La “difesa è legittima” solo se attuata a scopo difensivo

L’esimente della legittima difesa è applicabile allorché il soggetto agisce nella convinzione, seppur erronea, di dover reagire a solo scopo difensivo. Essa non può trovare applicazione allorché l’atto sia posto in essere per risentimento o ritorsione nei confronti di colui che l’agente ritenga essere portatore di una offesa qualsiasi.

Ai fini di valutare l’applicabilità della scriminante il giudice dovrà tenere conto del lasso di tempo intercorso tra l’offesa e la reazione e dell’esistenza di un rapporto di dipendenza funzionale della seconda azione rispetto alla prima. La seconda azione deve porsi in rapporto alla prima quale atto contenitivo dell’altrui aggressività. È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 17942/2014, depositata il 29 aprile. Il caso. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza resa dalla Corte di Appello di Milano con la quale veniva confermata quella resa in primo grado dal Tribunale meneghino, con cui egli veniva condannato, all’esito del giudizio abbreviato, alla pena ritenuta di legge per aver procurato lesioni volontarie gravi alla persone offesa e porto ingiustificato di arma da punta e taglio. Il ricorrente si doleva dell’erronea applicazione degli artt. 52 e 55 c.p. poiché non era stata riconosciuta in proprio favore l’esimente della legittimi difesa o quantomeno l’eccesso colposo posto che egli aveva reagito ad un’offesa, nella specie costituita dall’aver ricevuto un calcio, lui portata dalla vittima. Si doleva altresì del mancato riconoscimento dell’attenuante prevista dall’art. 62 c.p., nonché di vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante prevista dall’articolo 62, n. 5, c.p La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso con riferimento al solo secondo motivo di doglianza. La legittima difesa. La questione sottoposta dal ricorrente alla Corte di Cassazione non è affatto nuova. Così come non pare possa dirsi innovativa la risposta che gli ermellini forniscono al quesito. Ancora una volta la Giurisprudenza di legittimità pare assestarsi nel solco, condiviso da chi commenta, costituito da una interpretazione di carattere rigido non tanto della portata della norma ma del significato che al termine legittima occorre darsi e fornire ai fini di ritenere scriminata quella condotta che integra, in concreto, perfettamente gli elementi richiesti e contenuti nella fattispecie in cri minatrice astratta. In punto mi pare doveroso ricordare come la legittima difesa costituisca di fatto ed ex lege una sostituzione del privato nella funzione tipica dello Stato di amministrare giustizia e, quindi e conseguentemente, questa sostituzione possa e debba essere tollerata solo laddove sia e divenga effettivamente indispensabile. Proprio a cagione di questa considerazione la miglior dottrina ha da tempo elaborato i ben noti caratteri che deve possedere l’azione posta in essere per poter fregiarsi del titolo di difesa di carattere legittimo. Proporzionalità tra offesa e difesa. La proporzionalità tra offesa e difesa con il necessario giudizio da condurre sulla scorta del bilanciamento tra i valori Costituzionali posti a tutela e presidio del bene aggredito e del bene offeso, la istantaneità” della reazione ed il suo porsi quale unico strumento atto e sufficiente ad escludere nuove e gravi offese da parte dell’agente-reagente, costituiscono canoni ormai entrati a far parte del patrimonio comune anche a dispetto dei tentativi, alcuni dei quali anche piuttosto recenti, di introdurre nell’ordinamento una sorta di presunzione di difesa legittima posta a tutela di ogni diritto spettante all’offeso a prescindere da ogni giudizio di bilanciamento fra i beni posti a confronto. Ovviamente discorso del tutto identico deve e può farsi anche in relazione alla legittima difesa putativa che differisce dall’ipotesi in discorso solo ed esclusivamente in virtù della rappresentazione degli eventi che l’offeso agente, erroneamente, si è prospettato. Evidente che il giudizio nel caso di esimente putativa viene ad essere incentrato sulla legittima e lecita possibilità di incorrere in un errore percettivo e valutativo dei fatti e delle circostanze. Riconosciuta detta possibilità l’attenzione del giudicante dovrà necessariamente concentrarsi su quegli elementi di fatto che abbiamo appena richiamato. Proprio partendo da queste riflessioni, che la sentenza da per presupposte, la Corte giunge ad affermare che non può dirsi atto dotato di quei requisiti richiesti ai fini di potersi giovare della scriminante l’atto che venga compiuto non già per sottrarsi o difendersi da un pericolo di offesa ancora attuata od immanente ma quello commesso a titolo di ritorsione” o di rancore” e posto in essere al fine di riparare l’offesa. Traspare dal ragionamento posto in essere dalla Corte proprio quella finalità, che mi piace definire quale tipica, che il legislatore ha inteso riconnettere alla difesa legittima ed anche il limite al suo esercizio che è ad essa collegato e connaturato la difesa legittima costituisce esercizio di potestà di norma riservata allo stato che il cittadino può esercitare solo in senso limitato ed al fine di dar immediata protezione a beni dotato di protezione di rango costituzionale che se non difesi dall’aggressione dell’offensore non potrebbero essere diversamente protetti e tutelati. Il diritto di agire a protezione dei beni, come definiti sopra, da parte dell’offeso decade allorché l’azione dell’offensore sia terminata ovvero non sia più in grado di arrecare altro ed ulteriore danno agli stessi. Sicuri i beni da nuove ed ulteriori aggressioni gli atti posti in essere dall’offeso nei confronti dell’offensore divengono non già esercizio di un diritto di difesa ma loro volta espressione di un offesa, anche se giustificata dalla condotta posta in essere dall’offensore, attraverso cui l’offeso intende far valere le propri ragioni e diritti . Ragioni e diritti che spetta ad altri, cioè allo Stato, far valere e tutelare. Su questo patto si fonda lo stato di diritto ed è questo patto che sta alla base della scelta, di elevata civiltà, di consegnare il diritto alla giustizia allo stato sottraendola ci cittadini. Tentando cioè di dare alla Giustizia una soggettività ed una concezione assolutamente universale e ben distinta da quel concetto di farsi giustizia” che rimanda e richiama le tenebre di periodi storici non degni d’essere riportati in auge.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 febbraio – 29 aprile 2014, n. 17942 Presidente Dubolino – Relatore Vessichelli Fatto e diritto Propone ricorso per cassazione S.C. , avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano in data 7 maggio 2013, con la quale è stata confermata quella di primo grado, emessa all'esito di giudizio abbreviato, che era stata di condanna in ordine al reato di lesioni personali volontarie gravi e alla contravvenzione di porto ingiustificato di un'arma da punta e di taglio. Tali condotte erano state poste in essere il 30 marzo 2012, in danno di R.D. , il quale aveva riportato una malattia, giudicata guaribile in più di 40 giorni. Deduce 1 il vizio della motivazione e l'erronea applicazione degli articoli 52 e 55 del codice penale. Ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta riconoscere, in suo favore, la legittima difesa, ai sensi dell'articolo 52 c.p., ovvero l'eccesso colposo ai sensi dell'articolo 55 c.p. La Corte territoriale non aveva potuto visionare il filmato, andato perduto dopo che la difesa lo aveva prodotto per dimostrare che, appunto, l'imputato era stato costretto a reagire per difendersi. Ne era scaturito un vizio di motivazione su un elemento a discarico addotto dalla difesa e già valutato nel giudizio di primo grado, all'esito del quale era stata esclusa l'aggravante dei futili motivi 2 il vizio della motivazione in relazione al mancato riconoscimento della attenuante di cui all'articolo 62 numero 2 cp. La Corte d'appello aveva inspiegabilmente minimizzato la versione difensiva tesa a dimostrare che la condotta in contestazione costituiva l'epilogo di un comportamento gravemente ingiusto del R. il quale, prima di essere colpito, aveva ripetutamente minacciato e ingiuriato l'imputato per poi colpirlo con un forte calcio che lo aveva fatto volare sopra un tavolino 3 il vizio della motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 numero 5 c.p Tale attenuante avrebbe dovuto essere riconosciuta perché il comportamento della persona offesa presentava tutti gli estremi della concausa dell'evento, posta in essere dalla persona offesa. Il ricorso è fondato limitatamente al punto concernente la configurabilità o meno della circostanza attenuante della provocazione. Invero, del tutto infondato ed ai limiti della inammissibilità è il primo motivo di ricorso. È da escludere che la dispersione del filmato sul quale era stata registrata l'intera scena dell'aggressione, in precedenza allegato agli atti, abbia comportato un vizio della motivazione su un punto decisivo. Infatti il giudice dell'appello, constatata la assenza del filmato della video sorveglianza interna, dal fascicolo processuale, ha dimostrato, comunque, di tenerne conto sulla base della descrizione dello stesso, come effettuata dal giudice di primo grado e non contestata dalla difesa. Ne è scaturita un'analisi che ha consentito alla Corte di affermare che l'aggressione di cui all'imputazione si è verificata dopo che l'odierna persona offesa aveva, per prima, aggredito l'imputato con un calcio, mentre questi si stava dirigendo verso l'uscita. Tuttavia, lo stesso giudice dell'appello, sulla base della medesima descrizione del primo giudice e di quella effettuata nella notizia di reato del 31 marzo 2012, ha potuto anche ricostruire l'accaduto come condotta dell'imputato non già di natura difensiva ma di natura eminentemente reattiva. Questi, infatti, dopo aver ricevuto il calcio, aveva estratto dalla tasca posteriore dei pantaloni un'arma con la quale aveva colpito l'odierna persona offesa alle spalle, come era stato desunto dalla localizzazione della ferita successivamente, mentre veniva accompagnato fuori dal locale, si era guardato attorno ed aveva nascosto dietro i pantaloni l'arma con la quale aveva colpito il R. . Sulla base di tali elementi oggettivi, che la difesa non contesta sia pure deprecando la sparizione del filmato, la Corte d'appello ha doverosamente escluso la possibilità di riconoscere la legittima difesa ovvero l'eccesso colposo di cui all'articolo 55 c.p Ed infatti, l'esimente della legittima difesa non è applicabile allorché il soggetto non agisce nella convinzione, sia pure erronea, di dover reagire a solo scopo difensivo, ma per risentimento o ritorsione contro chi ritenga essere portatore di una qualsiasi offesa Sez. 1, Sentenza n. 3200 del 18/02/2000 Ud. dep. 15/03/2000 Rv. 215513 . Nel caso di specie, il lasso di tempo trascorso tra il momento di ricezione del calcio e il momento dell'accoltellamento, ed inoltre la assenza di un rapporto di dipendenza funzionale della seconda azione, rispetto alla prima, quale atto contenitivo della altrui aggressività, ha correttamente indotto la Corte d'appello ad escludere che l'imputato abbia agito nella necessità di difendersi o anche soltanto errando nella valutazione della esistenza di un pericolo di tal genere. Fondato è invece il secondo motivo di ricorso. La circostanza attenuante della provocazione di cui all'art. 62 n. 2 cod. pen. non ricorre ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d'ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l'ira, pur non essendo il concetto di adeguatezza e proporzione connotato della circostanza attenuante medesima Sez. 1, Sentenza n. 30469 del 15/07/2010 Ud. dep. 30/07/2010 Rv. 248375 . Sulla stessa linea si è anche affermato che pur non essendo, il concetto di adeguatezza e proporzione fra le opposte condotte, elemento caratterizzante l'attenuante della provocazione di cui all'art. 62 n. 2 cod. pen., tuttavia la medesima va negata ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere uno o più degli elementi propri dell'attenuante medesima, come lo stato d'ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l'ira Sez. 1, Sentenza n. 1305 del 15/11/1993 Ud. dep. 04/02/1994 Rv. 197245 . In altri termini, l'assoluta sproporzione fra i due termini sta a significare che la condotta criminosa ha avuto come fattore endogeno scatenante la vendetta, il malanimo o, comunque, una causale che è slegata dall'eventuale stato d'ira insorto per il fatto ingiusto altrui, così facendo venir meno il nesso di causalità fra eventuale fatto ingiusto altrui e successiva reazione criminale Sez. 1, Sentenza n. 8773 del 16/06/1992 Ud. dep. 05/08/1992 Rv. 191576 . Nel caso concreto, il giudice del merito ha negato la circostanza attenuante sostanzialmente escludendo che fosse ravvisabile, nella condotta della persona offesa, un comportamento talmente ingiustificato da determinare la perdita di controllo e dei freni inibitori del ricorrente. Tuttavia, attesa anche la difficoltà della individuazione di un confine chiaramente apprezzabile, tra la reazione alla altrui provocazione, valutata in maniera attenuata dal legislatore, e la condotta invece frutto di una scelta libera e non determinata dalla altrui coazione psicologica, pur in presenza di un comportamento ingiusto della persona offesa, l'affermazione del giudice del merito appare del tutto insufficiente e richiede un nuovo approfondimento. Dovrà, il giudice del rinvio, chiarire con motivazione esaustiva, i termini esatti della valutazione del comportamento della p.o., consistito, a quanto è dato sapere, nell'avere assestato un calcio all'imputato e dunque, in un comportamento in linea di principio anche violento e non di modesta gravità. La violenza maggiore o minore impressa col gesto in questione e le modalità esecutive dovranno costituire l'elemento da porre a confronto con la successiva azione violenta addebitata all'imputato, per la ricerca di un possibile rapporto di causalità tra i due comportamenti e la analisi dell'atteggiamento psicologico del prevenuto. Infine è manifestamente infondato l'ultimo motivo di ricorso. Correttamente la Corte d'appello ha escluso la possibilità di riconoscere la circostanza attenuante di cui all'articolo 62 numero 5 cp. La circostanza attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa richiede, ai fini della sua sussistenza, l'integrazione di un elemento materiale, quale è l'inserimento del comportamento della persona offesa nella serie delle cause determinatrici dell'evento, e di un elemento psichico, consistente nella volontà di concorrere a determinare lo stesso evento Sez. 1, Sentenza n. 14802 del 07/03/2012 Ud. dep. 18/04/2012 Rv. 252265 . Tali requisiti non potevano essere ritenuti sussistenti nel caso di specie, dovendosi evidentemente escludere che il comportamento doloso della persona offesa, consistito nello sferrare un calcio, ai danni dell'imputato, possa essersi inserito nella serie delle cause che hanno determinato l'evento lesivo ai danni del denunciante e che sono da individuarsi, esclusivamente, nel comportamento doloso del S. . Ancor più manifesta è la insussistenza della pretesa volontà dei R. , di concorrere a cagionare, col calcio all'imputato, il proprio stesso accoltellamento. Infatti, la materialità dei fatti descritti nell'articolo 62 n. 5 descrive lo stesso meccanismo concausale di cui all'articolo 41 del codice penale, cui aggiunge la imputabilità dell'evento delittuoso perseguito dell'agente, anche alla persona offesa, dal punto di vista soggettivo conformemente v. rv 239798 è invece da escludere, diversamente da quanto sostenuto dal difensore, che l'attenuante in parola possa ritenersi integrata sulla base della registrazione di una serie di eventi, pur dipendenti l'uno dall'altro, ma con imputazioni soggettive separate ed autonome. Come nel caso, corrispondente a quello in esame, nel quale il comportamento dell'offeso abbia costituito semplicemente il movente della condotta dell'imputato Sez. 5, sentenza n. 35560 del 07/06/2012 Ud. dep. 17/09/2012 Rv. 253203 . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla mancata applicazione della circostanza attenuante ex art. 62 n. 2 cp con rinvio, per nuovo esame sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.