Socialità ‘limitata’ per il detenuto pericoloso: provvedimento legittimo

Respinte le proteste dell’uomo, condannato come componente di spicco di un clan, che aveva lamentato una violazione dei propri diritti. Non regge l’ipotesi del trattamento disumano giustificata la scelta di limitare i colloqui dell’uomo con un solo altro detenuto, anch’egli sottoposto al regime del 41-bis.

Nessun abuso, nessuna violenza legittima la scelta di limitare la socialità del detenuto sottoposto al regime del 41-bis. Corretta, e non discutibile, cioè, la decisione di rendere possibili le comunicazioni con un solo altro detenuto, negando la condivisione di spazi e tempi con altri ‘ospiti’ del carcere Cassazione, sentenza n. 37231, sez. I Penale, depositata oggi . Comunicazioni ridotte. A dare il ‘la’ alla vicenda le proteste di un detenuto, di neanche 40 anni – in carcere perché componente di spicco di un clan della Sacra Corona Unita – a suo dire è illegittimo il suo inserimento nel circuito penitenziario ‘area riservata’ , in quanto tale collocazione limitava il suo diritto alla socialità, rendendo possibile la comunicazione con un solo detenuto . Secondo l’uomo è, evidentemente, un trattamento inumano e degradante . Di avviso opposto, invece, il magistrato di sorveglianza, che respinge il reclamo proposto dal detenuto. Alla base di questa decisione anche la considerazione che il provvedimento di inserimento nel circuito ‘elevato indice di vigilanza’, cioè la cosiddetta ‘area riservata’, non è, in sé, suscettibile di ledere diritti soggettivi , a maggior ragione tenendo presente, in questo caso, le ‘caratteristiche’ del detenuto, di spiccata pericolosità sociale, in quanto appartenente ad un’organizzazione associativa denominata ‘dei Montanari’ , radicata nel territorio garganico e coinvolta da decenni in sanguinose faide . Sicurezza. Secondo il detenuto – che decide di ricorrere in Cassazione –, però, è illogica l’affermazione che il contatto con una sola altra persona sia idoneo a soddisfare il diritto del detenuto alla socialità, che comporta il diritto a vivere in società, e non il diritto a vivere con una sola persona , soprattutto considerando che, per effetto di tale limitazione , egli può trascorrere anche lunghi periodi completamente da solo , ad esempio in caso di partecipazione a processi dell’altro detenuto . Ma anche in Cassazione le obiezioni del detenuto si rivelano assolutamente inutili. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, non vi è alcuna violazione dei diritti della persona , anche perché il provvedimento adottato dall’amministrazione penitenziaria non comporta specifiche violazioni dei diritti del detenuto, in quanto, lungi dal limitare la partecipazione del detenuto ad attività trattamentali, ha solo stabilito, per ragioni di opportunità commissione di gravi reati appartenenza ad un’organizzazione associativa radicata nel territorio , la prescrizione di determinate cautele, dettate, si badi bene, non solo per la particolare pericolosità del detenuto, ma anche per evitare contatti con detenuti considerati non ‘affidabili’ . Tutto ciò conduce alla conferma dell’inserimento nella cosiddetta ‘area riservata’, essendo esclusa ogni lesione o compressione dei diritti del detenuto.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 maggio – 5 settembre 2014, n. 37231 Presidente Siotto – Relatore Cavallo Ritenuto in fatto 1. Con provvedimento deliberato il 18 aprile 2013, il Magistrato di sorveglianza di Milano ha rigettato il reclamo proposto ai sensi dell'art. 35 Ord. Pen. dal detenuto F.L.B., con il quale lo stesso - ristretto presso la Casa di reclusione di Opera ed allocato in un'articolazione della sezione 41 bis Ord. Pen. di detto istituto, denunziava l'illegittimità del suo inserimento nel circuito penitenziario area riservata , in quanto detta collocazione limitava il suo diritto alla socialità, rendendo possibile la comunicazione con un solo detenuto, con conseguente violazione dell'art. 3 CEDU, che vieta trattamenti inumani e degradanti. 1.1 Il giudice adito ha motivato tale sua decisione, rilevando - per un verso, che secondo la giurisprudenza di questa Corte Sez. 1, n. 46269 del 24/10/2007 - dep. 12/12/2007, Musumeci, Rv. 238842 Sez. 1, n. 49988 del 24/11/2009 - dep. 30/12/2009, Lo Piccolo, Rv. 245969, e più di recente Sez. 7, n. 36437 del 21/6/2012 - dep. 21/9/2012, non massimata , il provvedimento di inserimento del detenuto nel circuito elevato indice di vigilanza E.I.V. e cioè la così detta area riservata , ove non ecceda la funzione tipica che gli è propria - come avvenuto nel caso di specie essendo il L.B. un detenuto di spiccata pericolosità sociale in quanto appartenente ad un'organizzazione associativa denominata dei Montanari radicata nel territorio garganico e coinvolta da decenni in sanguinose faide , non è in sé suscettibile di ledere diritti soggettivi e si sottrae quindi al controllo del Magistrato di sorveglianza, mentre possono costituire ammissibile oggetto di reclamo le singole disposizioni o gli atti esecutivi che siano in concreto lesivi dei diritti incomprimibili dei detenuto - per altro verso, che tale allocazione dei detenuto, come evidenziato nella relazione dei Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria DAP , secondo cui anche ai soggetti assegnati alla così detta area riservata è offerta la possibilità di fruire di momenti di socialità con altri detenuti del medesimo circuito opportunamente individuati secondo le indicazioni dell'art. 41 bis, comma 2quater Ord. Pen., non si configura come una condizione di isolamento né ha finalità punitive, e con riferimento alle denunciate limitazioni al diritto di socialità, che nello specifico il L.B. è stato sì inserito in un gruppo di socialità formato solo da un altro detenuto, ma ciò in quanto alla sezione riservata della Casa di reclusione dì Opera risultano assegnati dal DAP solo due detenuti, circostanza questa oggetto di una scelta discrezionale dell'Amministrazione da ritenersi non suscettibile di censura, posto che la legge art. 41 bis comma 2 quater lettera f Ord. Pen. prevede solo il limite massimo nella formazione dei gruppi sino a quattro , senza però indicare il numero minimo, e che nello specifico la limitazione del numero dei componenti dei gruppo a sole due unità, non si rivela arbitraria ed inutilmente compressiva delle posizioni soggettive fondamentali , in quanto la separazione tra detenuti costituisce una esigenza necessaria al perseguimento degli scopi cautelare del regime speciale . 2. Avverso l'indicato provvedimento ha proposto impugnazione il detenuto, per il tramite dei suoi difensori, deducendone l'illegittimità - per erronea applicazione della legge penale, in quanto l'art. 41 bis, comma 2-quater lett. f Ord. Pen., nel prevedere che nei confronti di soggetti sottoposti a quel regime detentivo speciale operi la limitazione della permanenza all'aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a quattro persone , fa chiaramente riferimento al numero massimo di detenuti che può comporre il gruppo, ma certamente non indica la sufficienza di due soli componenti, anche perché l'interpretazione della norma come prospettata dal giudice di merito pone la stessa in forte tensione con l'art. 27 comma 3 Cost. e con l'art. 3 CEDU - per vizio di motivazione, risultando illogica l'affermazione che il contatto con una sola altra persona sia idoneo a soddisfare il diritto del detenuto alla socialità, che comporta il diritto a vivere in società e non il diritto a vivere con una sola persona , specie ove si consideri che, per effetto di tale illegittima limitazione, il detenuto può trascorrere anche lunghi periodi completamente da solo in caso di partecipazione a processi dell'altro detenuto ovvero in occasione dello svolgimento dei colloqui . 2.1 Con memoria in data 17 aprile 2014, il ricorrente ha presentato motivi nuovi, insistendo per l'accoglimento del ricorso, sollecitando, in caso contrario, questa Corte a sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 41 bis, comma 2-quater, lett. b ed f Ord. Pen. in quanto il regime carcerario delineato da tali disposizioni, così come modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 si pone in netto contrasto rispetto alla normativa sovranazionale in materia di diritti umani e di divieto di tortura, invocando a sostegno di tale prospettazione il contenuto di un recente report presentato dal Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti CTP . Considerato in diritto 1. L'impugnazione proposta nell'interesse di F.L.B. è basata su motivi infondati e va quindi rigettata. 1.1 Dalla lettura logico-sistematica degli artt. 14, 59 e 61 legge 26 luglio 1975, n. 110 e 115 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 si evince che la competenza ad operare le assegnazioni dei detenuti appartiene all'Autorità amministrativa Provveditorato distrettuale o Ministero nel caso in cui si renda necessario il trasferimento in un distretto diverso da quello nel quale rientrerebbe il soggetto . La collocazione dell'art. 14 legge n. 354 del 1975 subito dopo la norma art. 13 , che stabilisce la regola generale per la quale il trattamento deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto , evidenzia molto chiaramente lo stretto legame funzionale esistente tra l'art. 14 e le disposizioni in tema di trattamento. La destinazione e il numero dei detenuti deve essere, infatti, tale da favorire la possibilità di procedere ad un trattamento rieducativo art. 14, comma 2 in coerenza con il principio fondamentale in base al quale le possibilità di successo di un programma di risocializzazione sono collegate all'omogeneità e all'affinità del gruppo di trattamento. 1.2 Tali previsioni, per altro, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, appaiono coerenti con le disposizioni sovranazionali. L'art. 63 delle regole minime per il trattamento dei detenuti approvato dall'ONU afferma l'opportunità di realizzare un sistema elastico di classificazione dei detenuti in gruppi, testo a favorire l'individualizzazione del trattamento, nonché a contenere il numero dei detenuti negli stabilimenti chiusi. Le regole minime del Consiglio d'Europa approvate nel 1973 e nel 1987 attribuiscono alla separazione dei detenuti due finalità quella di evitare influenze dannose e quella di facilitare il trattamento, considerate anche, da un lato, le esigenze dì recupero sociale e, dall'altro, quelle di sicurezza. Le regole penitenziarie del Consiglio d'Europa approvate nel 2006 pongono, a loro volta, il rispetto dei diritti della persona non più nel Preambolo, ma in apertura della Parte I a sottolineare la valenza di criterio guida che deve ispirare l'opera delle Amministrazioni penitenziarie. Ciò premesso, va rilevato che nel caso di specie il provvedimento adottato dall'Amministrazione penitenziaria nei confronti del ricorrente - per altro risalente all'anno 2011 per quanto è dato comprendere dall'ordinanza impugnata - non comporta specifiche violazioni dei diritti del detenuto in quanto, lungi dal limitare la partecipazione dei detenuto ad attività trattamentali, ha solo stabilito, per ragioni di opportunità specificamente indicate commissione di gravi reati appartenenza ad un'organizzazione associativa radicata nel territorio , la prescrizione di determinate cautele dettate, si badi bene, non solo per la particolare pericolosità del ricorrente, ma anche per evitare contatti con detenuti considerati non affidabili . 1.3 Ne consegue che nel caso di specie può finanche dubitarsi che il Magistrato di sorveglianza di Milano fosse funzionalmente competente a decidere sul reclamo proposto dal L.B., proposto, sostanzialmente, avverso un provvedimento dell'Amministrazione penitenziaria che, lungi dal comportare specifiche violazioni dei diritti del detenuto, costituisce l'espressione del potere discrezionale riservato all'Amministrazione penitenziaria di organizzare e regolare, nel rispetto dei principi in precedenza indicati, la vita all'interno degli istituti, tenuto anche conto della pericolosità dei detenuti e della necessità di assicurare l'ordinato svolgimento della vita intramuraria Sez. 1, n. 39530 del 4 ottobre 2007 e più di recente Sez. 1, n. 6737 del 30 gennaio 2014 . 1.4 Considerato, quindi, che la verifica demandata al Magistrato di Sorveglianza é limitata all'accertamento o meno di una lesione dei diritti del detenuto in conseguenza della sua assegnazione ad area riservata del carcere, deve convenirsi sulla congruità ed esaustività delle argomentazioni svolte nell'ordinanza impugnata, laddove si esclude ogni illegittima compressione dei diritti del detenuto e si sottolinea l'assicurata fruizione da parte di quest'ultimo sia dei momenti di socialità sia di ogni istituto trattamentale compatibile con l'assegnazione al circuito dell'alta sicurezza. 2. Al rigetto dei ricorso consegue, per legge art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.