La reiterazione delle condotte … è la prova del dolo?

La prova del dolo generico, normativamente richiesto ai fini della punibilità del reato di cui all’art. 2 l. n. 638/1983, può essere desunta anche dal comportamento del datore di lavoro il quale reiteratamente ometta, consapevole di esservi tenuto, tanto da aver trasmesso i modelli DM 10 all’Istituto Previdenziale , di provvedere al versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti.

La sez. III Penale della Corte di cassazione, nella sentenza n. 30271, depositata il 10 luglio 2014, riafferma alcune importanti linee guida in tema di accertamento del delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali. Questione di onere della prova La sentenza che si annota merita menzione, oltre che per il principio di diritto che viene esplicitamente dettato – e riportato in massima - anche perché affronta alcune delle più spinose e discusse questioni in tema di onore della prova, in relazione alla fattispecie delittuosa di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali. Gli Ermellini, infatti, prendono le mosse, dal principio, affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui, poiché il delitto è integrato solo allorché abbia ad oggetto le ritenute operate sulla retribuzione, è evidente che non può essere operata una ritenuta senza il pagamento della somma dovuta al creditore e dunque senza corresponsione della retribuzione al dipendente, per cui non si avrà reato allorché non sia stato corrisposto lo stipendio ai dipendenti. Fatta tale premessa, si pone il problema di stabilire a chi spetti l’onere della prova, ovverossia in ossequio al principio accusatorio, spetta alla pubblica accusa provare tutti gli elementi costitutivi ed i presupposti del reato e dunque anche la effettiva corresponsione delle retribuzioni ai dipendenti? Ovvero, per contro, è onere dell’imputato dimostrare la mancata corresponsione della retribuzione ai dipendenti, quanto meno per le mensilità per cui si è omesso il versamento delle ritenute previdenziali? La questione viene esplicitamente affrontata e risolta, nel caso in esame, riaffermando il principio – che si va consolidando invero nella giurisprudenza di legittimità – secondo cui il pm assolve al proprio onere probatorio – costituzionalmente imposto - sul punto, mediante la produzione dei Modelli DM 10 trasmessi dall’imputato all’INPS – confermati in udienza dal funzionario delegato dall’Istituto Previdenziale stesso – a fronte dei quali grava sull’imputato l’onere di provare, in difformità dalla situazione rappresentata nelle denunce retributive dal medesimo inoltrate, l’assenza del materiale esborso delle somme. Tutto ciò, in quanto, gli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale modelli DM 10 hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivale alla attestazione di aver corrisposto le retribuzioni in relazione alla quali è stato omesso il versamento dei contributi. Quanto invece all’elemento soggettivo Risolta, dunque, nei termini poco sopra delineati, la problematica della sussistenza dell’elemento oggettivo del delitto in esame ed il correlativo onere della prova, l’attenzione della Suprema Corte si sposta sulle censure del ricorrente attinenti alla ritenuta insussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie in parola. Secondo, infatti, l’assunto del ricorrente la brevità del periodo dell’omissione potrebbe fare ritenere l’insussistenza del dolo generico, in quanto la mancanza avrebbe potuto essere imputabile a difficoltà economiche, se non a mera dimenticanza dell’imputato. L’argomento difensivo viene invero agevolmente superato dalla Suprema Corte che non incorre in particolari difficoltà logico-giuridiche nell’affermare che la reiterazione della condotta criminosa atteso che l’omissione si è protratta per cinque mesi consecutivi dimostra la pervicace volontà del ricorrente di omettere il versamento delle ritenute e, dunque, la sussistenza del dolo generico, normativamente richiesto dalla norma incriminatrice. Partendo dunque, dalla indubbiamente condivisibile premessa, che al fine della configurabilità del delitto de quo , è sufficiente il mero dolo generico, la Corte afferma esplicitamente che il dolo generico omissivo è provato dal comportamento del datore di lavoro che reiteratamente ometta, consapevole di esservi tenuto tanto da aver egli trasmesso i modelli DM 10 , di provvedere al versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti. Cinque mesi, dunque, secondo la Suprema Corte, di continuativi omessivi versamenti sono di per sé la prova della volontaria e consapevole tenuta della condotta omissiva e dunque del dolo generico, richiesto ex lege per la incriminazione della condotta. I pro ed i contro. Se il ragionamento speso dagli Ermellini pare assolutamente condivisibile nell’affossare l’assunto difensivo, che l’omesso versamento potesse essere attribuibile, invero, a mero dimenticanza dell’imputato e dunque a condotta meramente colposa, che appare, francamente, poco credibile di fronte a ben cinque mesi di reiterata e continuata condotta omissiva - soprattutto laddove si consideri che il delitto in esame si perfeziona solo a fronte di un inadempimento che perduri per tre mesi dalla data di contestazione dell’omesso versamento con esplicito avvertimento della penale rilevanza della condotta - qualche perplessità suscita, invece, a fronte della obiezione, pure sollevata dal ricorrente, della mancanza di dolo conseguente alla sussistenza di una situazione di difficoltà economica e dunque di crisi di liquidità della società. Se infatti nel caso di specie l’eccezione pareva dotata di scarso spessore in quanto detta situazione era stata oggetto di mera affermazione difensiva, ben altra questione potrebbe porsi allorché il ricorrente, osservando quel rigoroso onere di allegazione che la recente giurisprudenza di legittimità formatasi sulla medesima questione in tema di reati tributari omissivi pone a suo carico, sia in grado di dimostrare la sussistenza di una grave crisi di liquidità dell’impresa non attribuibile a nessuna condotta neppure colposa del medesimo e tale da aver impedito il versamento dei contributi previdenziali. Affermare che anche in tali casi la mera reiterazione della condotta per cinque mesi consecutivi costituisce di per sé prova della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato dolo generico finirebbe per aprire la porte ad una intollerabile ipotesi di responsabilità oggettiva o quanto meno di presunzione di sussistenza del dolo. Essendo, per contro, quanto mai evidente e statisticamente frequentissimo che proprio in presenza di una effettiva e grave crisi di liquidità l’inadempimento agli oneri contributivi e previdenziali si protragga non per una singola mensilità, ma per molti mesi continuativamente.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 maggio – 10 luglio 2014, numero 30271 Presidente Squassoni – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. P.M. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'appello di FIRENZE, emessa in data 25/06/2013, depositata in data 9/07/2013, con cui è stata confermata la sentenza del tribunale di PISA del 26/10/2011, di condanna del medesimo per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti per il periodo dal giugno all'ottobre 2006 art. 2, legge numero 638/1983 . 2. Con il ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista, vengono dedotti tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. penumero . 2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b e c c.p.p., per la mancata corretta applicazione dell'art. 2, comma 1-bis, legge numero 638/83 anche in relazione agli artt. 192, 529 e 530, comma 2, c.p.p Si censura la sentenza per aver ritenuto responsabile il ricorrente fondando il giudizio sostanzialmente alla prova presuntiva dell'avvenuta trasmissione all'INPS dei modelli DM10 da parte dell'imputato la sentenza, inoltre, non appare condivisibile nella parte in cui sembra interpretare la natura della ritenuta operata sulla retribuzione non già come somma di appartenenza del lavoratore, ma come una somma svincolata da tale appartenenza e con finalità di impiego di carattere pubblicistico, tale da renderla assimilabile quasi ad un'imposta che, in ogni caso, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere iure proprio diversamente, la normativa indicata impone non già il pagamento delle ritenute, ma il pagamento delle ritenute che siano state operate sulle retribuzioni del dipendente inoltre, si osserva, la brevità del periodo dell'omissione, potrebbe far presumere l'insussistenza del dolo, anche generico, facendo invece ritenere la contestata omissione connesse ad insorte difficoltà economiche o a mera dimenticanza non potrebbe, conclusivamente, prescindersi dalla prova diretta dell'avvenuta appropriazione delle somme, non desumibile dalla mera compilazione dei modelli DM10, né la prova del dolo potrebbe desumersi dalla reiterazione della condotta, peraltro contenuta temporalmente. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. c ed e c.p.p., per la mancata pronuncia su un motivo di appello in violazione degli artt. 24, comma 2 e 111, commi 1, 2, 3 e 6 Cost. e 125, comma 3, c.p.p La Corte d'appello di Firenze non si sarebbe pronunciata sulla richiesta di sospensione condizionale della pena e nemmeno sulla richiesta di conversione della pena detentiva ex art. 53, legge numero 689/1981 si osserva, sul punto che se la formula utilizzata nella motivazione ovvero la impossibilità di formulare nei confronti dell'imputato una prognosi fausta di ravvedimento può essere, tutt'al più, riferita alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale, non sarebbe certo idonea a giustificare la mancata conversione della pena ex lege numero 689/1981. 2.3. Deduce, infine, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b ed e c.p.p., per insufficiente e/o mancata motivazione riguardo all'entità della pena irrogata. A fronte di un arco temporale ristretto e di una omissione contributiva quantitativamente modesta, la Corte territoriale avrebbe comminato una pena di gran lunga superiore al minimo edittale, la quale apparirebbe sproporzionata al fatto, non ritenendosi sufficiente per la difesa il mero riferimento alla permanenza del debito del reo verso l'INPS esposto in sentenza Quanto, poi, all'applicazione della disciplina della continuazione, nelle sentenze sia di primo che di secondo grado, non verrebbe espresso minimamente il criterio di quantificazione della pena, non essendo stata indicata la pena base per la violazione più grave né l'aumento di pena ex art. 81 c.p. difetterebbe, quindi, quel minimo di elementi per comprendere l'iter logico seguito dal giudice al fine di censurare la giustificazione addotta sul punto, con conseguente vizio motivazionale. Considerato in diritto 3. Il ricorso dev'essere accolto nei limiti di cui si dirà oltre. 4. Ritiene il Collegio manifestamente infondato il primo motivo di ricorso. Ed invero, quanto alla prova della configurabilità dell'illecito, risulta, sotto il profilo oggettivo, che il reato è stato ritenuto sussistente in base alla deposizione del teste INPS nonché sulla base del contenuto del mod. DM10 redatto dallo stesso imputato, attestante le trattenute operate sulle retribuzioni corrisposte ai propri dipendenti e non versate all'INPS. 4.1. La fattispecie di reato è prevista dal d.l. 12.09.1983, numero 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.1983, numero 638, e successive modificazioni e integrazioni. L'art. 2, comma 1, di detto decreto legge stabilisce che le ritenute previdenziali e assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, comprese quelle effettuate ai lavoratori pensionati ai sensi degli artt. 20, 21 e 22 della L. numero 153/1969, devono essere comunque versate e non possono essere portate a conguaglio con le somme anticipate, nelle forme e nei termini di legge, dal datore di lavoro ai lavoratori per conto delle gestioni previdenziali e assistenziali e regolarmente denunciate alle gestioni stesse, tranne nei casi in cui dalla denuncia contributiva risulti un saldo attivo a favore del datore di lavoro Circolare NPS numero 121 del 20.04.1994 . È opportuno specificare inoltre che nel caso di presentazione di denuncia contributiva mensile parzialmente insoluta - atteso che il debito del datore di lavoro per contributi è pari alla differenza tra il saldo della denuncia mensile e l'importo effettivamente versato - dovrà essere promossa l'azione penale solamente quando l'importo versato risulti inferiore al complesso delle ritenute e trattenute a carico del lavoratore messaggio INPS numero 54143 del 16.2.1989 . L'art. 2, comma 1-bis, del citato d.l. prevede che in caso di omissione del versamento di ritenute previdenziali e assistenziali predette, operate in busta paga ai dipendenti, compresi i lavoratori pensionati, il datore di lavoro è punito con la reclusione fino a tre anni e una multa fino a lire due milioni Euro 1.032,00 . Mentre in passato era prevista una causa estintiva del reato nei casi in cui il datore di lavoro provvedeva al versamento delle ritenute operate entro il termine di sei mesi dalla scadenza dell'obbligo contributivo ovvero non oltre l'apertura del dibattimento penale, se fissato prima dello scadere dell'anzidetto termine , il nuovo testo dell'art. 2, comma 1-bis, per effetto della modifica operata dall'art. 1 del decreto legislativo numero 211/1994, stabilisce che il datore di lavoro non è punibile qualora provveda entro il termine di tre mesi dalla data di contestazione o notifica dell'avvenuto accertamento della violazione a versare le somme omesse. La denuncia di reato deve essere comunque presentata o trasmessa senza ritardo all'autorità giudiziaria competente anche dopo il versamento delle somme omesse - con allegata l'attestazione delle somme versate - ovvero decorso inutilmente il termine previsto dei tre mesi art. 2, comma 1-ter . Durante il predetto termine di tre mesi il corso della prescrizione rimane sospeso art. 2, comma 1-quater . Premesso quanto sopra, vero è che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che il reato in esame non è configurabile in assenza del materiale esborso delle relative somme dovute al dipendente a titolo di retribuzione, atteso che il riferimento letterale alle ritenute operate sulla retribuzione deve essere interpretato nel senso che non può essere operata una ritenuta senza il pagamento della somma dovuta al creditore, ma è anche vero che lo stesso Supremo Collegio ha inequivocabilmente chiarito che, per affermare la responsabilità penale del datore di lavoro inadempiente, il giudice deve accertare utilizzando a tal fine la documentazione aziendale, nonché quella eventualmente predisposta dal datore di lavoro ed inoltrata all'ente previdenziale Mod. D.M. 10/89 , se l'imputato avesse effettivamente retribuito i lavoratori che avevano prestato la loro attività Sez. U, numero 27641 del 28/05/2003 - dep. 23/06/2003, Silvestri M., Rv. 224609 . E ciò è quanto avvenuto nel caso in esame, avendo i giudici tratto la prova dell'omesso versamento delle ritenute dai modelli DM10 trasmessi dallo stesso datore di lavoro all'Istituto previdenziale oltre ad aver assunto la testimonianza del dipendente dell'INPS . Quanto sopra è sufficiente al fine di configurare la responsabilità penale del datore di lavoro sotto il profilo oggettivo, avendo reiteratamente affermato questa Corte che l'onere incombente sul pubblico ministero di dimostrare l'avvenuta corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti è assolto con la produzione del modello DM 10, con la conseguenza che grava sull'imputato il compito di provare, in difformità dalla situazione rappresentata nelle denunce retributive inoltrate, l'assenza del materiale esborso delle somme v., da ultimo Sez. 3, numero 7772 del 05/12/2013 - dep. 19/02/2014, Di Gianvito, Rv. 258851 , ciò in quanto gli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l'istituto previdenziale cosiddetti modelli DM 10 , hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivale all'attestazione di aver corrisposto le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi Sez. 3, numero 37145 del 10/04/2013 - dep. 10/09/2013, Deiana e altro, Rv. 256957 . 4.2. Quanto, poi, al profilo soggettivo, l'impugnata sentenza precisa che la tesi difensiva, già sostenuta davanti ai giudici d'appello, non convince, in quanto la reiterazione della condotta criminosa atteso che l'omissione si protrasse per cinque mesi consecutivi dimostra la pervicace volontà del ricorrente di omettere il versamento delle ritenute e, dunque, la sussistenza del dolo generico normativamente richiesto dalla norma incriminatrice. Il Collegio condivide l'argomento svolto, soprattutto alla luce della struttura dell'elemento soggettivo richiesto per la perseguibilità penale della condotta ed invero, è pacifico che il reato di cui all'art. 2 della legge 11 novembre 1983 numero 638 non richiede il dolo specifico bensì il dolo generico, esaurendosi con la coscienza e volontà della omissione o della tardività del versamento delle ritenute Sez. 3, numero 33141 del 10/04/2002 - dep. 04/10/2002, Nobili S., Rv. 222252 . Peraltro, si è anche chiarito che, poiché ai fini della punibilità dell'agente è sufficiente il dolo generico, consistente nella volontarietà dell'omissione, ne consegue che, accertata tale volontarietà, non è necessaria una esplicita motivazione sull'esistenza del dolo Sez. 3, numero 47340 del 15/11/2007 - dep. 20/12/2007, Arbuatti e altro, Rv. 238617, fattispecie nella quale la volontarietà dell'omissione è stata desunta dal tardivo versamento dei contributi omessi . Ed allora, se per ritenere provato il dolo è sufficiente il mero tardivo versamento, a maggior ragione, in assenza di elementi in senso contrario - come evidenziato dalla Corte - il dolo generico omissivo è provato dal comportamento del datore di lavoro il quale reiteratamente ometta, consapevole di esservi tenuto tanto da avere egli trasmesso i modelli DM10 all'Istituto previdenziale , di provvedere al versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti. Può, quindi, affermarsi il seguente principio di diritto La prova del dolo generico, normativamente richiesto ai fini della punibilità del reato di cui all'art. 2 della legge 11 novembre 1983 numero 638, può essere desunta anche dal comportamento del datore di lavoro il quale reiteratamente ometta, consapevole di esservi tenuto per aver trasmesso i modelli DM10 all'Istituto previdenziale , di provvedere al versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti ”. Solo per completezza, merita qui precisare che il riferimento alla crisi di liquidità o alla difficoltà economica o alla mera dimenticanza, sostenute in ricorso, sono prive di qualsiasi fondamento, trattandosi di mere ipotesi proposte dal ricorrente, perdipiù sollevate per la prima volta davanti a questa Corte Suprema. 5. Fondato deve, invece, ritenersi il secondo motivo. Ed invero, nessuna motivazione specifica si rinviene nella sentenza impugnata con riferimento alla richiesta di sostituzione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria ex art. 53, legge numero 689/1981 la richiesta era stata espressamente avanzata nei motivi di appello, ma la Corte non ha fornito alcuna giustificazione alla richiesta difensiva, essendo sufficiente la motivazione solo a giustificare il mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, come fatto palese dal riferimento alla impossibilità di formulare una prognosi fausta di ravvedimento. Pacifico è, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte che il giudice deve motivare sulla omessa applicazione delle sanzioni sostitutive, qualora vi sia stata una specifica richiesta della difesa dell'imputato e le stesse siano ammissibili Sez. 3, numero 2036 del 23/01/1996 - dep. 23/02/1996, Melis, Rv. 205392 , sicché la circostanza di non aver fornito alcuna giustificazione in ordine alle ragioni del diniego, si risolve nell'omessa pronuncia su un motivo di appello che rende nulla in parte qua la sentenza impugnata. Ed invero, una volta che sia stato devoluto il punto relativo al trattamento sanzionatorio al giudice d'appello con riferimento al mancato riconoscimento della sanzione sostitutiva, il giudice deve fornire idonea ed adeguata motivazione in caso di mancata applicazione, qualora di essa vi sia stata esplicita richiesta da parte dell'imputato. 6. All'accoglimento di tale motivo, segue, peraltro, la declaratoria di annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza con riferimento alle omissioni contestate sino al 16 agosto 2006 dunque, fino all'omesso versamento relativo al mese di luglio 2006 , in quanto alla data del 16 maggio 2014 è maturata per intero la prescrizione massima prevista dalla legge anni 7 e mesi 6, aumentati di ulteriori mesi 3 per la sospensione ex art. 2, comma 1-quater, legge numero 638/1983 . L'impugnata sentenza dev'essere, pertanto, annullata senza rinvio con trasmissione atti ad altra Sezione della Corte d'appello di Firenze per la rideterminazione della pena, che si atterrà anche a quanto sopra indicato quanto alla convertibilità della rideterminanda pena ex art. 53, legge numero 689/1981. 7. Quanto, infine, al terzo ed ultimo motivo, la Corte ritiene che lo stesso sia manifestamente infondato. Ed infatti, è sufficiente in questa sede richiamare la motivazione del primo giudice che, attesa la natura di doppia conforme, si salda con la motivazione di quella d'appello per valutarne, seppure nella sinteticità dell'apparato motivazionale, l'adeguatezza in ordine alla parametrazione del trattamento sanzionatorio al criterio della congruità . Sul punto, in particolare, si osserva che la pena indicata mesi 3 di reclusione ed Euro 300,00 di multa , è stata determinata in misura fissa, senza specificare la pena base prevista né determinando il quantum a titolo di aumento per la continuazione pur tuttavia, ritiene il Collegio che l'uso di espressioni sintetiche quali alla luce dei criteri ex art. 133 cod. penumero o pena congrua come nel caso in esame è giustificato quando viene irrogata una pena molto vicina al minimo edittale, non essendo, in tale caso, necessaria una analitica enunciazione dei criteri Sez. 3, numero 11513 del 19/10/1995 - dep. 28/11/1995, Merra, Rv. 203011 . A ciò, del resto, si aggiunga che il ricorrente, in sede di motivi di appello, non risulta aver dedotto specificamente davanti al giudice di secondo grado il vizio motivazionale atteso che l'omessa indicazione dei criteri di determinazione della pena, anche nel caso di reato continuato, non da luogo ad una nullità ma ad una lacuna di motivazione Sez. 2, numero 5606 del 10/01/2007 - dep. 08/02/2007, Conversa e altro, Rv. 236181 , sicché non può dolersene per la prima volta davanti al giudice di legittimità, non potendo ritenersi viziata la motivazione della sentenza del giudice di appello che non si sia pronunciato su un punto non dedotto dall'appellante, attesa la natura limitatamente devolutiva di detto giudizio. Ed infatti, anche nel nuovo codice di procedura penale l'appello ha carattere di mezzo di impugnazione limitatamente devolutivo art. 597, comma primo, cod. proc. penumero pertanto il potere discrezionale dato al giudice di appello di superare, entro certi limiti, lo spazio della cognizione devolutogli, non risolve l'onere della parte di proporre le richieste e i motivi specificamente, né rende ammissibile il ricorso per Cassazione sulla base di motivi e richieste non dedotte in appello, sempre che non si tratti di violazione di legge implicanti nullità rilevabili di ufficio, circostanza esclusa nel caso in esame Sez. 1, numero 4031 del 25/02/1991 - dep. 12/04/1991, Pace ed altri, Rv. 187950 . 8. Il ricorso dev'essere, dunque, parzialmente accolto, con annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza per le ragioni di cui sopra. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati commessi fino al 16/08/2006 sono estinti per prescrizione, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Firenze per la determinazione della pena.