di tali società, cioè della Euro Global Fruits s.a.s., la stessa M. è risultata avere personalmente contribuito. 2.2. Alla stregua di tali considerazioni, insussistente è la denunciata carenza motivazionale in ordine alla responsabilità della ricorrente nella consumazione degli illeciti per cui si procede. Valga, in proposito, richiamarsi al principio consolidato per cui il giudice del gravame non è tenuto a prendere in esame ogni singola argomentazione svolta nei motivi d'impugnazione, ma deve soltanto esporre, con ragionamento corretto sotto il profilo logico-giuridico, i motivi per i quali perviene a una decisione difforme rispetto alla tesi dell'impugnante, rimanendo implicitamente non condivise, e perciò disattese, le argomentazioni incompatibili con il complessivo tessuto motivazionale Sez. 4, numero 26660 del 13/05/2011, Caruso, Rv. 250900 Sez. 6, numero 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv. 250105 Sez. 4, numero 1149/06 del 24/10/2005, Mirabilia, Rv. 233187 . 3. Il terzo motivo è inammissibile per la sua genericità. La ricorrente lamenta la mancanza di un accertamento probatorio sui singoli fatti di cui all'imputazione, senza specificare per quali ragioni le risultanze della relazione ex art. 33 legge fall. debbano - a suo dire - considerarsi frutto di un esame non approfondito. Si duole, altresì, che non abbia avuto risposta una propria confutazione riguardante un prelievo di euro 12.000,00, assertivamente effettuato da un conto corrente intestato non alla società poi fallita, ma a tale ditta Macno Fruits di M.F. della quale neppure è precisato se si tratti di società o impresa individuale ma la deduzione non si accompagna all'indicazione di elementi utili a far ritenere che tale prelievo coincida con uno di quelli cui si riferisce l'imputazione il che era, invece, necessario per consentire a questa Corte di verificare se il giudice di appello sia incorso in un effettivo deficit motivazionale, alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui il giudice del gravame, pur essendo tenuto in linea di principio a dar conto delle ragioni poste a fondamento del rigetto dei motivi di appello, non è tuttavia obbligato a motivare in ordine al rigetto di istanze improponibili per genericità o per manifesta infondatezza Sez. 5, numero 4415 del 05/03/1999, Tedesco, Rv. 213114 Sez. 5, numero 7728 del 17/05/1993, Maiorano, Rv. 194868 . 4. Da disattendere, infine, è anche il quarto motivo. La ricorrente sostiene, anche col conforto di un passo della relazione ex art. 33 legge fall., di non essersi resa conto della situazione economica e contabile della Macno Fruits s.a.s. cioè, in sostanza, di non aver avuto consapevolezza dello stato d'insolvenza e, tanto meno, di aver avuto coscienza e volontà di determinare il dissesto. Senonché tali aspetti sono totalmente estranei all'elemento soggettivo del reato contestato alla M 4.1. In giurisprudenza è costante l'enunciazione del principio secondo cui il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l'agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori Sez. 5, numero 3229 del 14/12/2012 - dep. 22/01/2013, Rossetto, Rv. 253932 Sez. 5, numero 44933 del 26/09/2011, Pisani, Rv. 251214 il solo precedente difforme, portatore della tesi secondo cui sarebbe richiesto il nesso causale fra la condotta distrattiva e il dissesto, con la copertura del dolo Sez. 5, numero 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493 , è rimasto totalmente isolato e non può essere condiviso in quanto basato su una visione del fallimento come evento dei reato, non predicabile in base al tenore della norma e, infatti, costantemente esclusa da tutta l'elaborazione giurisprudenziale formatasi negli ultimi decenni. 4.2. Il dolo generico richiesto dalla norma incriminatrice consiste nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte Sez. 5, numero 11899 del 14/01/2010, Rizzardi, Rv. 246357 e certamente non è pensabile, alla stregua dell'accertamento scaturito dal giudizio di merito, che la M. non potesse rendersi conto che la sottrazione di liquidità dal patrimonio della Macno Fruits s.a.s., per destinarla a fini del tutto estranei al perseguimento dell'oggetto sociale ed anzi per consentire la prosecuzione della stessa attività a nome di altri soggetti giuridici , recava l'effetto di depauperare la garanzia patrimoniale dei creditori. 5. Conclusivamente, il ricorso si rivela infondato - quando non inammissibile - in ogni sua parte e, come tale, da rigettare. Ne consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.