Definisce l’ex moglie ‘nave scuola’, condannato per ingiuria

Nessun dubbio sull’intento dell’uomo, che si è rivolto in malo modo verso la donna con cui è stato sposato e da cui si è, infine, separato. Chiaro non solo il riferimento al concetto di ‘nave scuola’, ma anche, anzi soprattutto, ai presunti tanti amanti della donna.

‘Nave scuola’, ossia quella imbarcazione destinata – leggiamo dal Vocabolario Treccani – all’ addestramento, soprattutto pratico, degli ufficiali e degli equipaggi della Marina, sia militare che mercantile . Ma questa definizione può assumere anche un significato ‘allegorico’ meno positivo, con riferimento ad una donna matura capace di far maturare – soprattutto fisicamente – giovanissimi ragazzi. Ebbene, questa visione alternativa del concetto di ‘nave scuola’ è assolutamente esecrabile. Ecco spiegata la condanna per il reato di ingiuria nei confronti di un uomo che aveva apostrofato la moglie – da cui è separato – proprio come ‘nave scuola’ per giovani amanti Cassazione, sentenza n. 37506, sez. V Penale, depositata oggi . Offesa. Linea di pensiero comune, in sostanza, per i giudici di primo, di secondo e di terzo grado. Nessun dubbio, in sostanza, sul fatto che l’uomo abbia utilizzato epiteti offensivi nei confronti della moglie, affermando che ella è una ‘nave scuola’ e aggiungendo che ella ha sempre avuto amanti . Chiarissimo, quindi, l’intento dell’uomo. Consequenziale la condanna per ingiuria , con pena ridotta, in secondo grado, a 450 euro di multa . E questa visione, come detto, viene condivisa anche dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, difatti, evidenziano che i termini rivolti dall’uomo alla ex moglie si rivelavano chiaramente offensivi, secondo l’apprezzamento della generalità dei consociati , ossia secondo la visione della società odierna.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 maggio – 11 settembre 2014, numero 37506 Presidente Lombardi – Relatore De Bernardis Ritenuto in fatto Con sentenza in data 22.9.10 il Giudice monocratico del Tribunale di Messina pronunziava parziale riforma della sentenza emessa in data 3.12.2004 dal giudice di Pace del luogo, appellata da Z.G., ritenuto responsabile del reato di cui all'articolo 594 CP commesso in danno di R.A., rideterminando la pena, in €450,00 di multa, con le già concesse attenuanti generiche, e ritenuta la continuazione. -In fatto era stato contestato all'imputato di aver rivolto, in più occasioni, in data 22 e 28.9.2002 epiteti offensivi sei una nave scuola hai sempre avuto amanti , alla moglie dalla quale si era separato dal 2002. -Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputato,deducendo l-la violazione ed erronea applicazione dell'articolo 599 CP. evidenziando che nella specie ricorreva l'esimente dello stato d'ira causato dal fatto ingiusto altrui. -2 Inoltre sosteneva la violazione dell'articolo 34 e 35 D.Lgs. numero 274/2000,e tenuità del fatto contestato, con censure che attribuivano all'espressione usata dall'imputato nei confronti della persona offesa minima rilevanza evidenziando i presupposti della improcedibilità dell'azione penale costituiti dalla tenuità dell'illecito e dalla occasionalità della condotta contestata . Sull'argomento censurava la decisione rilevando che il Giudice di Pace avrebbe dovuto tener conto della disposizione di cui all'articolo 35 D.Lgs. 274/2000, disponendo la sospensione del procedimento per tre mesi per consentire all'imputato di provvedere agli adempimenti. 3 richiamava infine la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 34 co. 3 D.lgs. citato. Per tali motivi chiedeva l'annullamento dell'impugnata sentenza. Rileva in diritto Il ricorso risulta inammissibile. Invero la difesa si è limitata a formulare censure meramente ripetitive di quelle esaminate dal Giudice di appello,senza individuare i presupposti dei vizi di legittimità denunciati in relazione al testo del provvedimento impugnato La sentenza si deve ritenere dotata di congrua motivazione in ordine alla enunciazione delle prove desunte da dichiarazioni della persona offesa dal reato, evidenzia rido che il reato di ingiuria presuppone il dolo generico,e che nella specie i termini rivolti dall'imputato alla ex moglie si rivelavano chiaramente offensivi secondo l'apprezzamento della generalità dei consociati. La decisione sul mancato riconoscimento dell'esimente prevista dall'articolo 599 CP non si ritiene censurabile,sia perché i presupposti di tale esimente vanno valutati dal giudice secondo il potere discrezionale,sia perché la difesa non risulta avere specificato, nel l'atto di impugnazione,la richiesta di applicazione di tale esimente ed il comportamento manifestato dalla persona offesa qualificabile come fatto ingiusto nei confronti dell'imputato . Nel ricorso ci si limita a generici riferimenti allo stato d'ira dell'imputato,di per sé irrilevante ai fini dei decidere in quanto non riferito al contesto oggetto di valutazione da parte del giudice . Deve rilevarsi altresì la manifesta infondatezza delle censure riferite alla violazione dell'articolo 34 D.Lgs. numero 274/2000, in assenza di riferimenti ai presupposti di legge nel caso concreto, dovendosi rilevare che la disposizione normativa lascia al potere di valutazione del giudice l'applicazione di tale ipotesi che presuppone,al di là della esiguità del danno o del pericolo derivato dalla condotta contestata, ulteriori indici della occasionalità della condotta, del basso grado di colpevolezza e dell'eventuale pregiudizio sociale dell'imputato,i quali ultimi non sono alternativi ma concorrenti con il primo. v. in tal senso Cass. 26.9.2003/226377, e 26.4.2005/231549 Tali presupposti non si ravvisano nella specie secondo quanto si desume dal testo della sentenza impugnata. La questione di legittimità costituzionale è inammissibile in quanto già disattesa da questa Corte Cass. 27.l.2004/226907 Infine si osserva che sono inammissibili i rilievi del tutto generici circa la violazione dell'articolo 35 D.lgs. citato In conclusione va dichiarata l'inamissibilità del ricorso per manifesta infondatezza Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.