Dolo diretto e tentativo sono compatibili tra loro?

Integra il reato di tentato omicidio a titolo di dolo alternativo diretto la condotta di chi, rappresentandosi in maniera certa o altamente probabile il ferimento e la morte della vittima quali conseguenze alternative, insiste nel suo intento criminoso accettando entrambi gli eventi lesivi con atteggiamento di indifferenza per l’uno o l’altro.

Lo ha stabilito la sez. I Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 17591, depositata il 22 aprile 2014. La vendetta dell’ex fidanzato. Nel caso di specie un uomo, di nazionalità albanese, è stato sottoposto ad un procedimento penale per i reati di tentato omicidio aggravato dai futili motivi artt. 56, 575, 577, comma1, n. 4, e 61, n. 1, c.p. , detenzione e porto in luogo pubblico di arma comune da sparo artt. 2 e 4, l. n. 895/1967 e falso per contraffazione di una patente di guida artt. 482 e 477 c.p. . In dettaglio, il rimprovero mosso nei confronti dell’imputato è stato quello di aver attentato alla vita di un suo connazionale, reo di avergli sottratto la compagna, facendo esplodere contro di lui - a distanza di pochi metri - tre colpi dall’arma da fuoco detenuta che hanno attinto l’addome e una gamba della vittima. All’esito del giudizio di prime cure, celebratosi con giudizio abbreviato, l’imputato è stato condannato per i reati a lui ascritti, essendo, secondo il Tribunale, pacifica la volontà omicidiaria del soggetto agente. La Corte d’appello, in sede di gravame, sebbene ritoccando in favor la pena comminata in primo grado, ha confermato il giudizio di reità della condotta serbata dall’albanese a nulla rilevando le censure mosse dalla difesa nei confronti della ricostruzione della vicenda offerta dal Tribunale. Censure che, tradottesi in motivi di legittimità, sono state riproposte all’attenzione degli Ermellini, peraltro con riferimento al solo delitto di omicidio. Dolo diretto o eventuale? In particolare, la difesa dell’imputato ha evidenziato l’erroneità della sentenza emessa dalla Corte territoriale nella parte in cui i giudici di appello ebbero ad attribuire l’omicidio tentato a titolo di dolo diretto, tralasciando la disamina del movente e - prima ancora - del dispiegarsi effettivo della condotta. Questa, ad avviso della difesa, non sarebbe stata diretta a cagionare la morte della persona offesa, bensì a punirla - ancorchè severamente - per la sottrazione dell’amante. Ed invero, la stretta vicinanza alla vittima in uno alle parti corporali - non vitali - attinte dai proiettili rappresentavano fattori ostativi all’intenzionalità omicidiaria, sicché il fatto di reato poteva, al più, essere imputato a titolo di dolo eventuale, e tuttavia notoriamente incompatibile con la fattispecie tentata. Il dolo diretto è compatibile con la fattispecie tentata. I giudici della Suprema Corte, nel pronunciarsi sulla vicenda, hanno confermato il dictum della sentenza censurata, facendo ordine sugli istituti che governano l’elemento subiettivo della condotta di reato. Sebbene, nel caso concreto, fosse da escludere l’intenzionalità, rectius il dolo intenzionale del fatto di reato, gli Ermellini hanno confermato la sussistenza del dolo diretto, sottolineando la piena compatibilità di questo con la fattispecie tentata. Una cosa è il piano volitivo, id est l’intensità del dolo tradizionalmente ripartita - tanto in giurisprudenza quanto in letteratura - tra dolo intenzionale, diretto ed eventuale , altro è il piano rappresentativo, cioè l’insieme delle conseguenze che il soggetto agente è certo o quasi possano discendere dal fatto di reato. Con riferimento al piano rappresentativo – si osserva – estrema importanza assume la manifestazione del dolo diretto nelle forme del dolo alternativo, che si ha quando il soggetto vuole, con scelta sostanzialmente indifferente o equipollente , l’uno o l’altro degli eventi lesivi causalmente collegabili al suo comportamento cosciente e volontario. Morte o ferimento è indifferente tentato omicidio. Ebbene, nel caso di specie, tenuto conto delle modalità con cui si era svolta l’aggressione, il grave ferimento e la morte apparivano quali conseguenze tra loro, per l’appunto, alternative, sicché bene i giudici territoriali avevano confermato la condanna per omicidio tentato sul presupposto che l’imputato, rappresentandosi con certezza i due eventi lesivi, aveva accettato l’astratta verificazione di entrambi. Per l’effetto la condanna è stata confermata con aggravio della soccombenza sulle spese legali del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 gennaio – 22 aprile 2014, n. 17591 Presidente Siotto – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. H.A. di nazionalità albanese impugna innanzi a questa Corte per il tramite dei suoi due difensori la sentenza del 27 settembre 2012, con la quale la Corte d'appello di Roma ha ridotto da anni 11 ad anni 9 di reclusione la pena complessiva inflittagli dal G.U.P. del Tribunale di Roma col rito abbreviato il 6 giugno 2011 per i seguenti tre reati, dei quali solo i primi due riuniti col vincolo della continuazione 1 - tentato omicidio aggravato dal motivo futile in danno del connazionale N.E. , da lui colpito con tre colpi d'arma da fuoco che lo avevano attinto all'addome ed alla coscia sinistra, avendo in tal modo commesso atti idonei, diretti in modo non equivoco a cagionarne la morte, intento non perseguito per cause indipendenti dalla sua volontà artt. 56, 575, 577 comma 1 n. 4, 61 n. 1 cod. pen. 2 - illecita detenzione e porto in luogo pubblico di un'arma comune da sparo, con l'aggravante di avere commesso il fatto al fine di commettere il delitto che precede artt. 61 n. 2 cod. pen., 2 e 4 legge n. 895 del 1967 3 - formazione di una patente di guida albanese totalmente falsa, avendo apposto sul relativo modulo la propria foto ed avendo contraffatto i timbri del documento artt. 482, 477 cod. pen. . 2. La Corte d'appello di Roma è pervenuta all'anzidetta riduzione di pena avendo escluso dal delitto sub 1 l'aggravante della premeditazione ed avendo altresì ridotto l'aumento di pena a titolo di continuazione per i due reati in materia di armi, determinandolo in mesi 6 di reclusione per ciascuno di essi, si che alla pena base di anni 12 di reclusione prevista per il primo reato, ai sensi dell'art. 56 comma 2 cod. pen., è stata aggiunta l'ulteriore pena di anni 1 di reclusione a titolo di continuazione, in tal modo determinandosi la pena complessiva in anni 13 di reclusione, ridotta per il rito abbreviato ad anni 8 e mesi 8 di reclusione. A tale ultima pena è stata aggiunta quella di mesi 4 di reclusione per il reato di falso contestatogli sub 3, si che la pena finale a carico dell'imputato è stata determinata in complessivi anni 9 di reclusione. 3. Il tentato omicidio è avvenuto in omissis , nella notte fra il omissis N.E. , di nazionalità albanese, si trovava a bordo della sua auto BMW ferma sul ciglio della strada, ovvero mentre procedeva a passo d'uomo, seduto al lato guida, in compagnia di B.A. , giovane donna di nazionalità rumena, asseritamente sua fidanzata, allorché la sua auto era stata affiancato da una Ford Ka, guidata dall'imputato quest'ultimo aveva rallentato l'andatura del suo veicolo e, giunto all'altezza della sua auto in sosta, gli aveva esploso contro tre colpi di pistola in rapida successione da distanza ravvicinata, stimata nell'ordine di 2 metri, che avevano colpito il N. all'addome ed alla coscia sinistra. Il movente del tentato omicidio era da ricercare nella rivalità fra i due uomini per la gestione della donna rumena, la quale aveva abbandonato l'imputato, avendo preferito la compagnia della vittima. 4. H.A. deduce due doglianze I - erronea applicazione della legge penale e motivazione carente e contraddittoria, in quanto la sentenza impugnata aveva escluso nel suo comportamento la sussistenza di un dolo intenzionale ed aveva ritenuto che egli si fosse rappresentato come eventuale la morte della vittima e che, pur di portare a compimento la sua azione e perseguire il suo intento, aveva accettato l'evento morte il che costituiva motivazione contraddittoria, in quanto l'omicidio tentato del N. avrebbe dovuto comportare che l'evento letale fosse stato da lui accettato non come dato eventuale, ma evento previsto come certo ovvero altamente probabile. Sussisteva poi un errore di prospettiva nella sentenza impugnata, per non avere essa esaminato l'intero quadro della vicenda, al fine di accertare l'elemento psicologico che aveva caratterizzato il suo agire. Non era stato indicato il movente che lo aveva determinato ad agire, essendo stato solo rilevata l'adeguatezza causale del suo agire, la quale era solo un presupposto per dichiararlo colpevole del delitto tentato in esame, essendo altresì richiesto, per la sua punibilità, l'univocità degli atti rispetto all'intento omicidiario, inteso come rappresentazione dell'evento ed accettazione del relativo rischio. Non era possibile desumere dal solo svolgimento dei fatti l'esistenza di una sua volontà di uccidere, essendo altresì richiesto che i fatti fossero stati analizzati nella loro completezza il che nella specie non era avvenuto, non avendo la sentenza impugnata rilevato che egli, trovandosi vicinissimo al bersaglio, avrebbe potuto mirare alle parti vitali visibili della vittima che, essendo le due auto affiancate a bassa velocità, egli avrebbe potuto mirare senza approssimazioni che il secondo ed il terzo colpo erano stati da lui univocamente sparati verso il basso che egli non aveva scaricato l'intero caricatore della sua pistola che i cristalli dell'auto della vittima erano rimasti intatti. Dall'esame completo della fattispecie concreta non era dunque desumibile una sua univoca intenzione di uccidere, anche perché uno solo dei tre colpi di pistola da lui esplosi era stato idoneo a causare l'evento morte II - insussistenza dell'aggravante dei motivi abietti e futili, avendo la stessa sentenza impugnata ammesso che il movente del tentato omicidio ascrittogli era rimasto oscuro ora sebbene con i motivi di appello egli non avesse contestato la sussistenza dell'aggravante in esame, trattavasi pur sempre di un rilevante errore di diritto, che aveva inficiato l'impostazione dell'intera sua vicenda processuale. Considerato in diritto 1. È infondato il primo motivo di ricorso proposto da H.A. . 2. Con esso il ricorrente lamenta l'insussistenza nel suo comportamento del dolo omicidiario, tale da consentire la sua condanna per il delitto di cui agli artt. 56, 575 cod. pen Va al contrario rilevato che la motivazione addotta dalla Corte territoriale per ritenere la sussistenza nel comportamento tenuto dal ricorrente dell'elemento psicologico del dolo omicidiario appare incensurabile nella presente sede, siccome immune da vizi logici e da contraddizioni. Esso è stato correttamente qualificato dalla sentenza impugnata come dolo diretto, nella sua manifestazione nota come dolo alternativo, che si ha quando, come nel caso in esame, il soggetto attivo prevede e vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l'uno o l'altro degli eventi alternativi causalmente collegabili al suo comportamento cosciente e volontario e cioè, nella specie, la morte ovvero il grave ferimento della vittima e la giurisprudenza di questa Corte è concorde nel ritenere che il dolo diretto, nella sua manifestazione nota come dolo alternativo, è compatibile con l'omicidio tentato cfr., in termini, Cass. 1^ 20.10.97 n. 9949 Cass. 1A 25.5.07 n. 27620 . 3. I giudici di merito hanno desunto la sussistenza dell'anzidetto dolo omicidiario correttamente avendo valorizzato le concrete modalità della condotta da lui tenuta e precisamente - l'avere il ricorrente usato come strumento di offesa una potente arma da fuoco e cioè una pistola semiautomatica calibro 7,65 pienamente funzionante e della cui micidialità non è dato dubitare - l'avere il ricorrente esploso ben tre colpi in rapida successione con la pistola anzidetta mentre con la sua autovettura stava superando a bassissima velocità l'auto della vittima e quindi a distanza molto ravvicinata, mirando alla parte alta dello sportello anteriore sinistro, in corrispondenza della zona toracica ed addominale della vittima, ben essendo consapevole che la forza d'impatto dei proiettili esplosi era tale da superare la lamiera dello sportello e da attingere il corpo della vittima in particolare il primo di tali colpi, che ha colpito fortuitamente la maniglia della portiera anteriore sinistra dell'auto in cui si trovava la vittima, aveva avuto un andamento quasi orizzontale ed una distanza dal suolo pari a cm. 81,5 aveva pertanto avuto una direzione tale che, se non avesse incontrato l'ostacolo della maniglia e della lamiera dell'auto, avrebbe senz'altro colpito la vittima in piena zona toracica con esito letale - l'essere stati tutti e tre i colpi esplosi dal ricorrente orientati verso il tronco della vittima, che sedeva al lato guida del veicolo colpito di essi, uno era stato, come sopra detto, fortunosamente trattenuto dalla maniglia della portiera, mentre gli altri due avevano forato lo sportello dell'auto, penetrando uno nell'addome ed un altro nella coscia sinistra della vittima. Correttamente pertanto la sentenza impugnata ha rilevato sia la sussistenza dell'idoneità dell'azione commessa dal ricorrente a procurare la morte della persona offesa, intesa come sua capacità causale a produrre l'evento morte, in quanto il primo colpo di pistola, se non fosse stato trattenuto dalla maniglia della portiera, avrebbe avuto esito letale, sia l'univocità di detta azione a cagionare detto evento letale, con la specificazione, già in precedenza illustrata, che il dolo ravvisabile nel comportamento del ricorrente è quello alternativo, essendosi egli rappresentato sia l'eventualità che dal suo comportamento derivassero lesioni per la parte offesa, sia che, da esso, conseguisse la morte della stessa, avendo accettato entrambi detti esiti come alternativamente possibili. La motivazione addotta dai giudici di merito per ritenere la sussistenza, nel comportamento del ricorrente, del dolo omicidiario sotto la forma del dolo alternativo nei confronti di N.E. è pertanto pienamente condivisibile, siccome immune da illogicità e contraddizioni cfr., in termini, Cass. 2^ 23.5.07 n. 23419 . 4. È poi inammissibile ai sensi dell'art. 606 comma 3 cod. proc. pen. il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta l'insussistenza nel suo comportamento dell'aggravante del motivo abietto e futile. Come invero ammesso dallo stesso ricorrente e com'è desumibile dagli atti di causa, non risulta che la censura anzidetta rientri fra i motivi di appello proposti innanzi alla Corte territoriale. 5. Il ricorso proposto da H.A. va pertanto respinto, con sua condanna, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.