E’ stalker anche se il cuore non è spezzato

Ai fini della configurabilità del delitto di stalking” art. 612 bis c.p. non rileva la sussistenza o meno di vincoli affettivi tra agente e persona offesa. Infatti, anche in assenza di tali vincoli si può comunque configurare il predetto reato.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione nella sentenza n. 37448, depositata il 10 settembre 2014. Il caso La Corte d’appello confermava il divieto di avvicinamento alle persone offese nei confronti dell’imputato, misura disposta per il reato di cui all’art. 612 bis c.p L’uomo aveva tenuto condotte minacciose, ingiuriose e molestie contro un gruppo di persone che lavoravano in una cava, in quanto lo stesso riteneva illegittima l’attività svolta da questi. Gli atti persecutori posti in essere dell’uomo avevano costretto le vittime a mutare le proprie abitudini di vita. Per la cassazione della sentenza ricorreva il soccombente, lamentando, con un primo motivo, la manifesta illogicità della motivazione in quanto non contenente nessun riferimento all’abusività dell’attività svolta nella cava. Non rileva che l’atto persecutorio sia una reazione all’attività illegittima altrui. Il motivo è infondato. L’eventuale illegittimità dell’operato delle persone offese - spiegano gli Ermellini - non può senz’altro giustificare l’adozione di comportamenti esasperatamente assillanti ed invasivi dell’altrui vita privata e dell’altrui tranquillità . Con un secondo motivo, il ricorrente lamentava la manifesta illogicità della decisione, avendo la Corte applicato erroneamente l’art. 612 bis c.p., atteso che tale reato e la misura applicata non si confanno ai fatti oggetto di giudizio. E’ stalking anche se non c’è vincolo affettivo tra agente e persona offesa. Il motivo è infondato. La cassazione chiarisce che in merito alla configurabilità o meno del delitto di stalking, non rileva che la persona offesa sia legata all’agente da vincoli affettivi. Il predetto reato non limita a circoscrivere la natura e le qualità della parte lesa, nel senso supposto dal ricorrente. Sulla base di tali argomenti, la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 apeile – 10 settembre 2014, n. 37448 Presidente Dubolino – Relatore Pezzullo Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Sassari, con ordinanza in data 22 gennaio 2014, rigettava l'appello proposto dal A.F.R. avverso l'ordinanza emessa dal Gip del Tribunale di Nuoro in data 4 dicembre 2013, con quale era stata respinta la richiesta di revoca della misura del divieto di avvicinamento alle persone offese, B.L.A. , M.G.P. , S.A.G. ed ai luoghi da esse frequentati, misura disposta per il reato di cui all'art. 612 bis c.p Osservava, tra l'altro, il Tribunale che l'ordinanza genetica e quella emessa nel procedimento di riesame avevano tracciato corretta e motivata sussistenza di gravita indiziaria a carico dell'indagato per il delitto in contestazione, con una puntuale verifica in termini modali e temporali dell'intera vicenda, caratterizzata dalla reiterazione costante delle condotte minacciose, ingiuriose, moleste - attraverso l'invio di sms, lettere e comunicazioni di vario genere, pedinamenti, appostamenti, passaggi sotto casa ed il luogo di lavoro, migliaia di contatti telefonici - che hanno dato origine ad un vero e proprio stillicidio persecutorio, che ha determinato, ovviamente, un disequilibrio psicologico nelle persone offese, costringendole a mutare le loro abitudini di vita e, a fronte di tale quadro, le circostanze sopravvenute evidenziate dal ricorrente, costituite dalla avvenuta archiviazione del procedimento per minacce ai danni del S. e dal mancato accertamento giudiziale della effettiva natura calunniosa del manifesto di cui al capo di imputazione, in quanto relative ad alcune soltanto delle condotte contestate all'imputato, non potevano considerarsi idonee a giustificare la richiesta revoca della misura cautelare in atto che corretta doveva ritenersi la qualificazione giuridica del fatto, atteso che la figura del reato di cui all'art. 612 bis c.p. è stata inserita dal legislatore nei delitti contro la libertà morale della persona, a differenza di altri, quale l'art. 572 c.p. inserito nei delitti contro l'assistenza familiare che l'esigenza cautelare di tutelare le persone offese permane ancora attuale, attesa la totale mancanza di autocontrollo dell'indagato, il quale nonostante la misura in atto si è nuovamente recato nel cantiere del S. come dimostrato nelle fotografie ivi scattate ed allegate al ricorso. 2. Avverso tale provvedimento l'A. ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 311 c.p. affidato a due motivi, con i quali lamenta -con il primo motivo, la mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606, primo comma, lett. e c.p.p., atteso che l'ordinanza di rigetto non contiene motivazione circa le abusive attività di cava poste in essere dal S. , anche su area soggetta a vincolo ambientale, sicché l'azione di pubblica denuncia da lui posta in essere, mal interpretata anche per grave carenza investigativa, non può essere considerata atto persecutorio ed il venir meno dell'addebito comporta l'insussistenza di gravi indizi di colpevolezza è contraddittoria ed illogica, laddove si dà atto dell'intervenuta archiviazione del procedimento nei confronti dell'A. per minacce nei confronti di S. , ritenendo che tale minaccia non è dipesa dalla volontà dello stesso, laddove sulla base di tale minacce è stata applicata la misura cautelare non contiene motivazione sul fatto che il manifesto non ha contenuto diffamatorio e difetta, comunque, la querela è contraddittoria ed illogica a fronte della produzione in atti della documentazione fotografica attestante il pedinamento compiuto dal M. verso il ricorrente non contiene motivazione sul fatto che il divieto di comunicare con forme apparentemente dirette a terzi impedisce al ricorrente di svolgere il proprio pensiero -con il secondo motivo, l'erronea applicazione dell'art. 612 bis c.p. e 282 ter c.p.p. circa il divieto di avvicinamento alle cave del S. , atteso che tale reato e la misura applicata non si confanno ai fatti oggetto di giudizio, consistenti nel fatto che quest'ultimo è stato sorpreso in attività abusive di cava inoltre, ai fini dell'applicazione della misura per il reato in questione occorre che i fatti addebitati rivestano la caratteristica dell'attualità e nel caso di specie tale requisito difetta con riferimento ai coniugi B. - M. essendo i contatti cessati da ambo le parti nel 2011. 3. In data 11.4.2014 è pervenuta memoria ex art. 127 c.p.p. con la quale l'A. ha, in sostanza, confermato i motivi del proposto ricorso. Considerato in diritto Il ricorso non merita accoglimento. 1. Va premesso che il procedimento penale a carico del ricorrente, come si legge nell'ordinanza impugnata, ha preso avvio da una pluralità di denunce e querele sporte dai coniugi B.L.A. e M.M.G.P. , che lamentavano il compimento da parte dell'A. nei loro confronti a decorrere dall'anno 2011, di tutta una serie di atti persecutori, consistiti in pedinamenti, appostamenti, minacce, telefonate - nell'ordine di alcune migliaia - invio di lettere e comunicazioni di vario genere, sms, affissioni di manifesti di contenuto diffamatorio, continui passaggi sotto l'abitazione, tali da indurre nelle persone offese uno stato di paura e di ansia e da costringerle a mutare le loro abitudini di vita analoghi comportamenti - inseguimenti in auto, introduzioni non consentite e reiterate all'interno dell'azienda, scattandovi anche delle fotografie, minacce di morte, affissione all'interno di un locale pubblico di un manifesto dal contenuto calunnioso - erano stati lamentati anche da S.A. ed avevano avuto inizio, così come quelli posti in essere ai danni dei coniugi B. e M. , in seguito al sorgere di controversie di natura civile tali assunti accusatori avevano trovato riscontro non solo nei numerosi scritti prodotti provenienti dall'A. , in sequestro, alcuni dei quali dal contenuto minaccioso, altri volgarmente allusivi alle tendenze e abitudini sessuali dei coniugi B. e M. , ma anche nelle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni dai numerosi testimoni escussi e nell'esito dell'esame dei tabulati telefonici. 2. Tanto precisato si osserva innanzitutto che l'ordinanza impugnata ha in sostanza messo in risalto come i nuovi elementi addotti dall'indagato a supporto dell'istanza di revoca della misura non si presentino idonei, né sotto il profilo della gravita indiziaria, né sotto quello delle esigenze cautelari ad una rivisitazione del quadro già delineato con l'ordinanza del riesame dell'11.3.2013. Il controllo di legittimità ex art. 311 c.p.p. sulla motivazione delle ordinanze emesse ai sensi degli artt. 309 e 310 c.p.p. è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell'apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell'indagato e, dall'altro, la valenza sintomatica degli indizi, ma tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. Alla luce di tali parametri, non si ravvisano nell'ordinanza impugnata i vizi lamentati dal ricorrente. All'uopo va innanzitutto evidenziato che alcune delle censure proposte con il presente ricorso dall'A. sono inammissibili sotto il profilo della violazione della regola dell’”autosufficienza del ricorso, senz'altro riferibile anche ai ricorsi proposti ai sensi dell'art. 311 c.p.p., secondo la quale il ricorrente, che lamenti l'omessa o travisata valutazione di specifici atti processuali, deve provvedere, nei limiti in cui il relativo contenuto sia ritenuto idoneo a scardinare l'impianto motivazionale della decisione contestata, alla trascrizione nel ricorso dell'integrale contenuto degli atti medesimi ovvero all'allegazione di tali atti al ricorso ovvero, ancora, alla loro assolutamente puntuale e completa, indicazione in modo da non determinare la necessità di alcun tipo di ricerca e selezione autonoma ciò in quanto il giudice di legittimità non deve essere costretto alla ricerca di quegli atti che confermerebbero la tesi del ricorrente, essendo piuttosto onere di chi impugna e dispone dell'intero incarto processuale mettere la Corte di legittimità in grado di valutare la fondatezza della doglianza Sez. VI, n. 48451 del 11/12/2012 e Sez. VI, n. 18491 del 24/02/2010 . Nel caso di specie l'A. richiama appunto atti, quale ad esempio l'archiviazione nei suoi confronti del procedimento per minacce, che non risultano allegati al ricorso e che pertanto non possono essere vagliati in questa sede. 3. Ciò premesso in via generale, va detto che il primo motivo di ricorso è infondato. Ed invero, per quanto concerne la mancata valutazione circa le abusive attività di cava poste in essere dal S. , anche su area soggetta a vincolo ambientale, correttamente l'ordinanza impugnata ha evidenziato che l'eventuale illegittimità dell'operato delle persone offese non può senz'altro giustificare l'adozione di comportamenti esasperatamente assillanti ed invasivi dell' altrui vita privata e dell'altrui tranquillità, quali quelli posti in essere dall'A. . Del pari correttamente l'ordinanza impugnata da atto dell'irrilevanza - nell'economia della molteplicità di condotte poste in essere dall'imputato nei confronti delle persone offese con caratteristiche di assillante insistenza ed ossessiva ripetitività - dell'asserita archiviazione del procedimento per minacce nel confronti del S. , peraltro non per insussistenza del fatto storico, ma per il fatto che il male ingiusto minacciato non fosse dipendente dalla volontà dell’A. . All'uopo il Tribunale ha in sostanza condivisibilmente evidenziato che il comportamento persecutorio va valutato anche nella sua articolazione complessiva, sicché comportamenti che in sé potrebbero non essere punibili si presentano, comunque, rilevanti al fine di integrare il reato di cui all'art. 612 c.p Per quanto concerne, poi, la mancata considerazione nell'ordinanza impugnata dei comportamenti del M. nei confronti del ricorrente, il Tribunale ha evidenziato che gli elementi offerti in valutazione dall’A. non si presentano idonei a suffragare l'assunto del medesimo, trattandosi di fotografie che ritraggono dei veicoli in lontananza non meglio identificati, valutazione questa che non risulta seriamente confutata dal ricorrente, che si è limitato a fornire la propria personale interpretazione dei rilievi fotografici. La mancata presentazione della querela per il manifesto diffamatorio non si presenta rilevante, in considerazione di quanto già evidenziato circa la significatività di certi episodi, al fine della configurabilità del delitto di cui all'art. 612 bis c.p., sebbene in sé non rilevanti penalmente. Inoltre, la lamentata limitazione della manifestazione del pensiero, derivante dall' applicazione della misura cautelare di cui all'art. 283 ter comma 3 c.p.p., correttamente è stato ritenuto nel provvedimento impugnato trovare giustificazione nell'esigenza di tutelare le persone offese. 4. Infondato si presenta altresì il secondo motivo di ricorso in merito alla sottesa inconfigurabilità del delitto di cui all'art. 612 bis c.p., quando vittima del reato non sia una persona legata all'agente da vincoli affettivi , atteso il reato in questione non limita e circoscrive la natura e le qualità della parte lesa, nel senso supposto dal ricorrente. Per quanto concerne, poi, la persistenza delle esigenze cautelari il Tribunale senza incorrere nei vizi denunciati ha indicato uno specifico elemento attestante la totale mancanza di autocontrollo dell'indagato, consistente nel fatto che l'A. pur in presenza della misura, si è nuovamente recato nel cantiere del S. come attestato dalle fotografie ivi scattate. Tale preciso elemento sconfessa, dunque, quanto affermato dall'indagato, circa la cessazione del pericolo di reiterazione del reato e la elisione di qualsiasi contatto con le p.o. ed è pienamente idoneo a dimostrare l'attualità del pericolo. 5. Il ricorso, pertanto, va rigettato e l'indagato va condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.