Associazione mafiosa – metodo mafioso: non è un’endiadi

Si configura il reato di tentata estorsione aggravata, sulla base della l. n. 203/1991, quando alla condotta dell’agente sia ricollegabile il c.d. metodo mafioso”, che non sussiste esclusivamente quando vi sia la presenza di un’associazione mafiosa alla base dell’azione, essendo sufficiente che la minaccia o la lesione assumano veste tipicamente mafiosa.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 29010, depositata il 4 luglio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Messina condannava gli imputati per il delitto di tentata estorsione aggravata ex art. 7 l. n. 203/1991 provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa . Proponevano ricorso per cassazione gli imputati, deducendo erronea applicazione della legge penale e motivazione apparente con riferimento all’aggravante. In particolare, secondo le difese, la Corte territoriale avrebbe confuso le modalità gravi dell’azione con quelle mafiose. Non è necessaria l’esistenza o la contestazione di un’associazione mafiosa per qualificare il metodo come mafioso. Secondo la Suprema Corte, i giudici di merito avevano ritenuto sussistente l’aggravante sotto il profilo dell’uso del c.d. metodo mafioso”, che si configura, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, senza bisogno di dimostrare o contestare l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violazione o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa Cass., n. 322/2013 . In particolare i Giudici territoriali avevano svolto valutazioni di fatto, corrette dal punto di vista logico e giuridico, che avevano portato a qualificare il comportamento degli imputati come mafioso, avendo avuto tutte le caratteristiche classiche dell’azione mafiosa. Gli imputati si erano avvalsi, infatti, di metodi quali quello di posizionare bottiglie contenenti liquidi infiammabili negli esercizi commerciali o di commissionare un avvertimento come quello di cospargere di benzina i dipendenti, generando nella vittima il convincimento che la minaccia provenisse da un soggetto appartenente ad un’associazione mafiosa o comunque da parte di chi si avvaleva di modalità mafiose. La Cassazione rigetta quindi il ricorso, non essendo in alcun modo censurabile in sede di legittimità il ragionamento correttamente articolato e motivato dai Giudici di merito.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 29 aprile - 4 luglio 2014, n. 29010 Presidente Casucci – Relatore Fiandanese Svolgimento del processo La Corte di Appello di Messina, con sentenza in data 28 settembre 2012, parzialmente riformando la condanna pronunciata il 15 luglio 2010 dal G.U.P. del Tribunale di Messina nei confronti di P.G. e B.G. , dichiarati colpevoli, in concorso tra loro e con altri imputati minorenni, del delitto di tentata estorsione aggravata ex art. 7 legge n. 203 del 1991, rideterminava la pena per il P. in anni sei di reclusione ed Euro 2.000 di multa e per il B. in anni quattro di reclusione ed Euro 2.000 di multa. Propongono ricorso per cassazione i difensori degli imputati. Il difensore di P.G. deduce i seguenti motivi 1 erronea applicazione della legge penale e motivazione apparente con riferimento all'aggravante ex art. 7 d.l. n. 152 del 1991. Il ricorrente afferma che il metodo mafioso si caratterizza soltanto per una condotta idonea a determinare assoggettamento ed omertà, evocando forze intimidatrici derivanti dal vincolo associativo, mentre la Corte di Appello confonderebbe le modalità gravi dell'azione con quelle mafiose, che, nel caso di specie, non sussisterebbero. 2 mancanza assoluta di motivazione nel calcolo della pena , in quanto il giudice di primo grado nel calcolare la pena invece dell'aumento da un terzo alla metà, stabilito dall'art. 7 legge n. 203 del 1991, avrebbe operato un aumento pari al doppio della pena base. La Corte di Appello nulla osserverebbe in merito e, se è vero che la pena è stata ridotta in appello, tale riduzione, però, doveva essere effettuata sulla pena correttamente calcolata. Il difensore di B.G. deduce i seguenti motivi 1 mancanza ovvero manifesta illogicità della motivazione con riferimento all'art. 7 D.L. n. 152 del 1991 , in quanto la motivazione sulla sussistenza della suddetta aggravante sarebbe basata su congetture, non essendovi alcun elemento in atti che dimostri l'esistenza del sodalizio riferito a titolo di minaccia. 2 mancanza di motivazione con riferimento al diniego di concessione delle attenuanti generiche , in quanto la Corte di Appello avrebbe ignorato gli elementi rappresentati con l'atto di appello a sostegno della loro concessione ottima condotta inframuraria, confessione, incensuratezza, risarcimento del danno alla persona offesa . Motivi della decisione I motivi dei ricorsi sono infondati e devono essere rigettati. I motivi con i quali entrambi i ricorrenti censurano l'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 7 d.l. n. 152 del 1991 sono infondati, tenuto presente che, i giudici di merito hanno ritenuto sussistente l'aggravante medesima sotto il profilo dell'uso del c.d. metodo mafioso. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che per configurabilità dell'aggravante dell'utilizzazione del metodo mafioso , non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l'esistenza di un'associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa Sez. 2, n. 322 del 02/10/2013 - 08/01/2014, Ferrise, Rv. 258103 . Ebbene, i giudici di merito, le cui sentenze sul punto, essendo conformi, si integrano nella motivazione, hanno evidenziato che il comportamento degli imputati avevano tutte le caratteristiche della più classica azione di tipo mafioso così la sentenza di appello in particolare il P. qualificandosi come soggetto proveniente dal gruppo di C. , con ciò riferendosi al quartiere di Catania dove la summenzionata consorteria mafiosa esercita la sua influenza, ha ingenerato nella vittima il convincimento che la minaccia provenisse da un soggetto appartenente ad un sodalizio mafioso o comunque da parte di chi si avvaleva di modalità mafiose , modalità riscontrabili ancor più nel fatto che lo stesso P. si è presentato alla vittima in pieno giorno a volto scoperto, incurante delle telecamere e non ha esitato ad avvalersi di metodi, quali quello di posizionare bottiglie contenenti liquidi infiammabili negli esercizi commerciali o di commissionare un avvertimento come quello di cospargere di benzina i dipendenti di chiara matrice mafiosa pag. 7 sentenza di primo grado . Si tratta di valutazioni di fatto, che, in quanto corrette dal punto di vista logico e giuridico, non sono in alcun modo censurabili in questa sede di legittimità. Infondati sono anche i motivi di entrambi i ricorrenti concernenti il trattamento sanzionatorio. Con riguardo al motivo del ricorso sul punto presentato dal P. , deve osservarsi che l'errore di calcolo commesso dal primo giudice è del tutto irrilevante, poiché il giudice di appello, nel calcolare la sanzione applicabile, ha nuovamente rideterminato la pena, indicando sia la pena base che l'aumento per l'aggravante contestata che la diminuzione per il rito, in modo del tutto corretto dal punto di vista non solo delle regole di calcolo ma anche di quelle giuridiche. Con riguardo al motivo del ricorso presentato dal B. e concernente specificamente la mancata concessione delle attenuanti generiche, deve osservarsi che il giudice di appello ha ridotto la pena, anche alla luce del risarcimento del danno, avvenuto tuttavia in grado di appello”, ma ha per il resto confermato le statuizioni del primo giudice, il quale aveva negato la concessione delle attenuanti generiche nonostante l'incensuratezza del B. , attesa la particolare gravità del fatto posto in essere, le modalità di esecuzione del reato e la personalità manifestata” è principio giuridico consolidato che, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo di motivazione, per quanto concerne il diniego di concessione delle attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione, senza che sia tenuto ad esaminare tutte le circostanza prospettate o prospettabili dalla difesa Sez. 1, 11 gennaio 1994, n. 3772, Spallina, Rv. 196880 Sez. 1, 20 ottobre 1994 - 26 gennaio 1995, n. 866, Candela, Rv. 200204 Sez. 4, 20 dicembre 2001 - 28 febbraio 2002, n. 8167, Zahraoui, Rv. 220885 . Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.