Voti in cambio di soldi, accordo con la criminalità: sufficiente che l’indicazione sia percepita come proveniente dal ‘clan’

In ballo la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti della persona che ha fatto da intermediario tra imprenditore a caccia di voti ed esponenti della criminalità organizzata. Nodo gordiano, però, è la valutazione decisiva degli elementi fondamentali del reato in questa ottica, ciò che conta è che l’indicazione di voto sia recepita, nel territorio, come arrivata dal ‘clan’.

Soldi in cambio di voti a trattare sono il politico, da un lato, e gli esponenti dell’organizzazione criminale, dall’altro. Evidente la consistenza dell’ipotesi di reato, ossia lo scambio elettorale politico-mafioso , come previsto dal recentissimo articolo 416- ter c.p Rispetto a tale accusa – mossa relativamente alle elezioni regionali siciliane del 2012 – è irrilevante l’attuazione o l’esplicita programmazione , da parte degli esponenti criminali, di una campagna singolarmente attuata mediante intimidazioni nei confronti degli elettori. Ciò perché è evidente e acclarata, purtroppo, la sufficienza dell’assoggettamento di aree territoriali e corpi sociali alla forza del vincolo mafioso Cassazione, sentenza n. 37374, sez. VI Penale, depositata oggi . Niente carcere. Sorprendente la decisione del Tribunale di Palermo, che, in funzione di giudice del riesame , ha annullato l’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere deliberata dal locale Giudice per le indagini preliminari nei confronti di un uomo, accusato di avere ricevuto da un imprenditore l’incarico di procurare, in vista delle elezioni regionali siciliane del 2012, voti a favore di una donna – la sorella dell’imprenditore – regolarmente candidata. L’uomo, in sostanza, avrebbe agito da intermediario con due esponenti di ‘Cosa nostra’, ai quali si era rivolto per la raccolta dei voti a favore della sorella dell’imprenditore , promettendo dazioni di denaro. Ciò, però, secondo il Tribunale, non è sufficiente, cioè non basta, per l’integrazione del delitto contestato , la promessa di denaro ad esponenti di una consorteria mafiosa, occorrendo che questi ultimi facciano ricorso all’intimidazione ovvero alla prevaricazione mafiosa . Voto e ‘pressioni’. A mettere in discussione tale prospettiva, però, provvedono ora i giudici del ‘Palazzaccio’, i quali accolgono le contestazioni mosse, nel contesto della Cassazione, dal pm. Quest’ultimo, in particolare, ha evidenziato che, Codice Penale alla mano, è da dare rilievo alla mera promessa di voti in cambio dell’erogazione di denaro, cosicché le condotte successive costituirebbero un post factum indifferente per l’integrazione del delitto , senza dimenticare che non sarebbe necessario che, nello svolgimento della campagna elettorale, vengano posti in essere singoli e individuabili atti di sopraffazione e minaccia, bastando che l’indicazione di voto sia percepita all’esterno come proveniente dalla consorteria mafiosa, e dunque come indicazione sorretta dalla forza intimidatrice del vincolo mafioso . Tale ottica, come detto, viene ritenuta legittima, e condivisa, dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali evidenziano che in realtà la consumazione del reato precede l’effettiva acquisizione dei suffragi, essendo centrata sulla mera conclusione dell’accordo concernente lo scambio tra voto e denaro . Di conseguenza, l’esercizio in concreto del metodo mafioso, cioè il compimento di singoli atti di intimidazione e sopraffazione in danno degli elettori non può rappresentare una componente materiale della condotta tipica . Per concludere, bisogna tener conto, spiegano i giudici, di trovarsi di fronte a un reato di pericolo, fondandosi su consolidate regole di esperienza , non richiedendo affatto né l’attuazione né l’esplicita programmazione di una campagna singolarmente attuata mediante intimidazioni . Ciò perché, evidenziano ancora i giudici, la sufficienza dell’assoggettamento di aree territoriali e corpi sociali alla forza del vincolo mafioso costituisce, affinché si determinino alterazioni del libero esercizio individuale e collettivo di diritti e facoltà – ossia il condizionamento del voto – uno dei profili essenziali del fenomeno . Per questo, concludono i giudici, è sufficiente che l’indicazione di voto sia percepita all’esterno come proveniente dal clan e, come tale, sorretta dalla forza intimidatrice del vincolo associativo , essendo irrilevante che nello svolgimento della campagna elettorale vengano posti in essere singoli ed individuabili atti di sopraffazione e minaccia . Chiarissima, quindi, l’ottica delineata ora dai giudici del ‘Palazzaccio’, ottica che dovrà essere utilizzata anche dal Tribunale di Palermo per riesaminare la vicenda e decidere, con cognizione di causa, sulla misura cautelare della custodia in carcere emessa nei confronti della persona che ha fatto da tramite tra l’imprenditore a caccia di voti e gli esponenti della criminalità organizzata.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 maggio – 9 settembre 2014, n. 37374 Presidente Ippolito – Relatore Leo Ritenuto in fatto 1. È impugnata l'ordinanza del 31/12/2013 con la quale il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice del riesame, ha annullato l'ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere deliberata dal locale Giudice per le indagini preliminari, in data 4/12/2013, nei confronti di P.L.P., relativamente al reato di cui all'art. 416-ter cod. pen. Il Tribunale ha recepito la ricostruzione in fatto operata dal Giudice della cautela, secondo la quale P. aveva ricevuto dall'imprenditore A.L. l'incarico di procurare, in vista delle elezioni regionali siciliane del 2012, voti a favore della sorella dello stesso L., candidata nella competizione elettorale. Allo scopo era stato previsto il pagamento di somme di denaro, che P. avrebbe poi effettivamente versato, in parte, nelle mani di due esponenti di Cosa nostra, ai quali si era rivolto per la raccolta dei voti P.C. e G.G La candidata non era stata poi eletta, pur avendo raccolto diverse migliaia di voti, ma P. era stato ugualmente sollecitato dai suoi interlocutori ad onorare gli impegni economici assunti, cosa poi accaduta, appunto, mediante consegna di una somma di denaro la cui provenienza è attribuita al L Il Tribunale ha per altro rilevato che mancherebbe la prova del ricorso di C. e G. ai metodi mafiosi indicati all'art. 416-ter cod. pen., e vi sarebbero anzi elementi sintomatici di segno contrario, come i riferimenti, in una conversazione intercettata, alle somme che sarebbero state promesse a singoli elettori in cambio del loro voto. Né la prova in discorso potrebbe essere desunta da un'affermazione compiuta dal P. conversando con la madre, secondo cui talune persone non avrebbero potuto negare il voto se si fosse presentato loro personalmente ciò sia perché la frase era riferita ad un'altra candidata e ad una diversa competizione elettorale, sia perché, nell'economia dell'imputazione, il metodo mafioso da dispiegare viene attribuito a C. ed a G., e non allo stesso P Ciò premesso, il Tribunale ha affermato il principio che, per l'integrazione dei delitto contestato, non è sufficiente la promessa di denaro ad esponenti di una consorteria mafiosa, occorrendo che questi ultimi facciano ricorso all'intimidazione ovvero alla prevaricazione mafiosa. 2. Ricorre il Pubblico ministero proponendo anzitutto una nuova e più analitica ricostruzione dei fatti contestati, e sottolineando l'asserita intraneità dei P. a dinamiche di natura mafiosa , anche per il tramite del padre Nicolò, accusato di appartenere a Cosa nostra. 2.1. Ciò premesso, si deduce violazione dell'art. 416-ter cod. pen. Tale norma, infatti, conferirebbe rilievo alla mera promessa di voti in cambio dell'erogazione di denaro, cosicché le condotte successive costituirebbero un post factum indifferente per l'integrazione del delitto. La tesi dei Tribunale contrasterebbe dunque con la lettera della legge, ed implicherebbe un sostanziale svuotamento della fattispecie, non essendo concepibile la prova delle intimidazioni subite dai singoli elettori. Il ricorrente cita giurisprudenza di legittimità secondo cui non sarebbe necessario che, nello svolgimento della campagna elettorale, vengano posti in essere singoli e individuabili atti di sopraffazione e minaccia, bastando che l'indicazione di voto sia percepita all'esterno come proveniente dalla consorteria mafiosa, e dunque come indicazione sorretta dalla forza intimidatrice del vincolo mafioso. 2.2. Il ricorrente denuncia illogicità della motivazione nella parte in cui inferisce da un frammento di conversazione, relativo a persone in attesa di essere pagate, che i voti erano stati semmai sollecitati mediante la promessa di denaro. In realtà sarebbe arbitraria la presunzione che la frase si riferisse ad elettori e non ad esempio ad ulteriori partecipi della campagna di reclutamento, oppure che fosse stata pronunciata al solo fine di sollecitare i versamenti dovuti da L 2.3. La motivazione dei provvedimento impugnato sarebbe infine carente nella parte in cui non considera che L. si rivolgeva ai P. per rapporti con le consorterie mafiose, che lo stesso P. utilizzava il metodo mafioso riferimento alla conversazione con la madre sopra citata e che, comunque, si era rivolto ai responsabili dei famiglie mafiose di Trapani e Marsala. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, anzitutto in relazione al primo dei motivi di doglianza espressi dal Pubblico ministero palermitano. 2. è corretta, in particolare, la critica alla tesi dei Tribunale secondo cui, per l'integrazione del delitto di cui all'art. 416-ter cod. pen., sarebbe necessario il comprovato ricorso per l'acquisizione dei voti, da parte dei componenti la formazione mafiosa coinvolta nell'accordo, ai metodi di intimidazione e assoggettamento descritti nel precedente art. 416-bis cod. pen. In realtà la consumazione dei reato precede l'effettiva acquisizione dei suffragi, essendo centrata sulla mera conclusione dell'accordo concernente lo scambio tra voto e denaro per l'integrazione del delitto a monte della materiale erogazione del compenso si veda, ad esempio, Sez. 1, Sentenza n. 32820 del 2/03/2012, rv. 253740 per l'irrilevanza sul piano consumativo dell'attuazione di entrambe le promesse che segnano il cd. patto politico-mafioso può vedersi Sez. 5, Sentenza n. 4293 del 13/11/2002, rv. 224274 . Dunque, l'esercizio in concreto del metodo mafioso, cioè il compimento di singoli atti di intimidazione e sopraffazione in danno degli elettori, potrebbe costituire al più l'oggetto di una intenzione del promittente, o dei patto eventualmente concluso circa le modalità esecutive dell'accordo, ma non una componente materiale della condotta tipica, rispetto alla quale costituisce un post factum, punibile semmai con riguardo a diverse ed ulteriori fattispecie criminose si veda per esempio, a tale ultimo proposito, Sez. 2, Sentenza n. 22136 del 19/02/2013, rv. 255727 . La figura incriminatrice contestata, per altro, non contiene una specificazione nel senso indicato, cioè non prevede neppure che il soggetto alla ricerca di voti chieda all'interlocutore mafioso specifiche modalità di attuazione della campagna, e ne ottenga la promessa. Se anche la ratio dell'incriminazione consiste nello specifico rischio di alterazione del processo democratico che si determina quando il voto viene sollecitato da una organizzazione mafiosa, il suo riflesso sul piano degli elementi di fattispecie si esaurisce nella logica del comportamento di chi, per proprie esigenze elettorali, promette denaro ad una organizzazione criminale siffatta, ovviamente consapevole della sua natura e dei metodi che la connotano. La fattispecie si atteggia quindi a reato di pericolo, fondandosi su consolidate regole di esperienza, e non richiede affatto né l'attuazione né l'esplicita programmazione di una campagna singolarmente attuata mediante intimidazioni la sufficienza dell'assoggettamento di aree territoriali e corpi sociali alla forza dei vincolo mafioso costituisce, affinché si determinino alterazioni del libero esercizio individuale e collettivo di diritti e facoltà, costituisce uno dei profili essenziali del fenomeno, ed è ampiamente recepita nella legislazione repressiva. 3. Si sono anticipate in sintesi conclusioni che la giurisprudenza di questa Corte ha gradualmente elaborato e consolidato, sia pure con un processo non del tutto lineare. Tra le decisioni antecedenti assume particolare rilievo, nel presente giudizio, quella deliberata da questa stessa Sezione della Corte di legittimità nel procedimento incidentale a carico di A.L., cioè dell'imprenditore che avrebbe chiesto all'odierno ricorrente di perfezionare il patto politico mafioso di cui si tratta. Nella sentenza - di annullamento con rinvio della decisione di annullamento che il Tribunale di Palermo aveva deliberato in coerenza con la decisione impugnata i questa sede - si leggono numerosi argomenti a sostegno della tesi anche qui accolta Sez. 6, Sentenza n. 19525 del 17/04/2014 . Si osserva in particolare che la fattispecie di reato di cui all'art. 416-ter cod. pen., come può desumersi dal tenore testuale della disposizione, presuppone la presenza di un'associazione di stampo mafioso che si occupa anche del condizionamento del voto, e lo eserciti a servizio dei terzi, anche in conseguenza della corresponsione di somme di denaro, in cambio della promessa di voto [ .] ciò che è essenziale alla configurazione del reato, e nella specie alla verifica degli indizi sul punto, è la certezza dell'intervento di componenti dell'associazione di stampo mafioso nel condizionamento del voto, e l'avvenuta promessa da parte dell'estraneo alla compagine della corresponsione di denaro in cambio del procacciamento di consenso, risultando indifferente che le somme promesse vadano a retribuire il singolo voto procacciato, o l'azione dei responsabili di zona che tale attività sul territorio vadano concretamente ad esercitare . Le affermazioni citate riprendono aspetti significativi della giurisprudenza antecedente. Ciò che caratterizza il reato in questione è la particolare qualità del soggetto che promette la campagna di reclutamento, soggetto il quale esercita un condizionamento diffuso e fondato sulla prepotenza e la sopraffazione Sez. 5, Sentenza n. 23005 del 22/01/2013, rv. 255502 . In tale qualità risiede l'elemento differenziale che, in effetti, va individuato per distinguere tra il reato in contestazione e quelli di cui agli artt. 96 e 97 del T.U. delle leggi elettorali, approvato con d.P.R. 30/03/1957, n. 361. Ma l'indicata esigenza di delimitazione non si è risolta, se non episodicamente, nella pretesa del concreto esercizio di pressioni ed intimidazioni, il quale, come sopra si è detto, non compare quale elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice è sufficiente che l'indicazione di voto sia percepita all'esterno come proveniente dal clan e come tale sorretta dalla forza intimidatrice del vincolo associativo nel caso di specie, la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza del tribunale che, in sede di riesame, aveva qualificato il fatto come corruzione elettorale di cui all'art. 96 d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, modificando l'originaria imputazione di delitto ex art. 416-ter cod. pen., ritenendo che la sola qualità di mafioso del promittente non fosse sufficiente né a comprovare la collusione fra candidato ed organizzazione criminale né a dimostrare l'impiego della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento che ne deriva per orientare il voto Sez. 1, Sentenza n. 3859 del 14/01/2004, rv. 227476 . Anche nella sentenza riguardante L. si osservato che, se pacificamente il reato si consuma con la conclusione dell'accordo e la formulazione della promessa che vincola reciprocamente le parti alla raccolta dei voti, in cambio di denaro, è del tutto evidente che non possano assumere alcuna rilevanza concrete le modalità di reperimento del consenso, poiché la potenzialità lesiva della condotta è data dalla mercificazione del libero consenso democratico, di cui viene aumentata la potenzialità corruttiva in quanto perseguita attraverso l'attività di un gruppo associato, in attività nella zona territoriale di interesse, e le cui connotazioni di pericolosità emergano e siano conosciute al proponente. Questi, con l'accordo concluso, ottiene l'ulteriore risultato di aumentare le potenzialità invasive della libera determinazione delle persone sul territorio a cura dei componenti del gruppo illecito, legittimati ad intervenire sulla raccolta di consenso, a prescindere dalle loro concrete modalità attuative, che necessariamente vengono realizzate ad accordo concluso e quindi a reato già perfezionato . In altre parole, per la sussistenza del reato di cui all'art. 416-ter cod. pen. non è necessario che, nello svolgimento della campagna elettorale, vengano posti in essere singoli ed individuabili atti di sopraffazione o di minaccia, essendo sufficiente che l'indicazione di voto sia percepita all'esterno come proveniente dal clan e come tale sorretta dalla forza intimidatrice del vincolo associativo Sez. 1, Sentenza n. 23186 del 5/06/2012, che cita in senso adesivo Sez. 1, Sentenza n. 3859 del 14/1/2004, rv. 227476 e Sez. 2, Sentenza n. 46922 del 30/11/2011, rv. 251374 in senso almeno parzialmente contrario Sez. 6, Sentenza n. 18080 del 13/04/2012, rv. 252641 e Sez. 1, Sentenza n. 27777 del 25/03/2003, rv. 225864, che però non possono essere condivise per le ragioni fin qui enunciate . 4. Nella decisione concernente L. si è fatto riferimento anche ad un altro profilo della fattispecie in considerazione rimane indifferente che il gruppo si attivi distribuendo ai singoli elettori, o agli intermediari utilizzati, le utilità economiche percepite, trattandosi di modalità esecutiva che sopraggiunge al perfezionamento dell'accordo, e quindi alla consumazione del reato . In particolare, si è escluso che sussista una pretesa inconciliabilità logica tra l'eventuale erogazione di denaro ai singoli elettori, quale strumento per l'acquisizione della promessa di voto, ed il metodo intimidatorio che contrassegna l'attività mafiosa e che si vorrebbe esercitato, appunto, in ogni singola relazione tra il gruppo criminale ed i singoli suoi interlocutori. Come detto, l'attuazione del patto di scambio è fenomeno successivo alla consumazione del reato l'anticipazione della soglia di tutela è giustificata dalla forza di intimidazione insita nel controllo del territorio, ove riferisce la sua espressione all'esistenza del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che la connota, senza richiedere l'estrinsecazione della forza per ogni azione che si intenda realizzare a tal fine, ove risulti nota la correlazione dell'agente con l'illecita compagine la previsione normativa, d'altra parte, non effettua alcuna distinzione in ordine ai destinatari dei pagamento, che potrebbero rivelarsi gli stessi elettori, il gruppo richiesto, o i singoli associati utilizzati quali intermediari territoriali . Del resto, e conclusivamente, non può certo teorizzarsi che il metodo mafioso venga meno ogni qual volta i singoli interlocutori dell'organizzazione criminale traggono un vantaggio, più o meno proporzionato, dalla propria accondiscendenza. 5. Da quanto precede deriva, come anticipato, la necessità di un annullamento con rinvio della impugnata ordinanza, affinché il Tribunale del riesame valuti se nei fatti contestati, che risultino adeguatamente dimostrati sul piano indiziario, sia ravvisabile il reato di cui all'art. 416-ter cod. pen., nella configurazione sopra delineata. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo.