In caso di bancarotta fraudolenta l’evento è il dissesto finanziario procurato, non il sopravvenuto fallimento

Prevale la soluzione punitiva per l’agente di reato. Non occorre la consapevolezza dell’evento/fallimento.

Così per la Cassazione, sez. V Penale, nella sentenza n. 33181/2014, depositata il 25 luglio 2014. Il fatto. L’amministratore propone ricorso avverso la sentenza d’appello che lo condannava, fra le altre ipotesi, al reato di bancarotta fraudolenta ex art. 216 l.f., per la commissione di una serie di operazioni finanziarie – fra cui la mancata compensazione di un credito, favorendo un’impresa amica – pregiudizievoli per le casse dell’ente. L’amministratore contestava la mancata previsione dell’irrevocabilità delle condizioni di dissesto finanziario che avrebbero condotto alla sentenza dichiarativa del fallimento. La Cassazione rigetta il ricorso, in punto di elemento soggettivo della fattispecie tipica, chiarendo una persistente diatriba giurisprudenziale. La tesi adottata. La bancarotta fraudolenta ex art. 216 l.f. è un reato di pericolo. I giudici riconoscono l’esistenza di un diverbio giurisprudenziale e fanno prevalere l’opinione più consolidata. Il reato di bancarotta fraudolenta è reato di pericolo e non di evento, l’indagine sull’elemento soggettivo del reo deve coprire la coscienza dello stato di dissesto finanziario provocato. Non è, dunque, richiesto un nesso causale/psicologico fra condotta di dissesto ed evento di fallimento. I giudici valorizzano l’incontrovertibile dato sistematico quando il legislatore ha inteso il fallimento quale elemento costitutivo/evento della fattispecie, lo ha fatto esplicitamente al capo II della l.f. nell’art. 223, quando prevede la bancarotta fraudolenta commessa da persone diverse dal fallito – c.d. bancarotta da reato societario -. La conseguenza. L’evento è la deminutio patrimonii. Dunque, è perseguibile il reato de quo anche quando non era ancora stata contemplata l’irrevocabilità del dissesto finanziario, la zona di rischio penale” copre comportamenti aziendali antieconomici che pregiudicano gli interessi dei creditori alla solvibilità dell’ente. L’accertamento penale giudiziale, in questo caso, procede a ritroso, dichiarato il fallimento si ripercorre la storia aziendale alla ricerca di comportamenti delittuosi che hanno pregiudicato il fisiologico equilibrio fra entrate e passività dell’ente. Il fallimento da elemento costitutivo/evento degrada ad elemento sintomatico. La condotta di reato, coperta dall’elemento soggettivo, è il depauperamento dell’impresa – la deminutio patrimonii -, il fallimento è condizione del reato ma non già oggetto della rappresentazione e della volontà del fallito. L’opinione disattesa. L’argomento è di ragionevolezza pratica e punta ad individuare i paradossi dell’opinione dominante. Aderendo a quest’ultima, sarebbe punibile l’amministratore che ha compiuto piccole distrazioni del patrimonio aziendale anche in caso di successivo fallimento determinato dalle spoliazioni e dalle cattive gestioni dei successivi amministratori – anche quando questi non incontrano il favore dei creditori, per una soluzione bonaria della crisi aziendale -. Oppure, non sarebbe punibile l’amministratore che sottrae indebitamente grosse somme da un forte attivo aziendale – c.d. bancarotta riparata -, perché non potrebbe mai ipotizzare un venturo fallimento dalle solide casse aziendali. Inoltre, in punto di teoria generale di reato, non sarebbe ammissibile poter scansare il fondamentale precetto ex artt. 42 e 43 c.p., quando impone la coscienza e la volontà su ogni elemento costitutivo o componente la fattispecie penale. La soluzione qui disattesa, ovviamente, è favorevole all’agente di reato l’elemento soggettivo avrebbe dovuto coprire ogni elemento della disposizione penale, compreso il sopravvenuto fallimento, eventualmente nei termini più soffusi del dolo eventuale.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 marzo – 25 luglio 2014, n. 33181 Presidente Lombardi – Relatore Micheli Ritenuto in fatto Il difensore di G.K.R. ricorre avverso i provvedimenti indicati in epigrafe, emessi dalla Corte di appello di Bologna nell'ambito del giudizio celebrato a carico del suddetto G.K. , condannato in primo grado dal Tribunale di Ferrara alla pena di anni 7 di reclusione oltre a pene accessorie di legge, ed al pagamento delle spese processuali per addebiti di cui agli artt. 223, comma secondo, n. 2, 216 e 223, 217 e 224 legge fall., relativi alla gestione della società Villa ai Ciliegi s.r.l., dichiarata fallita il 13/09/2001. I fatti si riferiscono a condotte che l'imputato avrebbe posto in essere nella amministrazione della società medesima egli, in particolare, avrebbe - cagionato per effetto di operazioni dolose il dissesto della società fallita, segnatamente non compensando un credito vantato nei confronti della FPM s.r.l. per accollo dei debiti aziendali con i debiti assunti verso la stessa FPM in ordine al pagamento di canoni di locazione per una somma complessiva praticamente sovrapponibile, pari a poco meno di due miliardi di lire [capo A ] - distratto la somma di circa 1.500.000.000 di lire mediante prelievi di denaro operati sui conti correnti bancari e sulle disponibilità di cassa della Villa ai Ciliegi s.r.l. [capo B ] - distratto poco più di 368 milioni di lire nella forma di compensi percepiti per il mandato amministrativo, da ritenere sproporzionati rispetto alle dimensioni, alla gestione ed alle perdite di esercizio della fallita [capo C ] - aggravato il dissesto astenendosi dal richiedere il fallimento, esponendo falsamente nei bilanci l'intervenuto finanziamento da parte dei soci [capo D ] - tenuto irregolarmente le scritture contabili nei tre anni antecedenti la dichiarazione di fallimento [capo E ]. All'esito del giudizio di secondo grado, gli addebiti sub D ed E , contestati quali ipotesi di bancarotta semplice, risultano essere stati dichiarati prescritti, con conseguente rideterminazione della pena complessiva inflitta in anni 6 di reclusione. Con l'odierno ricorso si lamenta 1. mancanza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, nonché violazione di legge processuale, quanto all'ordinanza del 12/02/2013. La Corte territoriale risulta avere rigettato una istanza della difesa del ricorrente, volta alla produzione di un certificato di iscrizione dell'imputato all'AIRE, in qualità di persona residente all'estero secondo i giudici di appello, si sarebbe trattato di documento non necessario né rilevante, quando invece la circostanza ivi rappresentata vale a dire il fatto che il G.K. risiedeva fuori dall'Italia dal novembre 1999 al febbraio 2008 appariva fondamentale per smentire l'assunto accusatorio relativo alla sua presunta qualità di amministratore di fatto successivamente al OMISSIS , affermata dal Tribunale di Ferrara. Inoltre, la Corte avrebbe errato nell'invocare la previsione di cui all'art. 603 del codice di rito, istituto che la giurisprudenza di legittimità non considera applicabile alle ipotesi di semplice offerta di produzioni documentali in appello. 2. mancanza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, nonché violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza. La difesa rinnova una eccezione di nullità della pronuncia di primo grado ai sensi dell'art. 522 in relazione all'art. 521, comma 2 cod. proc. pen., rilevando che il capo d'imputazione si limita a prendere in considerazione la specifica condotta di non avere la società fallita operato la compensazione di un pregresso e rilevante credito vantato verso la FPM s.r.l. con i debiti che la Villa ai Ciliegi s.r.l. aveva assunto nei confronti della stessa FPM per canoni di locazione invece effettivamente corrisposti nella sentenza di condanna, invece, il Tribunale di Ferrara avrebbe fatto esclusivo riferimento al momento genetico del rapporto obbligatorio, con una valutazione in termini di antieconomicità dell'operazione contrattuale in sé e per sé considerata e non con riferimento alla mancata compensazione dei debiti locatizi”. Inoltre, anche sul piano della situazione personale dell'imputato, l'accusa formulata in rubrica riguarda una condotta tenuta quale presidente del consiglio di amministrazione, mentre la sentenza di primo grado confermata in appello prende in esame un presunto ruolo di amministratore di fatto che il G.K. avrebbe rivestito all'epoca della stipula del contratto ruolo in ordine al quale l'imputato non sarebbe stato posto in condizione di difendersi, così come non aveva avuto modo di spiegare le proprie difese sulle ragioni della conclusione di quel contratto e sul contenuto di alcune delle relative clausole. 3. erronea applicazione dell'art. 216, comma primo, legge fall., nonché carenza e contraddittorietà della motivazione, in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo richiesto ai fini del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione. La difesa contesta la ricostruzione operata nella sentenza impugnata, secondo cui il G.K. avrebbe perseguito l'intento di mettere al riparo il patrimonio immobiliare della FPM, comunque a lui riconducibile, concludendo il contratto di affitto sopra ricordato ed al contempo facendo accollare alla fallita i debiti della stessa FPM tale disegno, da leggere alla luce di una contestuale volontà di depauperamento della società Villa ai Ciliegi , richiede tuttavia la prova che il presupposto del fallimento, vale a dire lo stato di insolvenza, sia stato voluto e preveduto dall'agente quanto meno a titolo di dolo eventuale”. Richiamando la sentenza di questa Sezione, n. 2147 del 24/09/2012, ric. Corvetta, il ricorrente osserva che la recente impostazione affermata dal supremo collegio, partendo dalla definizione della sentenza dichiarativa del fallimento quale elemento costitutivo del reato, e non invece quale condizione obiettiva di punibilità, sottopone la stessa declaratoria di fallimento alla disciplina generale applicata a tutti gli elementi che costituiscono la fattispecie criminosa. Con l'ovvia conseguenza per cui il soggetto agente deve prefigurarsi che il depauperamento da lui arrecato all'impresa porterà verosimilmente la stessa al dissesto, ed accettare tale rischio”. Considerato in diritto 1. Il ricorso non può trovare accoglimento. 1.1 In ordine alla questione in rito proposta dalla difesa con il primo motivo di doglianza, si rileva che l'ordinanza emessa dalla Corte territoriale, oggetto di specifica impugnazione, recita sull'istanza di acquisizione del documento del Comune di Incisa, visto l'art. 603 cod. proc. pen., rilevato quanto alla prima attestazione che la dedotta prova è anteriore alla sentenza e che l'acquisizione non è necessaria ai fini del decidere rilevato quanto alla seconda attestazione irrep. al 22/02/2008 che detta acquisizione appare del tutto irrilevante ai fini del decidere, respinge la istanza di rinnovazione parziale del dibattimento”. Ora, vero è che in relazione ad una mera istanza di produzione documentale non vi sarebbe stata la necessità di veicolare le possibilità di acquisizione attraverso i canoni formali imposti dall'art. 603 del codice di rito, come correttamente obietta la difesa, tuttavia rimane pur sempre previsto - per il giudice di appello cui si offra in produzione un documento - il potere/dovere di valutarne la rilevanza valutazione che nel caso di specie risulta comunque compiuta, per quanto sinteticamente. Da un lato, la Corte territoriale rappresenta che l'attestazione della reperibilità o meno del G.K. nel febbraio 2008 non poteva provare alcunché, dinanzi a condotte indicate in rubrica come commesse fino alla dichiarazione di fallimento del 2001, come ricordato dall'altro, si evidenzia che l'essere stato l'imputato residente all'estero a partire dal novembre 1999 non aveva alcuna valenza dirimente, anche a prescindere dalla circostanza che l'atto recasse una data anteriore rispetto alla pronuncia di primo grado, e che pertanto avrebbe potuto essere esibito o prodotto anche in precedenza. In vero, deve considerarsi che buona parte dei comportamenti assunti come causalmente rilevanti sul verificarsi del fallimento anche se la rubrica parla impropriamente del solo dissesto ex art. 223, comma secondo, n. 2, risalgono a data anteriore all'ottobre 1999, ed analogamente è a dirsi per le condotte distrattive i fatti sub B sono espressamente collocati tra il OMISSIS e il OMISSIS , mentre è del XXXX l'apposizione in bilancio di due false poste recanti finanziamento soci o sopravvenienza attiva per rinuncia al credito da parte dei soci v. pag. 27 della sentenza di primo grado per occultare l'entità del passivo e rendere ancora giustificabili i lauti compensi previsti per gli amministratori. Peraltro, ed a fortiori, nulla vieta a chi risulti formalmente od anche più o meno stabilmente risiedere di fatto all'estero di continuare ad occuparsi dell'amministrazione di un'azienda cui sia interessato in Italia e le numerose testimonianze assunte a riguardo - v. le deposizioni P. , F. e R. , riportate nella sentenza di primo grado alle pagg. 2 e 3 - confermano all'evidenza l'assunto accusatorio, superando in radice la potenzialità dimostrativa dei documenti de quibus . 1.2 Con riguardo alle censure mosse con il secondo motivo di ricorso, non può registrarsi alcuna effettiva immutazione del reato contestato nell'avere la sentenza di primo grado, dinanzi all'addebito secondo cui il G.K. avrebbe cagionato il dissesto rectius , si ribadisce, il fallimento di Villa ai Ciliegi s.r.l. non operando la compensazione fra debiti e crediti verso la FPM s.r.l., ritenuto piuttosto che l'illiceità penale dell'operazione consistesse nell'avere - già a monte - stipulato il contratto di locazione, inteso come operazione antieconomica ex se. Si tratta, con palese evidenza, di due aspetti in intima connessione logica come ineccepibilmente segnalato nella ricordata sentenza di primo grado, l'imputato, con il contratto d'affitto d'azienda del giugno 1997, da lui concluso con se stesso nella veste di amministratore di fatto di Villa ai Ciliegi e di amministratore di diritto di FPM, voleva separare formalmente la proprietà delle aziende dalla loro gestione, per limitare il rischio d'impresa alla sola società gestionale, Villa ai Ciliegi s.r.l., evitando che i rischi d'insolvenza, altamente prevedibili per [ ] il forte indebitamento e lo scarso avviamento, potessero intaccare il patrimonio immobiliare della società proprietaria, FPM s.r.l.” pag. 24 . Ergo , concludere il contratto, con contestuale accollo generalizzato dei debiti di FPM, e pianificare di pagare i canoni di locazione senza affatto pretendere forme di compensazione, fu giocoforza un tutt'uno e su quell'operazione, così come descritta nel capo d'imputazione e diffusamente illustrata nelle evidenze processuali oggetto del contraddittorio, l'imputato risulta essere stato pacificamente posto in condizione di difendersi. Circa la veste di amministratore di fatto ritenuta in sentenza, piuttosto che di quella di presidente del consiglio di amministrazione evidenziata in rubrica, non vi è in concreto alcuna antinomia od eterogeneità a ben guardare, già il capo A prende in esame il periodo di gestione da ascrivere a ciascuno degli originari imputati, senza distinguere fra amministrazione di fatto o di diritto, mentre la carica formale di presidente o amministratore viene segnalata soltanto per evidenziare il correlato abuso od infedeltà nell'esercizio della stessa. 1.3 È necessario invece un approfondimento sui temi esposti dalla difesa con il terzo motivo di ricorso. 1.3.1 A riguardo, la giurisprudenza di questa Corte si è da tempo orientata nell'affermare che nel reato di bancarotta fraudolenta i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilevanza penale in qualunque tempo essi siano stati commessi, e quindi anche se la condotta si è realizzata quando ancora l'impresa non versava in condizioni di insolvenza. Tutte le ipotesi alternative previste dalla norma si realizzano mediante condotte che determinano una diminuzione del patrimonio, diminuzione pregiudizievole per i creditori per nessuna di queste ipotesi la legge richiede un nesso causale o psichico tra la condotta dell'autore e il dissesto dell'impresa, sicché né la previsione dell'insolvenza come effetto necessario, possibile o probabile, dell'atto dispositivo, né la percezione della sua preesistenza nel momento del compimento dell'atto, possono essere condizioni essenziali ai fini dell'antigiuridicità penale della condotta. E del resto, quando il legislatore ha ritenuto necessaria l'esistenza di un tal nesso lo ha previsto espressamente nell'ambito della legge fallimentare, all'art. 223, distinguendo le condotte previste dall'art. 216 legge fall., art. 223, comma 1 da quelle specificamente volte a cagionare il dissesto economico della società legge fall., art. 223, comma 2 , per modo che solo in tali ultime fattispecie delittuose è previsto un nesso causale o psichico tra condotta ed evento” Cass., Sez. V, n. 39546 del 15/07/2008, Bonaldo . Ancor più analiticamente, gli stessi principi risultano ribaditi nel 2011, quando si è rilevato che il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo, ed è pertanto irrilevante che al momento della consumazione l'agente non avesse consapevolezza dello stato d'insolvenza dell'impresa per non essersi lo stesso ancora manifestato” Cass., Sez. V, n. 44933 del 26/09/2011, Pisani, Rv 251214 . Nella motivazione di quest'ultima pronuncia, si è segnalato che il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non richiede il dolo specifico, ma si perfeziona con il dolo generico, ossia con la consapevolezza di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte”, precisandosi che non può intendersi rilevante la circostanza che all'epoca della distrazione non si fosse ancora manifestato uno stato d'insolvenza infatti, ad integrare il reato non è richiesta la conoscenza dello stato d'insolvenza dell'impresa, in quanto ogni atto distrattivo viene ad assumere rilevanza ai sensi della legge fall., art. 216, in caso di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione di quest'ultimo. Qualora, poi, la deduzione debba intendersi rapportata alla asserita insussistenza del dissesto all'epoca dei fatti, così implicitamente evocandosi la teoria c.d. della zona di rischio penale [ ], ugualmente deve essere disattesa in quanto, per la speciale configurazione del precetto, la protezione penale degli interessi creditori è assicurata mediante la sua connotazione di reato di pericolo. L'offesa penalmente rilevante è conseguente anche all'esposizione dell'interesse protetto alla probabilità di lesione, onde la penale responsabilità sussiste non soltanto in presenza di un danno attuale ai creditori, ma anche nella situazione di messa in pericolo dei loro interessi. Conseguentemente, il delitto di bancarotta non impone contestualità tra l'azione antidoverosa ed il pregiudizio derivante dalla stessa, ma ammette anche uno sfasamento temporale, se esso non elide il portato dannoso dell'azione sicché la tutela penale dispiega la sua efficacia retroattivamente, risalendo a ritroso, a far data dalla dichiarazione di fallimento, ricapitolando ogni passaggio della gestione dell'impresa fallita nel pregiudizio che viene accertato al momento della dichiarazione di insolvenza con la verifica delle passività gravanti sulla stessa”. 1.3.2 L'orientamento ora illustrato risulta contraddetto da altra pronuncia di questa stessa Sezione, richiamata nell'odierno ricorso, secondo cui nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione lo stato di insolvenza che da luogo al fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento dello stesso e pertanto deve porsi in rapporto causale con la condotta dell'agente e deve essere, altresì, sorretto dall'elemento soggettivo del dolo” Cass., Sez. V, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv 253493 . L'impianto motivazionale di quest'ultima sentenza muove dal presupposto che non può da un lato ritenersi che qualsiasi atto distrattivo sia di per sé reato, dall'altro che la punibilità sia condizionata ad un evento” la dichiarazione di fallimento, di cui viene diffusamente discussa la natura all'interno della struttura della fattispecie incriminatrice che può sfuggire totalmente al controllo dell'agente, e dunque ritorcersi a suo danno senza una compartecipazione di natura soggettiva e, ancor peggio, senza che sia necessaria una qualche forma di collegamento eziologico tra la condotta e il verificarsi del dissesto” l'analisi viene peraltro parametrata sulle peculiarità del caso allora sub judice , dove - a differenza delle varie fattispecie concrete di cui alla precedente giurisprudenza, nelle quali si trattava di episodi distrattivi compiuti nel periodo immediatamente antecedente alla dichiarazione di fallimento, che avevano impoverito l'impresa al punto da provocarne od aggravarne in modo irreversibile la crisi” - a quegli imputati era riferibile una amministrazione priva di contiguità con il fallimento, essendo stata seguita da altre gestioni totalmente estranee”, con tanto di amministrazione giudiziale ex art. 2409 cod. civ. medio tempore conclusasi senza alcun rilievo dell'amministratore su eventuali situazioni di insolvenza ed addirittura con una vendita della società a terzi dietro corrispettivo”. Nella sentenza Corvetta si evidenzia quindi che se il fallimento è il risultato di un'azione dell'imprenditore, da cui la legge o, meglio, la giurisprudenza conforme fa dipendere l'esistenza stessa del delitto”, lo stesso fallimento, o meglio il suo presupposto di fatto, cioè lo stato di insolvenza, deve essere dall'agente preveduto e voluto, quantomeno a titolo di dolo eventuale. Il soggetto, cioè, deve prefigurarsi che il suo comportamento depauperativo porterà verosimilmente al dissesto il cui risvolto è la lesione del diritto di credito, che costituisce l'interesse principale protetto dalla norma penale ed accettare tale rischio. Ogni diversa soluzione in punto dolo costituisce una violazione dei principi generali di cui agli artt. 42 e 43 cod. pen., che costituiscono l'ossatura della responsabilità penale personale del nostro ordinamento”. Ne deriverebbe l'opzione interpretativa secondo cui la bancarotta è un reato di evento e tale evento consiste nella insolvenza della società, che trova riconoscimento formale e giuridicamente rilevante nella dichiarazione di fallimento. Questa è la unica ricostruzione strutturale del reato coerente con le premesse il fallimento è elemento costitutivo dell'illecito in qualità di evento e si pone quale conseguenza esclusiva o concorrente della condotta distrattiva dell'imprenditore. L'interesse protetto dalla norma, dunque, non è solo il potenziale pregiudizio del ceto creditorio, ma la lesione definitiva dei diritti di credito che si determina con il fallimento tanto è vero che, occorre ribadirlo, per quanto siano consistenti e ripetuti gli atti di spoliazione del patrimonio dell'impresa, l'imprenditore non è punito se non viene successivamente dichiarato il fallimento”. Con la richiamata pronuncia si avverte peraltro che la tesi secca della non necessarietà del rapporto di causalità tra la condotta dell'imprenditore e il fallimento che si accompagna alla ritenuta non necessarietà del dolo a copertura dell'insolvenza , porterebbe a conseguenze assurde da un lato non sarebbe punibile l'imprenditore che drena risorse enormi da una società dotata di un patrimonio attivo considerevole, tale da permetterle di sfuggire al fallimento, dall'altra sarebbe invece punito con la pesante sanzione di cui alla legge fall., art. 216, un imprenditore o un amministratore della società che moltissimi anni prima del fallimento abbia prelevato indebitamente una modestissima somma di denaro anche se l'impresa ha poi operato in attivo e pagato regolarmente i propri creditori e sia poi caduta in dissesto esclusivamente per le condotte spoliative di successivi amministratori [ ]. Sarebbe esente da responsabilità quell'imprenditore che, pur avendo causato il dissesto della sua impresa con gravi atti di spoliazione, riuscisse ad ottenere il consenso dei creditori ad una procedura di soluzione negoziale della crisi salvo il concordato, per l'imprenditore collettivo , mentre sarebbe penalmente sanzionato l'imprenditore che compie un atto di distrazione di modesta entità e molto risalente nel tempo, se non incontra il favore dei creditori. E ciò anche se il dissesto dell'impresa dipende esclusivamente da fattori esterni alla sua condotta, e cioè, per esempio, da una congiuntura economica negativa o da circostanze comunque imprevedibili o ancor più da condotte successive di altre persone”. 1.3.3 Una pronuncia della Sezione Feriale di questa Corte n. 41655 del 10/09/2013, rie. Gessi sembra avere espresso principi in apparente, per quanto non esplicitata, adesione all'indirizzo ora ricordato. Nella motivazione di quest'ultima sentenza si legge che i comportamenti posti in essere dal fallito devono essere [ ] idonei a recare offesa agli interessi della massa dei creditori a causa della perdita di ricchezza che gli stessi hanno determinato e della mancanza di un riequilibrio economico medio tempore. L'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta implica un'adeguata conoscenza della concreta situazione aziendale e, in genere, patrimoniale, e la rappresentazione della futura dichiarazione di fallimento, rappresentazione fondata sull'attualità del dissesto con volontarietà dell'atto distrattivo soltanto nella consapevole prospettiva del dissesto finanziario gli episodi distrattivi assumono - anche sotto il profilo psicologico - un potenziale offensivo. Il soggetto agente deve, quindi, prefigurarsi che la sua condotta depauperativa cagionerà verosimilmente il dissesto - cui si correla la lesione del diritto di credito costituente il principale interesse protetto dalla norma incriminatrice - ed accettare questo rischio. Se la situazione di dissesto che da luogo al fallimento deve essere rappresentata e voluta o quanto meno accettata come rischio concreto della propria azione dall'imprenditore, non integra il dolo di bancarotta per distrazione la volontà di porre in essere una condotta finalizzata ad estinguere posizioni debitorie della società”. In tal modo, la sentenza Gessi giunge a ritenere di rilievo penale la condotta di chi compì atti depauperativi in un'epoca in cui era prevedibile il dissesto della società”, ipotizzando però il reato di bancarotta preferenziale, piuttosto che quello di bancarotta per distrazione, in presenza di condotte animate dall'intento di definire le più importanti esposizioni debitorie [ ] e di soddisfare le ragioni dei principali creditori”. 1.3.4 La giurisprudenza di questa Sezione, successiva alla sentenza Corvetta, risulta invece essere tornata a sposare l'orientamento precedente, ritenendo che ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento” Cass., Sez. V, n. 7545 del 25/10/2012, Lanciotti, Rv 254634 v. anche Cass., Sez. V, n. 27993 del 12/02/2013, Di Grandi . In una quasi coeva decisione, identicamente massimata Rv 254061 questa Sezione ha precisato che anche dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, ad integrare il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non si richiede l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento [ ]. Al riguardo vale la pena di rimarcare che il rapporto eziologico fra la condotta vietata e il dissesto della società è richiesto dalla legge fall., art. 223, comma 2, n. 1, nel testo novellato, con esclusivo riferimento alle ipotesi di bancarotta da reato societario , il cui elemento oggettivo - nel modello descrittivo recato dagli artt. 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 cod. civ., richiamati dalla norma incriminatrice - è del tutto diverso da quello che caratterizza le condotte vietate dall'art. 216 della stessa legge, richiamato invece dal citato art. 223, comma 1” Cass., Sez. V, n. 232 del 09/10/2012, Sistro . 1.3.5 Il collegio ritiene di aderire alla consolidata e tradizionale giurisprudenza, anche in adesione alla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte che nell'analisi del reato di bancarotta hanno avallato l'abbandono definitivo della concezione del fallimento come evento” v. Cass., Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy . Uno degli elementi fondamentali, per orientare la decisione nel senso indicato, si rinviene in effetti nelle già ricordate divergenze strutturali tra la fattispecie disegnata dall'art. 216, legge fall., e quella risultante dalle varie ipotesi previste dal successivo art. 223, comma secondo solo in queste ultime, infatti, il legislatore ha inteso conferire immediato rilievo a condotte che cagionino il fallimento, ovvero cagionino o concorrano a cagionare il dissesto della società. Non sembra pertanto che i pur pregevoli sforzi argomentativi contenuti nella sentenza Corvetta, né gli spunti contenuti nella sentenza Gessi, riescano a superare il dato letterale laddove il legislatore ha inteso individuare la necessità di un nesso causale, prima ancora di una riferibilità psicologica, fra il comportamento del soggetto attivo del reato ed il successivo dissesto, od il fallimento che ne sia derivato, ciò è espressamente prescritto. Né pare possibile interpretare l'art. 223, comma secondo, legge fall., come una sorta di norma di chiusura, con funzioni interpretative dell'intero sistema sanzionatorio da un lato, si tratta di una previsione recentemente modificata nel 2002 , e se si fosse avvertita l'esigenza di uniformare le varie previsioni incriminatrici in tema di bancarotta volendo intendere, come si sostiene nella richiamata sentenza, che i fatti di bancarotta di tipo patrimoniale in tanto rilevano in quanto abbiano in qualche modo rilevanza nella produzione del dissesto” il legislatore ben avrebbe potuto porre mano anche al precedente art. 216 dall'altro, se è vero che la lettura delle plurime ipotesi di rilievo penale di cui alla legge fallimentare rende palesi alcuni difetti di coordinamento come parimenti avvertito nella sentenza Corvetta , è ancor più evidente che non vi sarebbe necessità di reprimere la condotta di chi abbia cagionato con dolo il fallimento della società art. 223, comma secondo, n. 2 se già il primo comma dell'art. 223 venisse a sanzionare per le società commerciali condotte di distrazione ex art. 216, di cui possa affermarsi la rilevanza penale soltanto qualora siano fattore causale del fallimento medesimo. Deve perciò ritenersi che, tornando ad esaminare il precetto normativo, la condotta sanzionata dall'art. 216 legge fall. - e, per le società, dall'art. 223, comma 1 - non sia quella di avere cagionato lo stato di insolvenza o di avere provocato il fallimento, bensì - assai prima - quella di depauperamento dell'impresa, consistente nell'averne destinato le risorse ad impieghi estranei all'attività dell'impresa medesima. La rappresentazione e la volontà dell'agente debbono perciò inerire alla deminutio patrimonii semmai, occorre la consapevolezza che quell'impoverimento dipenda da iniziative non giustificabili con il fisiologico esercizio dell'attività imprenditoriale tanto basta per giungere all'affermazione del rilievo penale della condotta, per sanzionare la quale è si necessario il successivo fallimento, ma non già che questo sia oggetto di rappresentazione e volontà - sia pure in termini di semplice accettazione del rischio di una sua verificazione - da parte dell'autore. Come efficacemente segnalato in una ancor recente sentenza di questa Corte, ogni atto distrattivo assume rilievo ai sensi dell'art. 216 legge fall., in caso di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione di quest'ultimo, il quale non costituisce l'evento del reato che, invece, coincide con la lesione dell'interesse patrimoniale della massa, posto che se la conoscenza dello stato di decozione costituisce dato significativo della consapevolezza del terzo di arrecare danno ai creditori ciò non significa che essa non possa ricavarsi da diversi fattori, quali la natura fittizia o l'entità dell'operazione che incide negativamente sul patrimonio della società” Cass., Sez. V, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume, Rv 246879 . È del resto innegabile che ci si trovi dinanzi ad una fattispecie disegnata come reato di pericolo, come già avvertito nella motivazione della sentenza Pisani, sopra richiamata fattispecie in relazione alla quale il giudice delle leggi ebbe da tempo a rilevare che il legislatore avrebbe potuto considerare la dichiarazione di fallimento come semplice condizione di procedibilità o di punibilità, ma ha invece voluto [ ] richiedere l'emissione della sentenza per l'esistenza stessa del reato. E ciò perché, intervenendo la sentenza dichiarativa di fallimento, la messa in pericolo di lesione al bene protetto si presenta come effettiva e reale” Corte Cost., sentenza n. 146 del 27/06/1982 la bancarotta fraudolenta patrimoniale è dunque, più propriamente, reato di pericolo concreto, dove la concretezza del pericolo assume una sua dimensione effettiva soltanto nel momento in cui interviene la dichiarazione di fallimento, condizione peraltro neppure indispensabile per l'esercizio dell'azione penale o per l'adozione di provvedimenti de libertate , ai sensi del combinato disposto degli artt. 7 e 238 legge fall. Ed è per questo che rimane esente da pena il soggetto che impoverisca una società di risorse enormi, quando questa può comunque continuare a disporne di ben più rilevanti, idonee a fornire garanzia per le possibili pretese creditorie perché in quel caso, a differenza dell'ipotesi dell'imprenditore che si renda responsabile di una distrazione modesta ma a fronte di un patrimonio suscettibile di risentirne significativamente , il pericolo di un pregiudizio per i creditori non avrà assunto la concretezza richiesta dal dato normativo. Anche le indicazioni della giurisprudenza di legittimità in tema di c.d. bancarotta riparata avvalorano la conclusione appena illustrata vero è che in quegli interventi si è ritenuto che non integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione il finanziamento concesso al socio e da questi restituito in epoca anteriore al fallimento, in quanto la distrazione costitutiva del delitto di bancarotta si ha solo quando la diminuzione della consistenza patrimoniale comporti uno squilibrio tra attività e passività, capace di porre concretamente in pericolo l'interesse protetto e cioè le ragioni della massa dei creditori”, ma si è al contempo precisato che il momento cui fare riferimento per verificare la consumazione dell'offesa è pur sempre quello della dichiarazione giudiziale di fallimento e non già quello in cui sia stato commesso l'atto, in ipotesi, antidoveroso” Cass., Sez. V, n. 39043 del 21/09/2007, Spitoni, Rv 238212 v. anche Cass., Sez. V, n. 8402 del 03/02/2011, Cannavale . In sostanza, e in definitiva, l'imprenditore deve considerarsi sempre tenuto ad evitare l'assunzione di condotte tali da esporre a possibile pregiudizio le ragioni dei creditori, non nel senso di doversi astenere da comportamenti che abbiano in sé margini di potenziale perdita economica, ma da quelli che comportino diminuzione patrimoniale senza trovare giustificazione nella fisiologica gestione dell'impresa. 1.3.6 Applicando i principi appena illustrati alla disamina della odierna fattispecie concreta, deve pertanto osservarsi che - quanto all'addebito sub A , l'impostazione difensiva è radicalmente insostenibile, per l'evidente ragione che il delitto contestato - ex art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall. - rientra proprio nel ristretto novero delle ipotesi criminose per cui il fallimento deve considerarsi evento del reato, con il doveroso nesso eziologico rispetto alla condotta tenuta dall'agente, non a caso espressamente da manifestarsi attraverso operazioni dolose . In proposito, le sentenze di merito chiariscono al di là di ogni ragionevole dubbio come l'intento perseguito ab initio dal G.K. fosse quello di favorire FPM, liberata delle passività prese in carico da Villa ai Ciliegi”, addirittura con l'accollo dei debiti di FPM neppure iscritto credito in bilancio mentre Villa ai Ciliegi pagava canoni in misura ampiamente superiore al fatturato emesso dalla locatrice”, e in un contesto nel quale il curatore aveva segnalato come la società fosse stata oggetto di drenaggio di tutta la liquidità residua ed accumulo di debito previdenziale verso l'INPS che aveva poi portato al fallimento” v. pag. 7 della sentenza della Corte di appello - in ordine alle condotte distrattive di cui ai capi B e C , peraltro sostanzialmente coeve rispetto alle operazioni anzidette, è necessario soltanto prendere atto del complessivo risultato di depauperamento aziendale che ne fu conseguenza, e che appare in re ipsa dinanzi a prelievi od emolumenti percepiti per oltre 1.850.000.000 di lire, in pregiudizio di una mera società di gestione priva di patrimonio immobiliare. P.Q.M. Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.