Stalking: la routine quotidiana non può essere influenzata da altri

Nel reato di stalking , per alterazione delle proprie condizioni di vita si intende ogni mutamento significativo e protratto per un apprezzabile lasso di tempo dell’ordinaria gestione della vita quotidiana, indotto nella vittima dalla condotta persecutoria altrui e finalizzato ad evitare l’ingerenza nella propria vita privata del molestatore.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 33196, depositata il 25 luglio 2014. Il caso. Un imputato per il reato di atti persecutori veniva condannato dalla Corte d’appello di Bari. L’uomo ricorreva in Cassazione, contestando l’affermata responsabilità anche per fatti commessi anteriormente all’introduzione dell’art. 612- bis c.p., che disciplina tale reato, nell’ordinamento penale. Inoltre, veniva lamentato un vizio di motivazione riguardo alla sussistenza del reato. Cosa provoca il reato di stalking. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che il reato in questione, introdotto dal d.l. n. 11/2009 convertito in l. n. 38/2009 , è un delitto abituale di evento ed è configurabile quando il comportamento minaccioso o molesto di qualcuno, mediante condotte reiterate, abbia causato un grave e perdurante stato di turbamento emotivo nella vittima, oppure abbia creato un timore fondato per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto, oppure ancora di una persona a lei legata da una relazione affettiva. Altra ipotesi che rientra nella fattispecie di reato è il cambiamento forzato delle proprie abitudini di vita. La reiterazione è un elemento costitutivo del reato ed è integrato anche da due sole condotte di minaccia o di molestia. Nel caso di specie, le condotte imputate al ricorrente riguardavano delle denunce presentate nel novembre 2009, quindi dopo l’entrata in vigore della norma. Alterazione delle condizioni di vita. Inoltre, il reato di stalking è un reato che prevede degli eventi alternativi, ciascuno idoneo ad integrare la fattispecie. I giudici di legittimità specificavano, poi, che per alterazione delle proprie condizioni di vita si intende ogni mutamento significativo e protratto per un apprezzabile lasso di tempo dell’ordinaria gestione della vita quotidiana, indotto nella vittima dalla condotta persecutoria altrui e finalizzato ad evitare l’ingerenza nella propria vita privata del molestatore. Dolo generico. Per quanto riguarda l’elemento soggettivo del reato, è sufficiente il dolo generico, cioè la volontà di porre in essere le condotte di minaccia o di molestia, con la consapevolezza dell’idoneità di esse alla produzione di uno degli eventi sanzionati dalla norma codicistica. Non è necessaria, invece, una rappresentazione anticipata del risultato finale basta, infatti, proprio la consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi, nonché dell’apporto arrecato da essi all’interesse protetto. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 giugno – 25 luglio 2014, n. 33196 Presidente Fumo – Relatore Sabeone Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 24 maggio 2013, ha confermato la sentenza del Tribunale di Bari del 10 maggio 2011 che aveva condannato P.N. per il delitto di atti persecutori in danno di L.V. . 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentandone a una violazione di legge e il difetto di motivazione in merito alla effettiva ricostruzione dello svolgimento dei fatti nonostante la scelta del rito abbreviato b una violazione di legge e la illogicità della motivazione in merito all'affermazione della penale responsabilità per il contestato delitto di cui all'articolo 612 bis cod.pen. anche per fatti commessi anteriormente alla sua introduzione nell'ordinamento penale c una violazione di legge e un vizio di motivazione circa la sussistenza del contestato reato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento. 2. Quanto al primo motivo, correttamente il Giudice a quo ha affermato, secondo quanto più volte argomentato da questa Corte v. Cass. Sez. IV 20 novembre 2012 n. 6969 e Sez. Ili 28 novembre 2013 n. 5457 come la richiesta da parte dell'imputato del rito abbreviato comporti l'accettazione del giudizio allo stato degli atti , con la conseguenza che il quadro probatorio già esistente non sia suscettibile di modificazioni e con la precisazione che solo in base agli elementi già acquisiti debba formarsi la res iudicanda , in essa compresi gli aspetti relativi anche alle circostanze attenuanti, per il riconoscimento delle quali non è possibile procedere ad ulteriori acquisizioni probatorie, neppure di tipo documentale. Imputet sibi, pertanto, l'imputato la mancata richiesta di un diverso rito attraverso il quale dar sfogo al proprio diritto all'integrazione probatoria ovvero alla stimolazione dell'attività ufficiosa del Giudicante sulla base di quanto indicato dagli articoli 507 e 603 cod.proc.pen Può ulteriormente aggiungersi come al Giudice di legittimità resti tuttora preclusa, in sede di controllo della motivazione, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo Giudice del fatto. Pertanto la Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta Giudice della motivazione. Inoltre, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell'articolo 606 cod.proc.pen., comma 1, lett. e , introdotta dalla L. n. 46 del 2006, sia ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il Giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo Giudice v. Cass. Sez. IV 3 febbraio 2009 n. 19710 . Nel caso di specie, invece, il Giudice di appello ha riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell'appellante, è giunto alla medesima conclusione della responsabilità dell'imputato. 3. Quanto al secondo motivo, come è noto il reato di cui all'articolo 612 bis cod.pen., introdotto dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, articolo 7, convertito nella L. 23 aprile 2009, n. 38, delitto abituale di evento, secondo la costante e prevalente giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio è configurabile quando, come previsto dalla menzionata disposizione normativa, il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, abbia cagionato nella vittima o un grave e perdurante stato di turbamento emotivo ovvero abbia ingenerato un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona alla medesima legata da relazione affettiva ovvero ancora abbia costretto la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita, rientrando nella nozione di reiterazione , quale elemento costitutivo del suddetto reato, anche due sole condotte di minaccia o di molestia v. la citata Cass. Sez. V 27 novembre 2012 n. 20993 e più di recente Sez. V 5 giugno 2013 n. 46331 . Nella specie, la Corte territoriale con accertamenti in fatto, incensurabili in quanto logicamente motivati, ha chiarito come le condotte persecutorie ascritte all'odierno ricorrente riguardassero le denunce presentate a partire dal 16 novembre 2009 e pertanto ben dopo l'entrata in vigore della dianzi indicata novella v. pagina 5 della sentenza impugnata . 4. Quanto al terzo ed ultimo motivo, la Corte territoriale, concludendo per la configurabilità dell'ipotesi di reato oggetto della contestazione, si è inserita nel consolidato alveo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, condiviso da questo Collegio, secondo cui è configurabile il delitto di stalking quando, come previsto dall'articolo 612 bis cod.pen., comma 1, il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, abbia cagionato nella vittima o un grave e perdurante stato di turbamento emotivo ovvero abbia ingenerato un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, ovvero ancora abbia costretto lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita, bastando, inoltre, ad integrare la reiterazione quale elemento costitutivo del suddetto reato come dianzi affermato, anche due sole condotte di minaccia o di molestia v. Cass. Sez. V 1 dicembre 2010 n. 8832, Sez. V 11 gennaio 2011 n. 7601 e Sez. V 09 maggio 2012 n. 24135 . Trattasi, in tutta evidenza, di un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è, dunque, idonea ad integrarlo v. Cass. Sez. V 19 maggio 2011 n. 29872 , dovendosi, in particolare, intendere per alterazione delle proprie abitudini di vita, ogni mutamento significativo e protratto per un apprezzabile lasso di tempo dell'ordinaria gestione della vita quotidiana, indotto nella vittima, come nel caso in esame, dalla condotta persecutoria altrui quali un inseguimento dell'autovettura della parte offesa, il danneggiamento della stessa, gli appostamenti reiterati, la prosecuzione dell'attività persecutoria nonostante l'esistenza di una misura cautelare personale tipizzata , finalizzato ad evitare l'ingerenza nella propria vita privata del molestatore. Anche sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato, le doglianze difensive non appaiono condivisibili, avendo la Corte territoriale ben espresso il disagio psicologico della persona offesa sulla base della certificazione medica in atti e il condizionamento delle abitudini di vita sulla base anche della testimonianza U. . Trattandosi di reato abituale di evento, è sufficiente ad integrare l'elemento soggettivo il dolo generico, quindi la volontà di porre in essere le condotte di minaccia o di molestia, con la consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente necessari per l'integrazione della fattispecie legale, che risultano dimostrate proprio dalle modalità ripetute ed ossessive della condotta persecutoria compiuta dal ricorrente e delle conseguenze che ne sono derivate sullo stile di vita della persona offesa. Infine, non occorre una rappresentazione anticipata del risultato finale, ma, piuttosto, la costante consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi e dell'apporto che ciascuno di essi arreca all'interesse protetto, insita nella perdurante aggressione da parte del ricorrente della sfera privata della persona offesa. 5. Il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, liquidate come da dispositivo. Oscuramento dei dati personali e identificativi nel caso di diffusione del presente provvedimento. P.T.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al rimborso delle spese sostenute in questo grado di giudizio dalla PC, che liquida in complessivi Euro 2500,oltre accessori come per legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.