Il carcere non sempre è la soluzione più adeguata per il padre violento

All’uomo che maltratti i propri familiari possono essere applicate anche misure cautelari meno invasive della custodia in carcere, come l’allontanamento dalla casa familiare art. 282-bis c.p.p. o il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa art. 282-ter c.p.p. quando siano più adeguate.

E’ stato così affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 36392, depositata il 28 agosto 2014. Il caso. Il Tribunale di Palermo accoglieva l’appello proposto dal pm avverso l’ordinanza di rigetto emessa dal gip e con ordinanza applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti dell’indagato del reato di cui all’art. 572 c.p. maltrattamenti contro familiari o conviventi . Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, deducendo violazione di legge e carenza motivazionale. In particolare, la tesi difensiva non riteneva sussistenti le esigenza cautelari ex art. 274 lett. a e c , avendo il Tribunale affidato le proprie valutazioni a mere presunzioni. I Giudici, secondo la difesa, non avevano tenuto conto che, dopo un periodo di allontanamento, la moglie aveva fatto rientrare a casa il marito e che lo stesso uomo aveva trovato un lavoro in grado di consentirgli di mantenere la famiglia. Entrambe le esigenze cautelari, inoltre, potevano, sempre secondo la tesi del ricorrente, essere salvaguardate anche con i recenti istituti introdotti dagli artt. 282- bis allontanamento dalla casa familiare e 282- ter divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa c.p.p Da rivalutare l’adeguatezza della misura. La Cassazione, nell’affrontare la questione, ha chiarito che la gravità del panorama evocato a sostegno della misura deve ritenersi congruamente sostenuta nella motivazione del provvedimento impugnato, che ha correttamente proceduto ad una valutazione analitica e globale degli elementi indiziari emersi a carico del ricorrente, dando conto, in maniera logica ed adeguata, delle ragioni che giustificano l’epilogo del relativo percorso decisorio . Tuttavia, ha aggiunto il Collegio, non coerentemente motivato risulta il profilo dell’adeguatezza della misura cautelare prescelta . Difatti, il giudice, nel scegliere la misura coercitiva da applicare, è tenuto a motivare adeguatamente sull’impossibilità di conseguire il medesimo risultato con quelle meno invasive e più appropriate, come quelle previste dagli artt. 282 bis e 282 ter c.p.p Si tratta - specificano gli Ermellini - di tipologie di misure che devono essere modellate in relazione alla peculiarità della condotta illecita considerata, e che si caratterizzano per il fatto di affidare al giudice della cautela il compito, oltre che di verificare i presupposti applicativi ordinari, di riempire la misura di quelle specifiche prescrizioni ritenute essenziali per raggiungere l’obiettivo cautelare, ovvero per limitare le conseguenze della misura stessa . Per esempio, nel provvedimento di allontanamento dalla casa familiare il giudice può prescrivere determinate modalità di visita del soggetto allontanato dall’abitazione coniugale, tenendo presenti le esigenze educative dei figli minori. Oppure, con il provvedimento di divieto di avvicinamento potrà individuare i luoghi ai quali l’indagato non può avvicinarsi, indicare le distanze che deve tenere dalla persona offesa ed eventualmente anche dai suoi parenti. In conclusione, la Cassazione annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’adeguatezza della misura cautelare e rinvia per nuova deliberazione sul punto al Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 3 giugno – 28 agosto 2014, n. 36392 Presidente Agrò – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 5 febbraio 2014 il Tribunale di Palermo, in accoglimento dell'appello proposto dal P.M. avverso l'ordinanza di rigetto emessa in data 13 gennaio 2014 dal G.i.p. presso il Tribunale di Trapani, ha applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di S.R. , indagato del reato di cui agli artt. 572, 61, n. 11-quinquies, c.p., commesso in omissis con condotta permanente, in danno della moglie dei figli minori. 2. Avverso la su indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'indagato, deducendo violazioni di legge e carenze motivazionali con riferimento alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari di cui alle lett. a e c dell'art. 274 c.p.p., avendo il Tribunale affidato le proprie valutazioni a mere presunzioni, ad es. con riguardo alla possibilità di commettere in futuro dei reati con l'utilizzo di armi, senza considerare il fatto che, dopo un periodo di allontanamento, la moglie ritenne di farlo rientrare a casa prima delle feste natalizie del dicembre 2013 per tentare di riavviare, anche per le condizioni di depressione nelle quali egli versava, un rapporto di serena convivenza nell'interesse dei figli minori. L'indagato, peraltro, ha trovato un lavoro continuativo, come comprovato in sede di discussione dinanzi al Tribunale della libertà, che gli consente di vivere in una condizione di serenità e di mantenere la famiglia, circostanza, questa, non considerata nella motivazione dell'impugnato provvedimento. Entrambe le ravvisate esigenze cautelari, infine, potevano essere salvaguardate anche con i recenti istituti introdotti dagli artt. 282 bis e 282 ter, c.p.p Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato esclusivamente entro i limiti e per gli effetti di seguito esposti e precisati. 4. La gravità del panorama indiziario evocato a sostegno della misura deve ritenersi congruamente sostenuta nella motivazione del provvedimento impugnato, che ha correttamente proceduto ad una valutazione analitica e globale degli elementi indiziari emersi a carico del ricorrente, dando conto, in maniera logica ed adeguata, delle ragioni che giustificano l'epilogo del relativo percorso decisorio. Entro tale prospettiva, dunque, l'impugnata ordinanza ha fatto buon governo del quadro dei principii che regolano la materia, ponendo in evidenza, sulla base delle univoche indicazioni offerte dalle emergenze investigative, ed in particolare dalle convergenti dichiarazioni rese dalle persone offese, come l'indagato abbia posto in essere, nell'intero arco del rapporto matrimoniale, una serie di violente aggressioni in danno della moglie e dei figli minori, idonee a rendere abitualmente doloroso ed umiliante il quadro delle relazioni familiari. Parimenti congrua, tenuto conto della natura cautelare della cognizione e della valutazione rebus sic stantibus ivi propriamente espressa, deve altresì ritenersi, nell' iter motivazionale dell'impugnato provvedimento, la giustificazione offerta riguardo alla sussistenza delle esigenze cautelari di cui alla lett. c dell'art. 274 c.p.p. - desunte dall'evidenziato rischio di reiterazione delle gravi condotte oggetto di addebito cautelare - oltre che di quelle individuate nella lett. a della su citata disposizione, che il Tribunale ha ricavato dal fatto che lo stato di soggezione mostrato dalla moglie nei confronti dell'indagato, a causa dei tratti violenti della sua personalità, possa risultare addirittura accresciuto dall'avvenuta ripresa della convivenza familiare, con il conseguente pericolo che la moglie non denunzi ulteriori episodi di maltrattamento. 5. Non coerentemente motivato, di contro, risulta il profilo dell'adeguatezza della misura cautelare prescelta, ove si consideri che i principii generali di proporzionalità e adeguatezza delle misure coercitive - siano esse di natura personale o reale - devono costituire oggetto di una valutazione preventiva e non eludibile sia da parte del giudice che le disponga, sia di quello investito dell'istanza di riesame, che di conseguenza è tenuto a motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato con le meno invasive, e più appropriate, misure coercitive previste nelle disposizioni di cui agli artt. 282-bis e 282-ter, c.p.p., avuto riguardo, in particolare, alle deduzioni difensive in ordine all'elemento di novità concernente l'occupazione lavorativa che l'indagato avrebbe di recente ottenuto. Si tratta, invero, di tipologie di misure che devono essere modellate in relazione alle peculiarità della condotta illecita considerata, e che si caratterizzano per il fatto di affidare al giudice della cautela il compito, oltre che di verificare i presupposti applicativi ordinari, di riempire la misura di quelle specifiche prescrizioni ritenute essenziali per raggiungere l'obiettivo cautelare, ovvero per limitare le conseguenze della misura stessa. Così, ad es., nel provvedimento di allontanamento dalla casa familiare il giudice penale può prescrivere determinate modalità di visita del soggetto allontanato dalla abitazione coniugale, tenendo presenti le esigenze educative dei figli minori con il provvedimento di divieto di avvicinamento, inoltre, il giudice deve individuare i luoghi ai quali l'indagato non può avvicinarsi e in presenza di ulteriori esigenze di tutela può anche prescrivere di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dai parenti della persona offesa e, addirittura, indicare la distanza che l'indagato deve tenere da tali luoghi o da tali persone inoltre, spetta al giudice vietare che l'indagato comunichi con la vittima, indicando i mezzi vietati in entrambi i casi, qualora la frequentazione dei luoghi sia necessaria per motivi di lavoro, ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le modalità e può imporre specifiche limitazioni al riguardo v., in motivazione, Sez. 6, n. 26819 del 07/04/2011, dep. 08/07/2011, Rv. 2507289 . 6. S'impone, conclusivamente, l'annullamento con rinvio dell'impugnata ordinanza, per un nuovo esame in relazione allo specifico profilo sopra evidenziato, che nella piena libertà dei relativi apprezzamenti di merito dovrà colmare le su indicate lacune motivazionali, uniformandosi ai principii di diritto in questa Sede stabiliti. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente all'adeguatezza della misura cautelare e rinvia per nuova deliberazione sul punto al Tribunale di Palermo.