Per essere regolare, una partita deve iniziare sullo 0 a 0 (anche come numero di atleti dopati)

L’illecita assunzione di sostanze dopanti è un reato di pura condotta, in quanto la legge non richiede che l’azione produca anche un determinato effetto esteriore, e di pericolo presunto, per la sua funzione anticipata dei beni protetti.

Lo ricorda la Corte di Cassazione nella sentenza n. 37316, depositata il 9 settembre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Torino condannava un uomo per il reato ex art. 9, comma 2, l. n. 376/2000, per aver assunto sostanze dopanti con lo scopo di alterare le proprie prestazioni agonistiche in occasione di una gara di palla-pugno. L’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando l’errata applicazione della norma incriminatrice, in quanto non sarebbe stata dimostrata la finalità di alterare e falsificare la propria attività agonistica con l’assunzione di sostanze dopanti. Dopo aver rilevato che le censure si limitavano ad una mera riproposizione delle obiezioni già mosse durante i giudizi di merito, la Corte di Cassazione ricorda che, nel caso di specie, il prelievo del campione biologico era stato effettuato sull’imputato durante la partita, cioè un evento da tempo pianificato a cui l’imputato sapeva di dover partecipare. Le analisi avevano, quindi, confermato l’assunzione di una sostanza dopante. Scopo della norma. L’illecita assunzione di sostanze dopanti è un reato di pura condotta, in quanto la legge non richiede che l’azione produca anche un determinato effetto esteriore, e di pericolo presunto, per la sua funzione anticipata dei beni protetti. Sussiste, infatti, una stretta relazione tra l’assunzione della sostanza senza che vi siano necessità terapeutiche , gli effetti modificativi che produce sull’organismo ed il fine dell’alterazione della prestazione agonistica. Quando scatta il reato. Attraverso un giudizio prognostico ex ante , il pericolo, correlato alla duplice tutela della salute e del leale e regolare svolgimento delle competizioni sportive, sussiste finché la sostanza dopante sia idonea a modificare le condizioni psicofisiche e biologiche dell’atleta che ne ha fatto assunzione. Di conseguenza, quando tale situazione viene riscontrata in occasione di una prestazione agonistica, la fattispecie di reato in questione viene integrata. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 3 luglio – 9 settembre 2014, n. 37316 Presidente Squassoni – Relatore Gazzara Ritenuto in fatto Il Tribunale di Alba, con sentenza del 24/9/2012, dichiarava F.M. responsabile del reato di cui all'art. 9, co. 2, L. 376/2000, per avere assunto sostanze dopanti al fine di alterare le proprie prestazioni agonistiche in occasione della gara di palla pugno, tenutasi a omissis lo condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 2 di reclusione ed Euro 1.720,00 di multa. La Corte di Appello di Torino, chiamata a pronunciarsi sull'appello interposto nell'interesse del prevenuto, in parziale riforma del decisum di prime cure, ha sostituito la pena detentiva inflitta in primo grado con Euro 2.280,00 di multa, così rideterminando il complessivo trattamento sanzionatorio in Euro 4.000,00 di multa, con pagamento in n. 20 rate mensili ha eliminato il beneficio ex art. 163 cod. pen., con conferma nel resto. Propone ricorso per cassazione la difesa del F. , con i seguenti motivi -inosservanza ed errata applicazione dell'art. 9, co. 2, L. 376/2000, non essendo stata dimostrata la finalità dell'imputato di alterare e falsificare con assunzione di sostanze dopanti la propria attività agonistica. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. Il vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l'impugnata pronuncia, consente di rilevare la logicità e la correttezza della argomentazione motivazionale, adottata dal decidente, in relazione alla ritenuta sussistenza del reato in contestazione e alla ascrivibilità di esso in capo al prevenuto. Il giudice di merito ha evidenziato che il prelievo del campione biologico è stato effettuato sull'imputato nel corso della finale del campionato di serie A di palla pugno, evento da tempo pianificato dal F. , il quale faceva parte della squadra Ricca , e ben sapeva di dovere partecipare all'incontro predetto all'esito delle analisi si è accertato che l'imputato aveva assunto sostanza dopante, nella specie nandrolone. Orbene, l'illecita assunzione di sostanze dopanti è reato di pura condotta, poiché la legge non richiede che l'azione produca anche un determinato effetto esteriore, e di pericolo presunto, per la sua funzione di tutela anticipata dei beni protetti Cass. 21/6/2007, n. 27279 . La configurazione del delitto in questione si articola attraverso la previsione della stretta relazione che deve intercorrere tra l'assunzione della sostanza vietata in assenza di specifiche esigenze terapeutiche, i suoi effetti modificativi delle condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo e la finalizzazione alla alterazione della prestazione agonistica. Nell'ottica interrazionale anzidetta appare evidente che, sotto il profilo della causalità adeguata e con giudizio prognostico ex ante, il pericolo, correlato alla duplice tutela della salute e del leale e regolare svolgimento delle competizioni sportive, sussiste fino a quando la sostanza dopante è idonea a modificare le condizioni psicofisiche e biologiche dell'atleta che ne ha fatto assunzione condizione evidenziata nella specie dalla positività al test antidoping sicché, allorquando una siffatta situazione venga riscontrata in occasione di una precipua prestazione agonistica, deve ritenersi concretizzata la ipotesi di reato ex art. 9, co. 2, L. 326/2000. Peraltro, il motivo di annullamento si palesa inammissibile in quanto fondato su censure che ripropongono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi, pertanto, le stesse considerare non specifiche. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento della impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente, a mente dell'art. 591 co. 1 lett. c , cod.proc.pen., alla inammissibilità ex multis Cass. 11/10/2004, n. 39598 . Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il F. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell'art. 616 cod.proc.pen., deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00.