Il curatore non è un prete: nessun segreto confessionale per lui

Le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina dell’art. 63, comma 2, c.p.p., secondo cui sono inutilizzabili le dichiarazioni rese all’Autorità Giudiziaria o alla polizia da chi, fin dall’inizio, avrebbe dovuto essere sentito in qualità di imputato. Infatti, il curatore non fa parte di queste categorie, per cui la sua attività non rientra nella previsione ex art. 220 norme coord. c.p.p. relativo alle attività ispettive e di vigilanza.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 33193, depositata il 25 luglio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Firenze condannava l’amministratore di fatto di una società fallita per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione. L’imputato ricorreva in Cassazione, deducendo l’inutilizzabilità delle dichiarazioni eteroaccusatorie poste in essere da un coimputato, prossimo congiunto, al curatore fallimentare. Dichiarazioni rese al curatore. Tuttavia, la Corte di Cassazione ricorda che le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina dell’art. 63, comma 2, c.p.p., secondo cui sono inutilizzabili le dichiarazioni rese all’Autorità Giudiziaria o alla polizia da chi, fin dall’inizio, avrebbe dovuto essere sentito in qualità di imputato. Infatti, il curatore non fa parte di queste categorie, per cui la sua attività non rientra nella previsione ex art. 220 norme coord. c.p.p. relativo alle attività ispettive e di vigilanza. Anche l’art. 62 c.p.p., che preclude la testimonianza sulle dichiarazioni rese nel corso del procedimento dall’imputato o dalla persona sottoposta alle indagini, non coinvolge le dichiarazioni rese al curatore, in quanto queste non sono rese nel corso del procedimento penale. In caso contrario, si dovrebbe sostenere che la procedura fallimentare sia preordinata alla verifica di una notitia criminis . Prima e fuori del processo penale. La stessa Cassazione, nella sentenza n. 15218/2011, ha precisato che è utilizzabile, come prova a carico dell’imputato, la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie a lui rese da un coimputato non comparso al dibattimento, trasfuse poi nella relazione redatta ex art. 33 l.f Parimenti irrilevante risulta il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell’imputato o dell’indagato, sancito dall’art 62 c.p.p., in quanto tale principio è diretto ad assicurare l’inutilizzabilità di quanto raccolto al di fuori degli atti garantiti dalla presenza del difensore e pervenuto attraverso la testimonianza di chi abbia ricevuto, in ogni modo possibile, le dichiarazioni. La norma presuppone infatti, che tali dichiarazioni siano state rese nel corso del procedimento, non prima o al di fuori di esse. In quest’ultima situazione, quindi, il divieto non opera, perché l’oggetto della testimonianza assume il valore di fatto storico percepito dal teste ed è, di conseguenza, valutabile dal giudice. Infine, i giudici di legittimità sottolineano che le relazioni e gli inventari del curatore fallimentare sono ammissibili come prove documentali in ogni caso, non soltanto qualora siano ricognitivi di un’organizzazione aziendale e di una realtà contabile, poiché gli accertamenti documentali e le relazioni del curatore sono prove rilevanti nel processo penale, per poter ricostruire le vicende amministrative della società. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 giugno – 25 luglio 2014, n. 33193 Presidente Fumo – Relatore Sabeone Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 4 ottobre 2012, ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze del 13 ottobre 2010 che aveva condannato G.K.R. per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, quale amministratore di fatto della s.r.l. Protos, dichiarata fallita il 13 settembre 2006. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, il quale lamenta quale unico motivo l'inosservanza della legge penale e una motivazione illogica con riferimento all'inutilizzabilità delle dichiarazioni eteroaccusatorie poste in essere da un coimputato prossimo congiunto al Curatore fallimentare nella specie il figlio Leonardo amministratore unico della società decotta . Considerato in diritto 1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento. 2. Invero, secondo la costante e pacifica giurisprudenza di questa stessa Sezione, che non si ritiene di modificare perchè fondata, le dichiarazioni rese dal fallito al Curatore non sono soggette alla disciplina di cui all'articolo 63 cod.proc.pen., comma 2, che prevede l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese all'Autorità Giudiziaria o alla Polizia Giudiziaria da chi, sin dall'inizio, avrebbe dovuto essere sentito in qualità di imputato, in quanto il Curatore non rientra in queste categorie e la sua attività non può farsi rientrare nella previsione di cui all'art. 220 norme coord. cod.proc.pen., che concerne le attività ispettive e di vigilanza v. Cass. Sez. V 18 aprile 2008 n. 36593 e da ultimo Cass. Sez. V 18 gennaio 2013 n. 13285 . La suddetta interpretazione è, inoltre, conforme ai principi della Norma Fondamentale, come affermato dal Giudice delle Leggi con la sentenza del 27 aprile 1995 n. 136, con la quale la Corte Costituzionale ha riconosciuto l'inapplicabiltà dell'articolo 63 cod.proc.pen. alle dichiarazioni rese al Curatore e ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale di tale articolo, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost. Inoltre, secondo la Corte costituzionale anche l'articolo 62 cod.proc.pen., che preclude la testimonianza sulle dichiarazioni rese nel corso dei procedimento dall'imputato o dalla persona sottoposta alle indagini non può, certo, coinvolgere le dichiarazioni rese al curatore perché è sicuramente da escludere che le dichiarazioni destinate al curatore possano considerarsi rese nel corso del procedimento penale, non potendo certo sostenersi che la procedura fallimentare sia preordinata alla verifica di una notizia criminis . Questa stessa Sezione ha ulteriormente precisato come sia utilizzabile, quale prova a carico dell'imputato, la testimonianza indiretta del Curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie a lui rese da un coimputato non comparso al dibattimento, e trasfuse dallo stesso Curatore nella relazione redatta ai sensi dell'articolo 33 della legge fallimentare v. Cass. Sez. v 18 gennaio 2011 n. 15218 . Quanto, poi, all'omissione dell'avvertimento relativo alla facoltà per i prossimi congiunti dell'imputato di astenersi dal deporre, essa determina una nullità solo relativa, che, come tale, deve essere eccepita immediatamente dalla parte che assiste alla deposizione e comunque, a pena di decadenza, entro i termini fissati all'articolo 181 cod. proc. pen v. cass. Sez. V 12 marzo 2010 n. 13591 e nella specie non sembra, dalla lettura dell'impugnata sentenza e dello stesso ricorso, che la suddetta eccezione sia mai stata sollevata non essendo stata assunta né avendo la difesa chiesto di assumere la testimonianza dei figlio del ricorrente. Rileva, altresì, il Collegio come il richiamo al disposto dell'articolo 195 cod.proc.pen. sia da ritenere non sufficientemente congruo. Infatti, nell'ipotesi in cui il referente del testimone indiretto sia persona che rivesta la qualità di imputato tale norma non può trovare applicazione. Come è stato già affermato da questa Corte Suprema, alle ragioni di natura testuale o lessicale esclusiva riferibilità a persone aventi la qualità di testimoni della locuzione chiamate a deporre di cui al primo comma della norma in esame, espresso riferimento al testimone che abbia una diretta conoscenza dei fatti contenuto nella relazione al progetto preliminare del codice, mancata previsione dell'esame dell'imputato nei casi di cui all'articolo 195 cod.proc.pen., a differenza di quanto previsto per gli imputati di reato connesso dall'articolo 210, comma 1, cod.proc.pen. si sommano quelle di natura sistematico-interpretativa, apparendo dei tutto incongruo estendere l'obbligo o la facoltà del Giudice di escutere la fonte diretta ove questa si identifichi con l'imputato, il quale, anche a prescindere dal suo formale esame, in forza dell'articolo 494 cod.proc.pen., ha facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, ed, in tal modo, di interloquire sulle dichiarazioni della fonte indiretta e di controbattere le medesime v. Cass. Sez. VI 11 maggio 2005 n. 33750 e 3 dicembre 2009 n. 49517 . Nè può essere, in proposito, utilmente invocato il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato o dell'indagato, sancito dall'articolo 62 cod.proc.pen., essendo tale principio diretto ad assicurare l'inutilizzabilità di quanto raccolto al di fuori degli atti garantiti dalla presenza del difensore e pervenuto attraverso la testimonianza di chi abbia ricevuto, in qualsiasi modo, le dichiarazioni, presuppone che dette dichiarazioni siano state rese nel corso del procedimento e non anteriormente o al di fuori del medesimo il divieto, in quest'ultima ipotesi, non può, infatti, operare, assumendo l'oggetto della testimonianza, nel suo contenuto specifico, valore di fatto storico percepito dal teste e, come tale, valutabile dal Giudice alla stregua degli ordinari criteri applicabili al detto mezzo di prova. È, infine, da aggiungere con riferimento al caso di specie e il dato è assorbente, che, secondo quanto ricavabile dalla sentenza impugnata, le dichiarazioni rese dal coimputato al Curatore non sono state ritenute di per sé decisive ai fini dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputato, posto che il Curatore è stato sentito in dibattimento ed ha anche confermato la relazione depositata ex articolo 33 L.Fall. comprensiva, tra altro, delle dichiarazioni dei figlio dell'odierno ricorrente. A ciò si aggiunga come le relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare siano ammissibili come prove documentali in ogni caso e non solo quando siano ricognitivi di una organizzazione aziendale e di una realtà contabile, atteso che gli accertamenti documentali e le dichiarazioni ricevute dal Curatore costituiscono prove rilevanti nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società v. di recente Cass. Sez. F 26 luglio 2013 n. 49132 . 3. Il ricorso va, in definitiva, rigettato e il ricorrente condannato, altresì, al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.