Più spazio alla difesa contro le presunzioni che legittimano la confisca: per superarle basta un mero onere di allegazione e non di prova

Ai fini della verifica del rapporto giustificativo del provvedimento patrimoniale di prevenzione, appare ingiustificata l’omessa valutazione, da parte della Corte territoriale, di redditi importanti di cui sia più che verosimile l’effettiva produzione da parte del nucleo familiare del proposto. Degli stessi va, pertanto, tenuto conto per correttamente determinare la capacità reddituale del soggetto a carico del quale la confisca viene disposta.

Questo il principio di diritto affermato dalla Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17607 depositata il 22 aprile 2014. I presupposti della confisca antimafia. Come noto, ai sensi dell’art. 24 del codice antimafia, il Tribunale, in presenza dei requisiti soggettivi, deve disporre la confisca di quei beni di cui la persona proposta non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona, risulti essere titolare o averne la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o che ne costituiscano il reimpiego. Non si è pertanto mancato di stigmatizzare, soprattutto in dottrina, come tale dizione normativa configuri una inversione dell’onore della prova in quanto il proposto deve essere in grado di superare il sospetto di illiceità derivante dalla sproporzione fra redditi dichiarati o attività economica svolta e la consistenza del patrimonio individuato. Non è dunque l’autorità proponente a dover dimostrare l’illecito accumulo patrimoniale, quanto l’interessato a dover fornire la prova liberatoria. Le questioni sub iudice alle SSUU. Le questioni ermeneutiche che sono sorte intorno al testo normativo in esame del codice antimafia sono numerose ed hanno dato adito a diversi contrasti interpretativi, che, in tempi recentissimi, hanno indotto gli Ermellini a rimettere la questione alla Sezioni Unite. Infatti, con una prima ordinanza del 12 dicembre 2013, la Sezione Prima ha rimesso alle SS.UU. la questione se ai fini della proporzione dei redditi di attività economiche rispetto ai beni posseduti – preclusiva della confisca di prevenzione – possano farsi valere anche i proventi di evasione fiscale. Da ultimo, con sentenza n. 11751/14 Diritto e Giustizia del 12 marzo 2014 la Sezione Sesta ha rimesso sempre alle SS.UU. la questione sulla natura della confisca antimafia, sulla applicabilità del principio di irretroattività ed inoltre sulla necessità della c.d. correlazione temporale”. I rilievi di costituzionalità. In attesa di tale importanti decisioni giova in questa sede rammentare che, sin dalla sua adozione, il testo normativo ha suscitato perplessità da parte di molti commentatori in quanto la confisca antimafia, grave misura ablativa patrimoniale, non presuppone la prova dell’illecito accumulo del patrimonio, bensì la mera mancata prova da parte del proposto della lecita origine. Si tratterebbe, secondo l’impostazione critica, di una vera e propria inversione della prova non compatibile con il canone costituzionale della presunzione di innocenza e con i canoni propri del processo accusatorio e, dunque, del giusto processo ormai costituzionalizzato nel dettato dell’art. 111 Cost Come noto, tuttavia, la giurisprudenza sia di merito che di legittimità ha sempre respinto ogni sospetto di legittimità costituzionale della norma, negando che il dettato normativo introdurrebbe una vera e propria inversione dell’onere della prova, ma piuttosto imporrebbe a carico del proposto un assai meno gravoso onere di allegazione di circostanze in grado di elidere la valenza degli elementi addotti dall’accusa. La sussistenza di un mero onere di allegazione anziché di prova si sostanzierebbe, secondo tale impostazione giurisprudenziale, in un conseguente obbligo del giudice di indagare sulla fondatezza e rilevanza delle allegazione addotte dal proposto a discarico. e le conseguenze in punto di obbligo di motivazione. Secondo la giurisprudenza, dunque, proprio l’obbligo di motivazione gravante sul giudice di merito consentirebbe di degradare la ritenuta inversione dell’onere della prova in un ben meno gravoso onere di allegazione che imporrebbe al giudice di indagare sulla fondatezza delle allegazioni difensive del proposto e sulla rilevanza delle medesime al fine di superare gli elementi di prova forniti dalla pubblica accusa. In dottrina, tuttavia, detta impostazione era stata ampiamente criticata sulla base del rilievo che, nella sostanza, la difesa aveva sempre l’onere di fornire la prova della lecita provenienza dei beni, che sarebbe meramente camuffata dalla più tranquillizzante formula della mera allegazione . Significatività del caso in oggetto. La vicenda sottoposta al vaglio della Suprema Corte appare assolutamente significativa nell’evidenziare il sottilissimo filo grigio che sembra distinguere il confine – laddove mai possa azzardarsi l’utilizzo non a sproposito di detto termine – tra onere di prova e la ritenuta minore forma dell’onere di allegazione. Nel caso de quo , infatti, la Corte di Appello, in riforma della pronuncia del Tribunale di primo grado, aveva accolto il ricorso del P.G. disponendo la confisca di diversi immobili nella disponibilità del proposto, non ritenendo assolto da parte di quest’ultimo l’onere di prova delle lecita provenienza del patrimonio gravante sul medesimo. La pronuncia degli Ermellini sovverte nuovamente il quadro decisorio, ritenendo meramente apparente la motivazione dei giudici di appello che non avevano dato adeguata rilevanza ad un coacervo di circostanze e di dati emergenti dalle consulenze depositate dalla difesa, che avevano allegato l’esistenza di fonti di reddito derivanti da attività agricola, da risarcimenti di danni, da pregresse alienazioni di beni patrimoniali, nonché infine dal ricorso al credito per finanziare le operazioni economicamente più significative. La Suprema Corte annulla dunque con rinvio l’ordinanza della Corte di Appello di Palermo, invitando il giudice del rinvio ad un più attento vaglio delle significative allegazioni difensive, che rendano verosimile l’esistenza di consistenti fonti di reddito lecite e di altri leciti incrementi patrimoniali. Un sottile, ma importante filo grigio. Nonostante la pronuncia in commento costituisca senza dubbio un significativo e chiaro richiamo nei confronti del giudice di merito circa l’onere di fornire una adeguata e approfondita motivazione che dia contezza della avvenuta piena e puntuale valutazione delle allegazioni difensive, i tre differenti esiti dei giudizi succedutisi nei diversi gradi appare la prova conclamata di come, in realtà, il confine tra onere di allegazione e onore della prova sia delimitato da un sottilissimo filo grigio destinato ad essere superato senza grandi difficoltà in un senso o nell’altro. Resta il rilievo che, di fronte alla sicuramente infelice attuale formulazione del testo legislativo e dunque in mancanza di un intervento di riforma del legislatore o del giudice delle leggi, l’unico rimedio a garanzia invero labile del proposto altro non può essere che imporre al giudice di merito una rigorosa valutazione, con conseguente altrettanto rigoroso onere motivazionale a fronte delle allegazioni difensive, che dovranno essere valutate anche tenendo conto, come spesso accade, della notevole risalenza nel tempo dei fatti che il proposto ha l’onere di allegare a proprio discarico. Sotto tale profilo, la sentenza della Cassazione in commento rappresenta un deciso, quanto doveroso monito a fronte di motivazioni che, invero sempre più spesso e come accaduto nel caso di specie, appaiono non solo autoreferenziali, ma anche generiche, apodittiche, incoerenti con le obbiettive risultanze processuali, tanto da rendere la motivazione meramente apparente e dunque censurabile anche in Cassazione, in quanto integrante violazione di legge.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 febbraio – 22 aprile, sentenza n. 17607 Presidente Siotto – Relatore Bonito Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con ordinanza del 12 marzo 2013 la Corte di appello di Palermo, in funzione di giudice delle misure di prevenzione, accogliendo il gravame proposto dal P.M. avverso il decreto con il quale il Tribunale di Palermo, in applicazione della L. 31 maggio 1965 n. 575, aveva applicato nei confronti di I.S. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno per la durata di anni tre e, nel contempo, disposto la confisca di un fabbricato posto in omissis allo stesso intestato, disponeva la confisca di tre altri immobili in relazione ai quali il giudice di prime cure aveva rigettato la domanda della pubblica accusa. Con lo stesso provvedimento la Corte di appello rigettava l'impugnazione proposta dalla parte privata sia in relazione alla misura personale che a quella patrimoniale nella parte accolta. 1.1 A sostegno del provvedimento, per quanto di interesse nel presente procedimento di legittimità dappoiché impugnata per cassazione la sola misura patrimoniale, la Corte territoriale osservava, quanto all'appello della parte privata I.S. è stato condannato con sentenza del GIP del Tribunale di Palermo del 18 febbraio 2010 alla pena di anni undici e mesi quattro di reclusione, pena ridotta ad anni dieci e mesi otto dalla Corte di secondo grado, in data 29.10.2011, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 416-bis c.p. commi 1, 2, 3, 4 e 6, per questo deve ritenersi provata sia la sua pericolosità qualificata in quanto sodale di associazione mafiosa cosa nostra con il ruolo di capo mandamento di Ribera, sia l'attualità di essa perché mai dissociatosi l'interessato dal clan malavitoso di appartenenza in riferimento alla confisca del bene sito in via omissis , infondate si appalesano le doglianze dell'I. , giacché l'investimento relativo a tale immobile non è giustificato in rapporto all'ammontare dei redditi risultanti dagli accertamenti eseguiti dalla DIA l'immobile, originariamente composto dal solo piano terra e donato dal padre al figlio ricorrente, è stato ristrutturato nel 1992 con la elevazione di tre piani fuori terra il cui valore è stato stimato dall'ufficio tecnico comunale in Euro 10.000 dal 1999 al 2007 i redditi familiari del ricorrente sono stati esigui e comunque insufficienti, detratta la spesa familiare annua, a giustificare l'acquisizione in parola nel 1992 il reddito accertato è stato pari a lire 1660,584 le conclusioni dette non sono inficiate dalle argomentazioni difensive affidate ad una consulenza tecnica, secondo la quale il valore della ristrutturazione non supererebbe gli otto milioni di lire, al risarcimento assicurativo liquidato al coniuge del ricorrente ed alla consulenza tecnica sui redditi familiari collegati alla produttività dei terreni agricoli il ricorrente ed il padre sono notoriamente coltivatori diretti le consulenze tecniche di parte non sono attendibili e non c'è prova della effettiva produttività dei terreni infatti negata dalla DIA anche l'autoconsumo invocato per abbattere i costi della vita quotidiana e la convivenza con i genitori, non appaiono provati e comunque determinanti anche i quindici milioni del risarcimento familiare non consentono di ritenere superato il rilievo della sproporzione reddituale rispetto al bene neppure provata è la circostanza che la ristrutturazione dell'immobile è stata eseguita dal padre del ricorrente nel 1985 e non nel 1992 non potendosi ritenere come prova la testimonianza del confinante Di Grado. In riferimento all'appello del Procuratore della repubblica avverso la mancata confisca del magazzino posto in via omissis , di mq. 92, di un secondo magazzino posto al medesimo numero civico e del fabbricato di via omissis , di cinque vani, riteneva, viceversa, la corte di appello di accoglierlo sul rilievo che, pur avendo l'I. provato l'acquisizione nell'anno 1996 di vari prestiti per un totale di Euro 79.457.411, cionondimeno ha il medesimo dovuto versare, quale debitore di tali somme, ratei di rimborso per capitale ed interessi superiori ai redditi accertati i rilievi difensivi sul punto, affidati alla consulenza tecnica di parte, fondati soprattutto sulla produttività dei terreni agricoli, non sono provati gli altri introiti familiari affitto immobile via , stipendio di insegnante della moglie, cessione immobile, indennità espriopriative non appaiono idonei ad immutare la situazione. 2. Ha proposto ricorso avverso tale decreto l'I. , con l'assistenza dei difensori di fiducia, chiedendone l'annullamento giacché viziato, secondo difensiva prospettazione, da violazione di legge art. 2-ter L. 575/1965 anche per l'apparenza della motivazione. 2.1 Denuncia, in particolare, la difesa ricorrente ciò di cui si tratta sono modestissimi beni immobili siti in uno comune siciliano di assai contenute dimensioni sperduto nell'entroterra siciliano, beni acquisiti grazie al lavoro nei campi del padre del ricorrente, del ricorrente medesimo e del lavoro di insegnante di scuola pubblica della moglie gli I. sono da sempre lavoratori agricoli che per questo hanno goduto delle pubbliche provvidenze previste, anche a fondo perduto va preliminarmente annotato che la contestazione a carico del ricorrente fa riferimento all'appartenenza a sodalizio mafioso, ma nulla contesta come reati fine, nulla contesta, in particolare, in relazione a fatti estorsivi va inoltre segnalata la sproporzione logica tra il ruolo ricoperto per l'accusa dal ricorrente, capo mandamento, e l'assoluta modestia dei beni confiscati, peraltro in parte sicuramente rinvenienti da donazioni paterne, come ammesso dallo stesso arcigno giudice della prevenzione e certamente acquisiti nel corso di molti anni va inoltre denunciata la forte discrasia temporale tra il tempo delle acquisizioni immobiliari, dal 1984 al 1996, e quello riferibile alla ritenuta pericolosità sociale, di molto successiva e collegata ad intercettazioni del 2008 e del 2009 alla fattispecie si applica la normativa previgente al recente codice antimafia tanto in forza dell'art. 117 di esso eppertanto la novella del 2008 d.l. 92/2008 che svincolando la misura patrimoniale da quella personale, in una prospettiva di reciproca autonomia, ha però introdotto un maggior rigore probatorio quanto ai requisiti della confisca è ora richiesta da parte del sottoposto non più una prova diabolica della provenienza dei beni, ma un più praticabile onere di giustificazione deve altresì osservarsi che, ai fini di causa, per reddito congruo non può intendersi quello dichiarato ai fini fiscali ma anche quello collegato alla propria attività economica, compreso finanche quello rinveniente da infedeltà fiscale sul punto è pacifica la giurisprudenza formatasi sull'art. 12-sexies d.l. 306/1992 sulle tre piccole elevazioni di Via la corte ha ritenuto non credibile la testimonianza del vicino, il quale ha riferito che le sopraelevazioni risalgono ai primi anni '80 e sono state eseguite dal padre del ricorrente la motivazione sul punto è apodittica e non tiene conto a della scrittura privata originale del 17.12.1984 esibita dal teste, che sanciva per la sopraelevazione i reciproci rapporti, b che questo prova la realizzazione non già nel 1992, come affermato nel decreto, ma molto prima e ad opera del padre del ricorrente, c che le sopraelevazioni erano abusive e per esse è stata chiesta la sanatoria nel 1992 ed allegando il modulo municipale contenente la domanda in cui si afferma che le opere sono state eseguite prima del 1992 e non già nel 1992 come erroneamente affermato nel decreto il bene è stato, pacificamente, donato dal padre al figlio di qui la piena e chiara giustificazione della provenienza legittima del bene sulla casa di via invece la famiglia del ricorrente ha sempre vissuto presso i genitori questo abbatte di molto le spese di vita quotidiana in più a tal proposito, si deve tener conto del contesto di luogo non si può paragonate il costo della vita a Palermo o Catania con quello di un piccolo centro dell'entroterra siciliano che la famiglia è fatta da agricoltori e che c'è da considerare una forte componente di autoconsumo la corte palermitana ha ignorato la vendita da parte della madre del ricorrente di una casa a Palermo per Euro 120.000,00 la corte di merito ha del tutto svilito i redditi agricoli percepiti dalla famiglia Imborbone, da sempre impegnata nel lavoro dei campi la moglie del ricorrente ha percepito un risarcimento assicurativo di Euro 22.500,00 e non già di soli 15.000 Euro come erroneamente indicato dalla corte territoriale non risulta considerato il canone locativo percepito per gli immobili di via . In data 1 ottobre 2013 il ricorrente ha fatto pervenire una corposissima memoria personalmente redatta, sostanzialmente confermativa del ricorso principale ancorché arricchita di dati numerici e riferimenti quantitativi più diffusi, peraltro ribaditi con altre due memorie. Ancora in data 12 febbraio 2014 sono state depositate, a cura della difesa, note di replica alla requisitoria scritta del P.G., sostanzialmente ripercorrendo il percorso logico del ricorso principale con l'intento di dimostrare l'erronea valutazione di inammissibilità delle richieste del rappresentante della pubblica accusa rispetto a censure volte ad evidenziare l'apparenza della motivazione e la pretermissione da parte dei giudicanti di decisive allegazioni, anche documentali, della difesa. 2. Il ricorso è fondato. 2.1 Nel procedimento in esame il ricorso per cassazione, come è noto, è ammesso soltanto per violazione di legge secondo disposto dell'art. 4 co. 10 L. 27.12.1956, n. 1423, richiamato dall'art. 3 ter, co. 2 L. 31.5.1965, n. 575, violazione di legge difensivamente denunciata, nella fattispecie, nelle forme della motivazione apparente, ipotesi questa che ricorre quando, a sostegno della decisione, vengono svolte argomentazioni formalmente logiche ma sostanzialmente di puro genere, apodittiche, ovvero non coerenti con le risultanze processuali, perché svilite circostanze oggettivamente decisive, ignorate acquisizioni istruttorie rilevanti ai fini di causa, ovvero ancora palesemente travisato il significato delle allegazioni processuali, di guisa che il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata si risolva in una fittizia rappresentazione di ragioni per questo inesistenti Cass., Sez. V, 19/05/2010, n. 24862 Cass., Sez. VI, 01/03/1999, n. 6839 rv. 214308 . È quanto è dato agevolmente rilevare nel caso in esame. 2.2 In riferimento all'immobile di via omissis , ad avviso del Tribunale bene nella esclusiva e certa disponibilità dominicale del ricorrente, il giudice territoriale ha apoditticamente negato credibilità al confinante, il quale ha riferito che le sopraelevazioni della originaria proprietà paterna la circostanza non è negata neppure dai giudici di merito risalgono agli anni '80 e furono opera dell'allora proprietario, dichiarazione, questa, corroborata inequivocabilmente dall'originale dell'accordo all'epoca sottoscritto tra confinanti e cioè tra il teste ed il padre del ricorrente scrittura privata del 17.12.2984 di qui la prova che le sopraelevazioni furono eseguite effettivamente abusivamente dal padre del ricorrente nell'epoca da questi indicata, come peraltro ulteriormente riscontrato dalla sanatoria dell'abuso conseguita nel 1992 su immobile necessariamente risalente ad epoca antecedente, per di più collocato in area urbana del tutto priva di pregio attesa la municipalità sperduta, nel cuore di area siciliana particolarmente povera, nel cui ambito territoriale insiste. Dovrà pertanto valutare il tribunale, in sede di rinvio, se la donazione paterna del bene in tal guisa realizzato possa o meno consentire l'acquisizione legittima e giustificata di esso nel patrimonio del ricorrente e se tale presupposto in fatto consenta o meno una legittima confisca di prevenzione. 2.3 Quanto invece agli immobili di Via , non può non rilevarsi l'ingiustificata omissione da parte della corte territoriale ai fini della valutazione del rapporto giustificativo del provvedimento patrimoniale di prevenzione, di redditi importanti dei quali va tenuto conto per correttamente determinare la capacità reddituale del soggetto a carico del quale la confisca viene disposta. In primo luogo del tutto ingiustificata si appalesa la cancellazione da parte della corte territoriale dei redditi agricoli del ricorrente e della sua famiglia di origine, cancellazione fondata sulla sconcertante argomentazione che non risulterebbero provati e che sarebbero stati negati dalla DIA, non si conosce per quali ragioni. Il ricorrente ed il padre da sempre conducono terreni agricoli detenuti in proprietà e dalla natura delle relative colture se si produce olio nel 2000 è più che verosimile che lo si sia prodotto nei vent'anni precedenti è possibile e nel caso di specie doveroso con buona approssimazione dedurre il reddito effettivo conseguito annualmente da quella coltivazione e nel caso in esame non può eliminarsi dalla delibazione giudiziale di competenza un introito reddituale tanto importante quanto certo e decisivo ai fini della decisione. Neppure hanno considerato i giudici territoriali il reddito di insegnante percepito dalla moglie del ricorrente, l'intero importo del risarcimento del danno percepito, sempre dal coniuge, da compagnia assicurativa, pari ad Euro 22.000,00 e non già al minore importo indicato nel decreto 15.000,00 , il rilevante prezzo di vendita conseguito dalla madre del ricorrente per la vendita di un immobile per civile abitazione posto in Palermo, i canoni locativi percepiti per il godimento da parte di terzi del bene confiscato, tutte voci alle quali la difesa ha affidato approfondite delibazioni difensive frettolosamente liquidate in sede di merito, al pari delle ragionevoli argomentazioni della parte in ordine ai contenuti costi della vita in una famiglia di agricoltori in uno sperduto comune dell’entroterra siciliano. Il tutto nella prospettiva, accertata nella fase di merito, che gli immobili in discorso furono acquistati con somme legittimamente mutuate e che la valutazione del giudice di prevenzione deve pertanto attenere alla possibilità di onorare le rate annuali di mutuo e nulla più. Il giudizio sul punto espresso dalla corte territoriale, in quanto incoerente con le circostanze oggettive innanzi sintetizzate, perché ignorate ovvero perché indebitamente svilite, si appalesa come tipicamente apparente, con la conseguenza che deve essere esso annullato con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo, affinché provveda a nuovo esame della vicenda processuale alla luce dei rilievi innanzi esposti e di una esauriente delibazione delle diffuse ragioni difensive. In tale contesto sarà cura del giudice di rinvio completare il proprio giudizio di prevenzione considerando altresì l'epoca dell'acquisizione patrimoniale e quella in cui ebbe a manifestarsi inizialmente la pericolosità del ricorrente P.Q.M. la Corte, annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Palermo.