L’essere esageratamente geloso non integra l’aggravante dei futili motivi

Il delitto contro la persona, compiuto per ragioni di pura gelosia, collegata ad un abnorme desiderio di vita comune, non integra, da sola, i motivi abietti o futili.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 37347, depositata il9 settembre 2014. Il caso. Un uomo veniva condannato, in primo e secondo grado, per omicidio volontario, aggravato dai futili motivi di gelosia, poiché, nel corso di una furibonda lite tra lo stesso e l’amante della compagna, era stata colpita con un violento pugno la donna, tale da determinare la compromissione irreversibile delle strutture nervose del cervello. Due giorni dopo il pugno subito, la donna decedeva a causa delle gravi lesioni riportate. Quando sussiste dolo eventuale? L’uomo ricorreva allora in Cassazione, lamentando difetto di motivazione con riguardo alla mancata derubricazione del delitto di omicidio volontario in omicidio preterintenzionale. La tesi del ricorrente si basava sul principio affermato in sede di legittimità Cass., numero 10411/20119 , secondo il quale per la sussistenza del dolo eventuale sono richiesti la probabilità del verificarsi dell’evento, la percezione soggettiva di tale probabilità, i segni di percezione del rischio e i dati obiettivi capaci di fornire una dimensione riconoscibile dei processi interiori e della loro proiezione finalistica elementi che, però, non erano ravvisabili nella condotta determinante la morte della compagna convivente. I giudici non avevano affrontato la questione principale del gravame. Il motivo è fondato. Spiega la Corte Suprema che nell’impugnata sentenza, manca la motivazione sulla qualificazione del fatto come omicidio volontario anziché preterintenzionale, in risposta alla specifica censura dell’imputato appellante, il quale, sulla base delle risultanze istruttorie, aveva denunciato la preterintenzionalità del violento pugno col quale aveva colpito la compagna, interpostasi nello scontro fisico tra lui e il rivale. La Corte di merito non aveva affrontato il tema principale del gravame, ovvero il rapporto di causalità psicologica tra l’azione e l’evento. La gelosia è un futile motivo? L’uomo, con un altro motivo di ricorso, lamentava l’erronea applicazione della circostanza aggravante ex art. 61, comma 1, numero 1 c.p., perché in contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità che non assimila la gelosia, unico movente della condotta dell’imputato, al futile motivo ritenuto in sentenza. No, la gelosia, da sola, non integra i motivi abietti o futili. Anche questo motivo è fondato. Il delitto contro la persona, compiuto per ragioni di pura gelosia, collegata ad un abnorme desiderio di vita comune, non integra, da sola, i motivi abietti o futili. Questo caso,come affermato in sede di legittimità, differisce dall’ipotesi di omicidio compiuto, invece, per spirito punitivo nei confronti della vittima considerata come propria appartenenza, della quale pertanto non può tollerarsi l’insubordinazione, che configura la circostanza aggravante dei motivi abietti o futili Cass., numero 1574/1969 . La Cassazione annulla la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 maggio – 9 settembre 2014, n. 37347 Presidente Siotto – Relatore Mazzei Ritenuto in fatto 1. L.V.C. è stato dichiarato responsabile, con sentenza del giudice dell'udienza preliminare di Rimini, in data 20 aprile 2012, emessa all'esito di giudizio abbreviato e confermata dalla sentenza resa il 5 dicembre 2012 dalla Corte di assise di appello di Bologna, di una serie di delitti in danno della sua compagna convivente, T.E.C. , consistiti in maltrattamenti e lesioni continuate capo A fino all'omicidio della donna capo C , per futili motivi di gelosia, nel corso di una furibonda lite tra lo stesso L. e tale A.F. , ritenuto dal primo amante della T. , la quale, presente allo scontro tra i due uomini, avvenuto il omissis , nella casa dell'A. , era stata colpita dal L. con un violento pugno sul viso, in regione palpebrale sinistra, tale da determinare la compressione e la successiva compromissione irreversibile delle sue strutture nervose tronco-encefaliche, a causa di un'ernia uncale prodotta dal violento trauma cranico, con decesso della T. verificatosi il omissis , due giorni dopo il pugno subito. Con la stessa sentenza il L. è stato dichiarato responsabile di violazione di domicilio continuata e aggravata dalla violenza sulle cose capo B , commessa nel medesimo contesto, il omissis , in danno di B.C. , A.F. e M.F.C. , poiché, per raggiungere il presunto rivale in amore, il L. si era introdotto con violenza nell'appartamento della B. e dal balcone di esso era entrato, contro la volontà degli occupanti, nell'appartamento abitato dal M. e dall'A. , in cui si trovava anche la T. , ingaggiando una colluttazione con l'A. , minacciato altresì di morte capo E , al quale aveva procurato lesioni lievi ferite al labbro ed escoriazioni alla regione temporale destra capo D mentre la T. era stata colpita al viso con enorme energia, come indicato nel capo di imputazione C , subendo lesioni mortali. Per l'insieme dei suddetti reati, di cui il più grave riconosciuto nell'omicidio volontario, ritenuto aggravato dai soli futili motivi originariamente era stata contestata anche l'aggravante della crudeltà, esclusa già con la sentenza di primo grado , il L. è stato condannato dal Giudice dell'udienza preliminare, con la diminuente prevista per il prescelto rito abbreviato, alla pena di anni trenta di reclusione. La Corte di assise di appello, come si è anticipato, ha confermato la sentenza di condanna, respingendo in particolare le due principali censure difensive in punto di omessa rinnovazione del dibattimento per disporre perizia psichiatrica sulla capacità di intendere e di volere del L. al momento del fatto, e in tema di esclusa preterintenzionalità dell'omicidio, ritenuto sorretto da dolo diretto o comunque eventuale, in contrasto con la tesi difensiva dell'imputato, il quale aveva costantemente dichiarato di aver colpito la T. con un solo pugno al viso, come indicato anche nel capo di imputazione, nel frangente in cui quest'ultima si era interposta tra lo stesso L. e il suo unico antagonista in quel contesto, A. , senza alcuna volontà dell'agente, neppure indiretta, di uccidere la donna. 2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il L. personalmente, il quale deduce quattro motivi. 2.1. Il primo motivo denuncia difetto di motivazione nel triplice profilo previsto dall'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., con riguardo al mancato espletamento di perizia psichiatrica, in sede di rinnovazione del dibattimento, essendo i fatti espressione di una gelosia patologica e abnorme, tale da escludere o comunque scemare grandemente la capacità di intendere e di volere del L. , che era stata superficialmente ritenuta sussistente dai giudici di merito, senza il necessario approfondimento sulla sua imputabilità. 2.2. La seconda censura lamenta vizio di motivazione nel triplice profilo previsto dall'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., con riguardo alla mancata derubricazione del delitto di omicidio volontario in omicidio preterintenzionale. Il ricorrente richiama la sentenza di questa Corte n. 10411 del 2011, secondo la quale per la sussistenza del dolo eventuale sarebbero richiesti la probabilità del verificarsi dell'evento, la percezione soggettiva di tale probabilità, i segni di percezione del rischio e i dati obiettivi capaci di fornire una dimensione riconoscibile dei processi interiori e della loro proiezione finalistica, per concludere che, nella condotta determinante la morte della T. , non sarebbe ravvisabile alcuno dei predetti indicatori del dolo eventuale. Secondo la costante versione resa dal L. in sede di interrogatorio di garanzia, il 28 febbraio 2011, e di spontanee dichiarazioni davanti alla Corte di assise di appello, il 5 dicembre 2012, la T. , infatti, era stata colpita con un solo pugno, come riportato nel capo di imputazione, mentre il L. stava aggredendo l'A. , essendosi frapposta tra i due uomini. L'unicità del colpo a mani nude e il contesto in cui fu infetto escluderebbero, con ogni evidenza, la volontà anche indiretta dell'imputato di uccidere la compagna della quale era morbosamente geloso, al punto di scagliarsi con furia contro il ritenuto antagonista il pugno sferrato, peraltro, non aveva provocato alcuna frattura cranica, come rilevato dal medico legale, in contrasto con le dichiarazioni dell'A. , secondo le quali il colpo infetto dal L. aveva prodotto un rumore sordo come se la scatola cranica della povera T. si fosse fracassata la posizione attribuita al L. al momento del micidiale pugno, ossia l'avere puntato le gambe per acquisire maggiore energia e precisione nella direzione del colpo che sarebbe stato inferto con enorme forza, contrasterebbe, secondo il ricorrente, con il limitato spazio esistente tra aggressore e vittima senza trascurare la circostanza che il L. , pur disponendo di una mazza in legno di 58 centimetri, rinvenuta all'interno dell'armadio della sua camera da letto, nel corso della perquisizione domiciliare eseguita il 2 marzo 2011, e pur essendo tale mazza facilmente apprendibile, non se ne era avvalso nel momento dell'irruzione in casa dell'A. allorché era stata colpita a morte la T. , e ciò ad ulteriore dimostrazione del fatto che il L. non era stato animato da volontà omicida nei confronti di chicchessia e, tanto meno, della sua compagna. La Corte territoriale, omettendo di confrontare la concreta condotta tenuta dall'imputato nei riguardi della T. con i suddetti parametri elaborati dalla giurisprudenza quali indici rivelatori del dolo eventuale, avrebbe apoditticamente confermato, in sole tre righe, la responsabilità del L. per l'omicidio volontario della compagna. 2.3. Il terzo motivo deduce difetto di motivazione nel triplice profilo previsto dall'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, essendo stati considerati solo gli elementi sfavorevoli all'imputato e totalmente ignorati quelli a lui favorevoli la mancanza di precedenti penali il suo comportamento processuale dopo il delitto sempre collaborante e leale con gli inquirenti l'esemplare condotta tenuta in carcere per l'impegno dimostrato nel lavoro come cuoco, nello studio e nell'approfondimento religioso. 2.4. Il quarto motivo denuncia il vizio della motivazione nel triplice profilo previsto dall'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., per l'erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 61, comma primo, n. 1, cod. pen., in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, la quale non assimila la gelosia, unico movente della condotta delittuosa del L. , al futile motivo contestato e ritenuto in sentenza. Considerato in diritto 1. Premesso che il ricorso investe solo la confermata responsabilità di L.V.C. per il ritenuto omicidio volontario aggravato dai futili motivi, in danno di T.E.C. , essendo estranei alle censure proposte gli altri reati per cui il ricorrente è stato condannato, esso va accolto nei termini che seguono. 1.1. Il primo motivo è infondato. L'omessa pronuncia sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento, non comporta difetto di motivazione qualora dalla sentenza si desuma che il giudice ha implicitamente escluso la necessità di tale rinnovazione Sez. 1, n. 14896 del 13/07/1978, dep. 24/11/1978, Fontana, Rv. 140445 conformi Rv. 146541, Rv. 151167, Rv. 172271, Rv. 182955, Rv. 185538, Rv. 187161 . Nel caso in esame, dalla lettura della sentenza impugnata emerge che la Corte di appello ha ritenuto la piena imputabilità del L. , già riconosciuta in primo grado, seppure limitandosi ad apprezzare come adeguata argomentazione logico giuridica v. pag. 3, ultimo periodo la motivazione del giudice di primo grado sul medesimo tema v. pagine 53-65 della prima sentenza, in cui la capacità di intendere e di volere del L. è diffusamente esaminata . D'altronde lo stesso ricorrente non deduce, in questa sede, specifici elementi rivelatori della manifesta illogicità o contraddittorietà della conferma della sua imputabilità, limitandosi a rimarcare il carattere asseritamente patologico della sua gelosia, quale unico movente della condotta delittuosa. 1.2. È invece fondato il secondo motivo di ricorso. Nella sentenza della Corte territoriale manca, perfino graficamente, la motivazione sulla qualificazione del fatto come omicidio volontario anziché preterintenzionale, in risposta alla specifica censura dell'imputato appellante, il quale, sulla base delle risultanze istruttorie sopra richiamate, aveva denunciato la preterintenzionalità del violento pugno col quale aveva colpito la T. , interpostasi nello scontro fisico tra lui e il rivale, A. . La Corte di merito si dilunga inutilmente sul rapporto di causalità materiale tra la condotta del L. e la morte della T. , non contestato dall'imputato, ed elude totalmente il tema principale del gravame ovvero il rapporto di causalità psicologica tra l'azione e l'evento, che, alla luce dei rilievi dell'appellante in tema di omicidio preterintenzionale, andava invece specificamente esaminato e ciò senza neppure operare, sul punto, alcun argomentato richiamo alla motivazione della prima sentenza. Tale vistosa lacuna motivazionale su un punto cruciale della causa impone, dunque, l'annullamento della decisione impugnata con riguardo alla qualificazione del delitto di omicidio. 1.3. Il predetto esito esclude la rilevanza del terzo motivo di gravame, in tema di omessa motivazione sulle invocate attenuanti generiche, che resta assorbito nel necessario riesame dell'intero fatto di omicidio, corrispondente alla violazione più grave nell'ambito della ritenuta continuazione criminosa. 1.4. Quanto all'ultimo motivo di ricorso relativo alla riconosciuta aggravante dei futili motivi, ravvisati nell'esasperata gelosia dell'imputato, anch'esso è fondato. La Corte di merito non ha operato il necessario discrimine tra la gelosia che, in se stessa, ancorché morbosa, non costituisce un futile motivo, bensì uno stato emotivo e passionale, e la considerazione della vittima come proprio possesso, da parte dell'imputato, della quale punire ogni forma di insubordinazione, per bieca prepotenza e arroganza. La giurisprudenza di questa Corte, invero, distingue il caso in cui il delitto contro la persona sia compiuto per ragioni di pura gelosia che, collegata ad un sia pure abnorme desiderio di vita in comune, non integra, da sola, i motivi abietti o futili e l'omicidio compiuto, invece, per spirito punitivo nei confronti della vittima considerata come propria appartenenza, della quale pertanto non può tollerarsi l'insubordinazione, che configura la circostanza aggravante dei motivi abietti o futili di cui all'art. 61, comma primo, n. 1, cod. pen., richiamato dall'art. 577, comma primo, n. 4, dello stesso codice Sez. 1, n. 1574 del 01/12/1969, dep. 23/06/1970, Portelli, Rv. 114590 Sez. 1, n. 9590 del 22/09/1997, dep. 25/10/1997, Scarola, Rv. 208773 Sez. 5, n. 35368 del 22/09/2006, dep. 23/10/2006, Abate, Rv. 235008 Sez. 1, n. 1489 del 29/11/2012, dep. 11/01/2013, Titta, Rv. 254269 . Segue l'annullamento della sentenza impugnata anche con riguardo alla riconosciuta aggravante di cui all'art. 61, comma primo, n. 1, cod. pen., non sostenuta da idonea motivazione e ponderata valutazione nei termini che precedono. 2. In conclusione, la stringata sentenza impugnata merita di essere annullata con riguardo al delitto di omicidio, alla circostanza aggravante per esso contestata e, conseguentemente, al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio, su tali punti, ad altra sezione della Corte di assise di appello di Bologna. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di omicidio, alla circostanza aggravante e al trattamento sanzionatorio, e rinvia per nuovo giudizio, su tali punti, ad altra sezione della Corte di assise di appello di Bologna.