I mancati accertamenti chimici non escludono il reato

Ai fini della configurazione del delitto di commercio di sostanze dopanti, la natura illecita delle sostanze sequestrate - indipendentemente dall’acquisizione delle tabelle ministeriali, aventi mera natura descrittiva delle sostanze vietate o regolate dalla legge - può ritenersi provata anche in assenza di accertamenti chimici e tossicologici sul corpo del reato, qualora vi siano altri elementi oggettivi da cui desumere le caratteristiche di illiceità.

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 36700/14 depositata il 3 settembre, è stata chiamata a verificare la legittimità di una sentenza di condanna, emessa a seguito di giudizio abbreviato e confermata in appello, nei confronti di un soggetto incensurato accusato di commercio di sostanze dopanti, provenienti dall’estero e destinate a soggetti privati. Prima di procedere al commento è necessario analizzare, seppur brevemente, l’ordito normativo entro cui il caso di specie va assunto. Come noto, in Italia la normativa anti-dopaggio è stata introdotta con la legge numero 522/1995, mediante la quale veniva ratificata la Convenzione contro il doping, sottoscritta a Strasburgo da vari Paesi del continente europeo il 16 novembre 1989. Pochi anni più tardi, il legislatore nazionale ha varato, nel rispetto dei principi enucleati nel corpus della Convenzione, la legge 14 dicembre 2000, numero 376, recante la Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping ”. Il testo normativo in parola, con poche e chiare disposizioni, prevede la punibilità sia del medico che prescrive o somministra le sostanze dopanti, che dell’atleta che le utilizza, oltre di chi ne intraprende il commercio. All’uopo, si evidenzia che l’art. 9 della L. numero 376/2000, recante la disciplina delle figure criminose sopra indicate, ben rappresenta la c.d. categoria delle norme penali in bianco”. Invero, l’art. 2 della medesima legge, richiamato dalla norma in esame ai fini della individuazione delle sostanze ritenute dopanti, rimanda alle tabelle farmacologiche approvate con decreto del Ministro della sanità, d’intesa con il Ministro per i beni e le attività culturali, su proposta della Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive. Adottato il metodo tabellare. Dunque, il legislatore italiano, reduce dalla sperimentazione normativa in materia di sostanze stupefacenti, ha deciso di adottare il c.d. metodo tabellare” anche per la disciplina delle sostanze farmacologiche e dopanti in campo sportivo che sino agli anni 2000 poteva definirsi una peculiarità esclusiva del T.U. 9 ottobre 1990, numero 309 . Tuttavia, proprio a causa della fonte normativa secondaria richiamata dagli artt. 2 e 9 della L. numero 376/2000 – e più segnatamente sull’applicazione dei valori tabellari ai reati commessi prima dell’entrata in vigore del decreto del Ministro della sanità - sono sorti notevoli contrasti dottrinali e giurisprudenziali in ordine alla forza vincolante delle tabelle ministeriali. L’acceso dibattito dottrinario relativo alla portata tassativa o meno delle predette tabelle si è diviso tra i sostenitori della tesi ricognitiva” – secondo i quali la fonte normativa secondaria ha mera funzione indicativa delle sostanze - e quelli della tesi costitutiva” – secondo cui i criteri tabellari sono condizione necessaria ed imprescindibile per l’applicazione della normativa anti doping. Tale contrasto, riversatosi anche nella giurisprudenza di legittimità, è stato poi risolto dalle SS.UU., chiamate a pronunciarsi sulla quaestio . Ebbene, con la sentenza numero 3087/2005, le SS.UU. hanno attribuito mero carattere ricognitivo alle tabelle ministeriali, con tutte le conseguenze tecnico-giuridiche che ne derivano soprattutto in tema di successione di leggi penali nel tempo . Fatte queste doverose premesse, si evidenzia che i Giudici del Supremo Consesso, come si vedrà oltre, in ossequio al principio sancito anni prima dalle SS.UU., con la sentenza indicata in epigrafe hanno ritenuto legittima la decisione impugnata dal ricorrente, recante un giudizio di penale responsabilità per il reato di cui all’art. 9, comma 7, L. numero 376/2000, adottata in mancanza di accertamenti chimico-tecnici della sostanza sequestrata, ma la cui natura dopante è stata ritenuta provata da altri elementi oggettivi. Il caso. Un soggetto incensurato, a seguito di celebrazione di rito abbreviato, veniva condannato dal G.U.P. di Trento per il reato di commercio di sostanze. La Corte d’Appello successivamente adita, in parziale riforma della sentenza impugnata, escludeva la continuazione della condotta del prevenuto con quella addebitata al coimputato, ma confermava il giudizio di responsabilità penale per il delitto di cui all’art. 9, comma 7, L. numero 376/2000, con condanna ad anni 1 e mesi 4 di reclusione. Il Giudice del gravame, stante la scelta del rito da parte dell’imputato, indipendentemente dall’acquisizione delle tabelle ministeriali, basava la propria decisione su tutti gli atti di indagine svolti dai Carabinieri del N.A.S. - ivi comprese le intercettazioni telefoniche - nonché sulle affermazioni auto accusatorie rese dal prevenuto in sede d’interrogatorio con le quali ammetteva di aver acquistato all’estero sostanze dopanti con effetto anabolizzante e di averle portate in Italia per farne uso personale . Nessun accertamento chimico e tossicologico sulla sostanza rinvenuta. Ricorre per l’annullamento della suddetta pronuncia l’atleta, lamentando, tra le varie censure, la carenza di motivazione dato che, in assenza di accertamenti chimici e tossicologici sulla sostanza rinvenuta, nonché senza l’acquisizione delle tabelle fornite dal Ministero della salute, i materialia iudicii si riducono alle sole indicazioni fornite dai Carabinieri del N.A.S. ed alle parziali affermazioni rese dall’imputato a seguito del suo arresto. L’altro profilo di doglianza, invece, secondario ma non meno importante, attiene alla carenza di motivazione in ordine alla ritenuta condotta di commercializzazione di sostanze dopanti da parte del ricorrente, in assenza di elementi certi, nonché alla mancata riqualificazione del fatto nella più lieve ipotesi delittuosa prevista dal comma 1 dell’art. 9 della L. numero 376/2000. Natura penalmente illecita della sostanza sequestrata? Provata tramite massime di comune esperienza e della scienza medica e farmacologica. I Giudici della Suprema Corte rigettano il ricorso proposto dall’atleta che, tra l’altro, sebbene incensurato, non ha goduto neppure della concessione delle attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. stante la rilevante gravità del fatto-reato a lui addebitato. L’ iter logico-giurico delineato dagli Ermellini, in relazione alla prima censura, è strettamente connesso al principio di mera natura ricognitiva delle tabelle ministeriali che, tuttavia, sono parte integrante della norma contenuta nell’art. 9 L. numero 376/2000. Invero, nella sentenza in esame, la Corte di Cassazione sottolinea la logicità e la completezza del ragionamento adottato dalla Corte territoriale nell’aver ritenuto provata la natura penalmente illecita della sostanza sequestrata all’atleta da una serie di elementi di tipo oggettivo, indipendentemente dall’acquisizione delle tabelle , tenuto anche conto delle massime di comune esperienza e della scienza medica e farmacologica. Allo stesso modo, la Suprema Corte non presta accoglimento alla doglianza susseguente, in virtù della diversità strutturale delle fattispecie delittuose previste rispettivamente ai commi 1 e 7 dell’art. 9 L. numero 376/2000, sia sotto il profilo soggettivo quanto sotto quello oggettivo. Precisano, infatti, gli Ermellini che l’ipotesi criminosa prevista dal comma 1 del succitato articolo può configurarsi solo in presenza di un dolo specifico in capo all’agente che, mediante il procacciamento, la somministrazione ad altri o l’assunzione di sostanza dopante, voglia alterare le prestazioni agonistiche o i risultati dei controlli effettuati. Di converso, per la realizzazione della fattispecie di cui al comma 7, è sufficiente che vi sia la prova del dolo generico in capo al soggetto agente, consistente, dunque, nella mera coscienza e volontà di mettere in circolazione le sostanze dopanti e trarne un profitto. Ma non solo. I Giudici di legittimità, nell’occasione, evidenziano che il reato di commercio di sostanze dopanti richiede, dal punto di vista materiale, il requisito della abitualità della condotta, nonché quello della professionalità da intendersi come la predisposizione, seppur minima, di una organizzazione di mezzi ed, inoltre, rispetto alle altre figure criminose in tema di doping, si distingue per il conseguimento di un profitto da parte del soggetto agente. In definitiva, la Suprema Corte adita ritiene congruo e legittimo il provvedimento decisionale impugnato dal ricorrente, ritenendo l’interpretazione delle risultanze processuali fornita dalla Corte territoriale perfettamente aderente ai principi già enunciati in materia. Conclusioni. La giurisprudenza di legittimità, sia nel caso di specie sia nell’ambito di precedenti arresti giurisprudenziali, fuga ogni dubbio circa la natura di reato di pericolo della fattispecie sinora esaminata. Ne consegue, quindi, che la tutela apprestata dalla norma di cui all’art. 9, comma 7, L. numero 376/2000 mira, secondo l’autorevole insegnamento di nomofilachia, a rendere punibili tutte quelle condotte che possano provocare il rischio di messa in circolazione di sostanze nocive o contrarie alle prescrizioni di legge, come per l’appunto quelle dopanti. Dunque, dal punto di vista operativo, l’assenza di accertamenti tecnici peritali sul corpo del reato - nonostante l’esistenza di tabelle ministeriali che indichino, in modo preciso, l’appartenenza di una sostanza ad una classe farmacologica vietata - non esclude la colpevolezza dell’imputato in presenza di ulteriori elementi oggettivi valutabili dal giudicante. A parere di chi scrive, tutta l’impostazione ermeneutica della questione sin qui delineata, se da un lato assicura la prevenzione o la repressione ad ampio margine della eventuale messa in commercio di sostanze dopanti, dall’altro rischia di collidere, se pur in minima parte, con il diritto alla difesa dell’imputato. Tuttavia, tenuto conto della recente entrata in vigore della normativa anti-doping, bisognerà attendere la futura evoluzione in subiecta materia per verificare il consolidamento di tale orientamento ovvero il suo oscillamento.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 marzo – 3 settembre 2014, n. 36700 Presidente Fiale – Relatore Grillo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza del 14 novembre 2012 la Corte di Appello di Trento in parziale riforma della sentenza del Giudice per l'udienza Preliminare del Tribunale di detta città pronunciata il 10 febbraio 2011 che aveva dichiarato F.P. n. il omissis e FE.Pi. nato l' omissis colpevoli del reato loro, rispettivamente, ascritto all'art. 9 comma 7 della L. 376/00 il primo e art. 9 comma 1 il secondo , condannandoli alla pena di anno uno e mesi quattro di reclusione il primo e mesi quattro di reclusione il secondo , elideva la continuazione con riferimento alla posizione di F.P. n. il omissis qualificava in tentativo di commercio la condotta contestata a FE.Pi. n. l' omissis confermava le pene originariamente loro inflitte e concedeva ad entrambi gli imputati il beneficio della non menzione della condanna. 1.2 Propone ricorso avverso la detta sentenza il solo F.P. nato il omissis con unico motivo con il quale deduce carenza di motivazione, contraddittorietà e illogicità manifesta in punto di conferma della responsabilità sotto il profilo della sussistenza della natura dopante delle sostanze sequestrate, stante anche la mancata verifica della loro reale natura ancora, in ordine alla ritenuta attività di commercio ed, infine, in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. Va premesso, in punto di fatto, che al F. era stata contestata la più grave condotta di associazione per delinquere - nella specifica veste di organizzatore della consorteria - finalizzata al commercio di sostanze dopanti sostanze anabolizzanti di vario genere anche provenienti dall'estero e destinate a soggetti privati . Il Giudice per l'udienza preliminare aveva escluso la sussistenza del delitto associativo, circoscrivendo la responsabilità alla sola condotta di commercio di dette sostanze, ritenuta la continuazione successivamente esclusa dalla Corte distrettuale . 2. Ciò detto, nell'ambito dell'unico motivo di ricorso dedicato al profilo riguardante la materialità del reato con riferimento alla natura dopante delle sostanze in sequestro, la difesa del F. lamenta sostanzialmente la carenza di motivazione in quanto, in assenza di accertamenti tossicologici e chimici condotti sulla effettiva natura della sostanza dopante, la Corte territoriale ha basato la propria decisione soltanto su due dati a le precise indicazioni fornite dai Carabinieri del N.A.S. che avevano proceduto al sequestro delle sostanze b le parziali ammissioni del F. in sede di interrogatorio a seguito del suo arresto, con le quali il detto imputato aveva ammesso di essersi procurato in sostanze anabolizzanti poi portate in Itala e delle quali aveva fatto uso per la propria attività fisica. Contesta, perché illogica, la affermazione della Corte secondo la quale le perizie non erano state disposte stante la scelta del rito speciale non condizionato effettuata dal F. che ne aveva precluso la possibilità di espletarle. 3. Sembra, anzitutto, necessaria qualche puntualizzazione in ordine alla natura delle tabelle ministeriali descrittive delle sostanze vietate aventi effetto dopante ciò in quanto uno dei punti sui quali la decisione della Corte territoriale ha fatto chiarezza è quello della non necessità - nel caso di specie - della acquisizione delle tabelle allegate ai decreti ministeriali in quanto la natura dopante delle sostanze sequestrate emergeva chiaramente da altri elementi oggettivi ulteriormente riscontrati - come detto - dalle parziali ammissioni dello stesso F. . 3.1 Si osserva, quanto alle menzionate tabelle, che l'art. 2 della L. 376/2000 rimanda ad un decreto del Ministero della Sanità, adottato di concerto con quello dei beni culturali, su proposta della Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive di cui all'art. 3, la determinazione dei farmaci, delle sostanze e delle pratiche mediche vietate. Il ricorso a tale criterio si spiega con l'estrema difficoltà di trovare definizioni della fattispecie criminosa che siano effettivamente esaustive dal punto di vista giuridico e scientifico in un ambito, come quello della farmacologia, che è notoriamente caratterizzato da una costante evoluzione. 3.2 Il c.d. metodo tabellare , già utilmente sperimentato in ambito di detenzione e commercializzazione delle sostanze stupefacenti con il T.U. 9 ottobre 1990, n. 309, rimette, quindi, ad una fonte secondaria il compito di precisare ed integrare il precetto penale, determinando in concreto le sostanze ed i metodi vietati. Da qui l'affermata natura di norma penale in bianco dell'art. 9 della L. 376/00, in quanto l'individuazione di un elemento essenziale della condotta illecita è rimessa alla competenza di organi tecnici. 3.3 Consapevole dell'acceso dibattito nella dottrina penalistica originatosi all'indomani dell'entrata in vigore della legge 376/00 tra i fautori della c.d. tesi ricognitiva e quelli della c.d. tesi costitutiva in ordine al carattere, tassativo o meno, delle tabelle alla natura della ripartizione in classi dei farmaci dopanti meramente ricognitiva, ovvero costitutiva nel quale caso la fase di classificazione verrebbe identificata come vera e propria condizione di applicabilità della normativa antidoping , la giurisprudenza di legittimità è intervenuta a comporre il contrasto inizialmente venutosi a creare sulla configurabilità dei reati di doping rispetto a fatti accaduti dopo l'entrata in vigore della legge dal 2 gennaio 2001 , ma al contempo prima dell'emanazione dei decreti ministeriali di attuazione, ovvero, rispetto a fatti accaduti dopo, ma che hanno ad oggetto farmaci, sostanze o pratiche non espressamente richiamati nella elencazione ministeriale, e dunque sul carattere tassativo o meno di quest'ultima. 3.4 La 3^ Sezione di questa Corte, infatti, con sentenza 2.12.2004, n. 46764, P.M. in proc. Gillet, Rv. 230336, ha affermato che i reati de quibus sono configurabili anche se i relativi fatti siano stati commessi prima della emanazione del previsto decreto ministeriale di ripartizione in classi delle sostanze dopanti , riconoscendo, così, immediata portata precettiva alla norma di cui all'art. 9 della stessa legge - indipendentemente dall'emanazione del menzionato decreto ministeriale - purché riferita a sostanze già individuate ed espressamente indicate nell'elenco delle classi farmacologiche di sostanze e metodi dopanti allegato in appendice alla legge 29.11.1995 n. 522, di ratifica della Convenzione di Strasburgo del 16 novembre 1989. 3.5 Il detto elenco comprende, come è noto, le classi di agenti di doping e di metodi di doping vietati dalle organizzazioni sportive internazionali e riproduce le classi di sostanze di doping e dei metodi di doping adottati dal CIO nell'aprile del 1989 . Secondo il principio affermato con la detta pronuncia peraltro preceduta da altra di similare contenuto anche se non specificamente attinente a tale questione Sez. VI, 20.2.2003, n. 17322, Frisinghelli, Rv. 224957, che ha riconosciuto la sussistenza dei reati di doping in assenza del decreto di ripartizione in classi delle sostanze dopanti , il decreto ministeriale in parola non sarebbe necessario per integrare, quale fonte tecnica secondaria, il precetto penale e l'attività di ripartizione in classi delle sostanze dopanti avrebbe un carattere meramente ricognitivo e classificatorio. Secondo la detta sentenza tale conclusione, in aperto contrasto, peraltro, con la maggioranza della dottrina penalistica, non intaccherebbe né il principio della riserva di legge, stante il preciso riferimento a parametri normativi espressamente richiamati dalla legge n. 376/2000 che esclude un margine di discrezionalità per il giudice penale nel processo di l'individuazione delle sostanze dopanti né il principio di tassatività, perché il novum non potrebbe estendersi alla somministrazione o all'assunzione di sostanze diverse da quelle legalmente predeterminate. 3.6 Un diverso orientamento, nel senso auspicato dalla dottrina penalistica maggioritaria, ha caratterizzato la decisione assunta da altra Sezione di questa Corte secondo la quale l'oggetto della legge n. 376 del 2000 e quello della Convenzione di Strasburgo del 1995 non possono dirsi coincidenti e sovrapponibili con riferimento alle specifiche finalità perseguite dalla stessa legge n. 376/2000, alla relativa struttura normativa, ai modelli cui essa si è ispirata ed all'oggetto giuridico delle fattispecie penali Sez. 6^ Ord. 29.12.2004 n. 49949, Petrarca e altri, non massimata . 3.7 Intervenute a comporre il contrasto giurisprudenziale sul punto, le S.U. di questa Corte hanno affrontato la questione rimessa dalla 6^ Sezione con la ricordata ordinanza, al fine di stabilire la configurabilità dei reati indicati dall'art. 9 della L. 376/00 anche per i fatti commessi prima della emanazione del D.M. 15 ottobre 2002 Ministero della Salute con il quale, in applicazione dell'art. 2 della stessa legge, è stata approvata la lista dei farmaci, delle sostanze biologicamente attive e delle pratiche mediche il cui impiego è considerato doping. 3.8 È stato, così, affermato il principio di diritto secondo il quale le ipotesi di reato previste dall'art. 9 della legge 14 dicembre 2000, n. 376 recante la disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping sono configurabili anche per i fatti commessi prima della emanazione del decreto Ministro della salute, in data 15 ottobre 2002, con il quale, in applicazione dell'art. 2 della stessa legge, sono stati ripartiti in classi i tarmaci, le sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e le pratiche mediche il cui impiego è considerato doping . S.U. 29.11.2005 n. 3087, P.M. in proc. Cori ed altri, Rv. 232557 conformi Sez. 3A 27.2.2007 n. 21092, Pomari, Rv. 236740 Sez. 2A 29.3.2007, P.G. in proc. Giraudo, Rv. 237035 . 4. Non ritiene il Collegio di soffermarsi ulteriormente sulla questione sopra indicata, anche perché sostanzialmente marginale rispetto al tema in esame. Quel che rileva, dal punto di vista generale, è il significato meramente ricognitivo e non costitutivo della classificazione delle sostanze, con la conseguenza che è sufficiente l'inserimento di un farmaco o di un suo composto all'interno delle classi suddette per affermare la natura illecita - dal punto di vista penale - della sostanza commercializzata o detenuta a tale fine qualificata come dopante. 4.1 Nel caso di specie - diversamente da come dedotto dalla difesa - la Corte territoriale ha desunto la natura dopante della sostanza sequestrata da una serie di elementi di tipo oggettivo, indipendentemente dalla acquisizione delle tabelle suddette, tenuto conto a del suo inserimento nel D.M. 19.3.2009 che disciplina e classifica le sostanze anabolizzanti dagli accertamenti svolti in concreto dai carabinieri del N.A.S. sulle dette sostanze culminato nella individuazione del principio attivo ricompreso tra le sostanze vietata stante l'effetto dopante dall'ulteriore accertamento svolto dai Carabinieri in occasione del sequestro del 2 dicembre 2009 nel quale venne dato atto che le sostanze sequestrate al F. erano della stessa specie di quelle oggetto del sequestro non appare superfluo, al riguardo, ricordare che la Corte distrettuale, nel confermare la natura dopante delle sostanze in esame, ha dato atto del rinvenimento in sede di perquisizione, di 200 compresse della sostanza farmaceutica ad azione anabolizzante recante indicazioni in caratteri cirillici, riconducibili alla sostanza avente principio attivo Metandrostenolone derivato dal testosterone . 4.2 D'altro canto, a riprova della superfluità, nel caso in esame, della acquisizione delle tabelle, va considerato fatto notorio che il testosterone ed i suoi derivati vengono adoperati - secondo la comune scienza medica e farmacologica - per le loro proprietà anabolizzanti che incidono sul corpo umano, favorendone l'accrescimento della massa muscolare e diminuendo la sensazione di affaticamento il che è sufficiente a fa ritenere dette sostanze dopanti nel senso in cui comunemente si intende la parola doping in campo penale. I dati di cui sopra, incrociati con la stessa ammissione proveniente dal F. di essersi procurato in Moldavia sostanze dopanti con effetto anabolizzante per farne uso personale nella propria attività fisica, sono stati ritenuti dalla Corte distrettuale indicatori univoci della natura illecita sotto l'aspetto penale delle sostanze sequestrate. 4.3 E, per concludere, è del tutto corretta l'affermazione della Corte distrettuale secondo la quale, atteso il rito speciale scelto dall'imputato e non subordinato ad alcuna condizione, appariva del tutto superfluo l'esperimento di una perizia volta ad accertare l'esatta natura di tali sostanze, avendo l'imputato accettato le risultanze processuali emerse sino a quel momento in particolare gli accertamenti dei Carabinieri nello stato in cui si trovavano, senza opporre eccezioni di sorta. 4.4 Per tutte queste ragioni va ritenuto infondato il relativo motivo nella parte concernente la motivazione data dalla Corte distrettuale in ordine alla natura penalmente illecita delle sostanze sequestrate al F. . 5. Il secondo profilo affrontato dalla difesa del ricorrente concerne la ritenuta manifesta illogicità e carenza di motivazione in ordine alla presunta attività di commercio esercitata dal F. secondo la tesi prospettata nel ricorso tesi, per incidens, accolta dalla Corte di Appello con riferimento alla condotta contestata all'omonimo coimputato FE.Pi. n. l' omissis , la condotta dell'odierno imputato, in assenza di elementi certi in ordine alla attività di intermediazione e cessione a terzi di sostanze dopanti in modo continuativo, andrebbe circoscritta nell'alveo del comma 1 dell'art. 9 della L. 376/00 che, a differenza della previsione contenuta nel comma 7 del medesimo articolo, punisce la condotta di procacciamento ad altri delle dette sostanze. 5.1 La censura non può trovare accoglimento. Va premesso, in linea generale, che l'art. 9 comma 7, della legge 376 del 2000 prevede che Chiunque commercia i tarmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi nelle classi di cui all'articolo 2, comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle altre strutture che detengono farmaci, direttamente destinati all'utilizzazione sul paziente, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da Euro 5.164 a Euro 77.468 . 5.2 Detta ipotesi si distingue - per quanto qui può rilevare - dal comma 1 del medesimo articolo sotto il duplice profilo della condotta attività di commercio nel comma 7 e procacciamento a terzi nel comma 1 e del trattamento sanzionatorio più grave quello previsto dal comma 7 rispetto a quello previsto dal comma 1 . 5.3 In particolare, per quanto riguarda il primo dei due profili cennati, che più rileva nel caso in esame, la condotta vietata dal comma 7 consiste nello svolgimento di un'attività di commercio avente per oggetto farmaci e sostanze proibite, comprese nelle classi ministeriali, al di fuori dei canali ufficiali, rappresentati da farmacie o altre strutture autorizzate, e quindi illegalmente. Trattasi di reato comune, e non proprio, attesa l'espressione adoperata dal legislatore chiunque . 5.4 Quanto all'elemento psicologico, è richiesto il dolo generico consistente nella volontà da parte dell'agente di realizzare la condotta descritta, unitamente alla consapevolezza di agire in assenza delle prescritte autorizzazioni ed abilitazioni, nonché della natura proibita delle sostanze e dei farmaci commercializzati. Tale elemento permette di distinguere la condotta in esame da quella prevista nel comma 1 caratterizzata, invece, dal dolo specifico finalità da parte dell'agente di alterare le prestazioni agonistiche ovvero i risultati dei controlli effettuati nell'ipotesi disciplinata dal comma 7 la previsione incriminatrice risponde unicamente all'esigenza di evitare che le sostanze vietate possano essere immesse sul mercato al di fuori delle rigorose prescrizioni di cui all'articolo 9 della legge in esame. 5.5 La mancata previsione del fine specifico, previsto invece per le altre ipotesi delittuose, consente di estendere l'ambito della fattispecie anche oltre i ristretti limiti delle competizioni agonistiche, per punire il commercio clandestino destinato agli sportivi non atleti , con particolare riferimento ai frequentatori di palestre vds. sul punto Sez. 3^ Ord. 18.4.2013 n. 32963, Grasso, Rv. 257263 . 5.6 Uno degli elementi cardine che caratterizza la condotta di commercio di sostanze dopanti, come delineata dal ricordato comma 7 dell'art. 9, è rappresentato dalla professionalità , che ricomprende soltanto quelle condotte contrassegnate dalla predisposizione di un minimo di organizzazione e/o dalla continuità della condotta delittuosa. Tale elemento, non presente, invece, nel comma 1, consente di includere la condotta singola di cessione, consegna o procacciamento della sostanza volta ad un suo consumo immediato da parte del terzo, nell'alveo del predetto comma 1 che prevede, come già osservato, una pena meno grave. 5.7 È questa la ragione di fondo per la quale come, del resto, osservato dalla maggioritaria dottrina penalistica, la giurisprudenza di questa Suprema Corte si è allineata nel senso di ritenere l'ipotesi criminosa contemplata dal comma 7 come delitto caratterizzato - oltre che dalla professionalità - dal requisito della abitualità che presuppone, quindi, una reiterazione della condotta protratta nel tempo, tale da far apparire i singoli episodi che la compongono come momenti di una più ampia attività. D'altro canto l'uso del verbo commerciare , in luogo del termine vendere riporta allo svolgimento di un'attività di scambio prolungata nel tempo. 5.8 Altro elemento che segna il termine commercio è la patrimonialità che connota il reato per commercio si intende, comunemente, una attività economica basata sullo scambio di beni in cambio di denaro o di altri prodotti. Ne consegue che il termine sopra menzionato è inscindibilmente legato, se non proprio al guadagno, quanto meno al profitto, inteso nella sua accezione più ampia anche non strettamente economica. Ed è, per l'appunto, il profitto a segnare la linea di confine tra le due fattispecie di reato previste, rispettivamente, dai commi settimo e primo dell'art. 9 della l. 376/2000 infatti la condotta di procurare ad altri sostanze dopanti, prevista e punita dal primo comma, si distingue dal commercio proprio in ragione del profitto, che solo chi pratica il commercio persegue e consegue. Trattasi di reato di pericolo che si realizza semplicemente con il porre in essere una attività di commercio illegale di tali sostanze, a nulla rilevando il fatto che le sostanze non siano poi impiegate per alterare le prestazioni agonistiche degli atleti o i controlli antidoping. 6. Come accennato in precedenza, la giurisprudenza di questa Corte si colloca nel solco di tali principi, essendo stato affermato, oltre alla natura di reato di pericolo, una serie di regole interpretative fondamentali. 6.1 In particolare, per quanto riguarda l'elemento soggettivo, è stata ribadita da questa Corte la non necessità del dolo specifico in quanto il commercio clandestino di sostanze ad effetto dopante viene sanzionato penalmente in relazione al fine specifico perseguito dal soggetto agente e configura un reato di pericolo, diretto a prevenire il rischio derivante dalla messa in circolazione di tali farmaci, al di fuori delle prescrizioni imposte dalla legge, per la tutela sanitaria delle attività sportive Sez. 2^ 15.11.2011 n. 43328, Giorgini e altri, Rv. 251377 . 6.2 È stato, ancora, ribadito il concetto che il reato di cui all'art. 9, comma 7, della legge n. 376/2000 è volto a salvaguardare la salute di coloro che partecipano alle manifestazioni sportive, anche se non sono mancate affermazioni ancora più estese secondo le quali non è richiesto che l'attività sportiva sia svolta a livello professionistico o comunque agonistico, il che induce a ricomprendere nell'alveo della condotta penalmente rilevante anche quella di chi pone in pericolo la salute di chi pratica lo sport a qualsiasi livello, anche amatoriale e indipendentemente da una manifestazione avente carattere agonistico Sez. 3^ Ord. 32963/13 cit. . 6.3 Ed infine, particolarmente importante è il principio affermato ripetutamente da questa Corte Suprema, in forza del quale la fattispecie in esame risulta caratterizzata da una articolata e connessa condotta di acquisti e rivendite illeciti di sostanze dopanti , in cui l'approvvigionamento è finalizzato alla cessione a titolo oneroso. Ma soprattutto è stato ribadito in più decisioni, anche risalenti, che la condotta di commercio clandestino di sostanze anabolizzanti deve possedere i caratteri di un'attività continuativa, supportata da una elementare struttura organizzativa Sez. 6^ 20.2.2003 n. 17322, Frisinghelli, Rv. 224957, in cui viene sottolineato, come ricordato da S.U. 3087/05 cit., che la parola commercio rimanda a concetti tipicamente civilistici, dovendo, quindi, intendersi nel senso di un'attività di intermediazione nella circolazione dei beni connotata dal carattere della continuità, oltre che da una organizzazione anche di tipo rudimentale conforme Sez. 3^ 23.10.2013 n. 46246, Dasic e altro, Rv. 257857 . 6.4 Orbene, ai detti principi si è uniformata la decisione impugnata che ha tratto il convincimento di una attività di commercio esercitata in via continuativa e non circoscritta - come preteso dalla difesa del ricorrente - a singole attività di procacciamento o cessione, dal complessivo esito delle indagini di P.G. e segnatamente, dall'attività di intercettazione, ma anche dalle correlate attività di pedinamento ed osservazione ed ancora da altre sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti emesse nei riguardi di soggetti dei quali era stata inequivocabilmente accertata l'attività di commercio e risultati essere in contatto frequente con il F. per l'approvvigionamento da parte sua di sostanze dopante da lui poi successivamente redistribuite a soggetti terzi. 6.5 La Corte distrettuale non si è però fermata a tali elementi, valorizzando anche altri dati quali l'approvvigionamento all'estero da parte del F. di sostanze dopanti in quantità rilevanti e il rinvenimento di sostanze contenute in confezioni riportanti all'esterno caratteri cirillici è certamente coerente, come ricordato dalla Corte di merito, con la dichiarazione confessoria del F. di essersi procurato tali sostanze in Moldavia ancora la sua continua ricerca di attivare diversi canali di approvvigionamento in modo, afferma testualmente il giudice di appello da creare gli indispensabili presupposti per offrire ad una serie indeterminata di persone, facilmente reperibili tra gli appassionati dello sport praticato dallo stesso appellante le specialità proibite , vds. pagg. 12 - 13 della sentenza impugnata . 6.6 Così come è stato approfondito l'aspetto relativo all'elemento psicologico del reato in esame, individuato secondo i parametri sopra indicati ed in termini di dolo generico. La motivazione, ampia, articolata e soprattutto, coerente con i principi di diritto, oltre che con i dati probatori acquisiti, si sottrae quindi a qualsivoglia censura di manifesta illogicità e di incompletezza. 7. Rimane da esaminare il terzo profilo affrontato dalla difesa del ricorrente con specifico riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche. 7.1 Anche su questo fronte la censura è priva di rilevanza. Va, anzitutto, rilevato che in relazione alla natura delle circostanze attenuanti generiche dirette ad una mitigazione del trattamento sanzionatorio in presenza di circostanze positive atte a ritenere l'imputato meritevole del trattamento meno severo, non è più sufficiente il mero stato di incensuratezza, tenuto conto delle modifiche apportate al comma 3^ dell'art. 62 bis cod. pen. dall'art. 1 comma 1 lett. f bis della L. 125/08, applicabile nella specie in considerazione del tempus commissi delicti posteriore alla entrata in vigore della Legge di riforma. 7.2 Va, ancora, aggiunto che il giudice del merito, nel valutare il riconoscimento, o meno, delle circostanze ex art. 62 bis cod. pen. ha l'obbligo di riferirsi ai parametri di cui all'art. 133 cod. pen. senza alcuna necessità di esaminarli tutti, bastando indicare quelli di rilievo negativo, come, in ipotesi, la gravità del fatto Cass. Sez. 2^ 11.10.2004 n. 2285, Alba ed altri, Rv. 230691 conforme Cass. Sez. 6^ 16.6.2010 n. 34364, Giovane ed altri, Rv. 248244 . 7.3 La tesi sviluppata dal ricorrente secondo la quale il mancato accertamento peritale della natura e portata lesiva delle sostanze sequestrate entrerebbe in contraddizione con l'affermata gravità della condotta non coglie nel segno in quanto il concetto di offensività preso in considerazione dalla Corte non è riferito tanto alla insidiosità per la salute umana della singola sostanza quanto al complessivo comportamento del F. tale da mettere in pericolo la salute di un numero indeterminato di persone interpretazione, questa, in linea con la carattenstica peculiare del reato in esame, inteso quale fattispecie di pericolo astratto. 7.4 Ed infine, avendo dedotto l'imputato che non sarebbe stata tenuta in alcuna considerazione la circostanza che fosse un militare in carriera che ha accumulato molti attestati di apprezzamento per la partecipazione a missioni di pace” così, testualmente pag 5 del ricorso , più che fornire un apporto positivo utile a inquadrare positivamente la personalità dell’imputato, finisce paradossalmente con l'esaltarne la negatività, essendo del tutto irragionevole pensare che un soggetto professionalmente impegnato e qualificato, additato verosimilmente ad esempio per gli altri commilitoni ma anche per soggetti estranei ali ambiente militare per la sua condotta, possa poi assumere comportamenti, peraltro non isolati nel tempo, non solo eticamente, ma soprattutto penalmente riprovevoli, come quello che ne ha comportato la condanna. Ne consegue che, in assenza di elementi positivi da contrapporre alla gravità del fatto esattamente individuata dalla Corte di merito appare corretta la decisione impugnata che ha anche sottolineato la particolare mitezza della pena infinta, contenuta entro il minimo edittale assoluto. 7.5 Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.