Aggredisce un uomo alle spalle avvalendosi di un tubo metallico mentre la vittima è distratta a chiacchierare con amici … se non è atto inequivoco questo

Picchiare violentemente e insistentemente con modalità micidiali la testa della vittima è condotta che comporta la necessaria rappresentazione psicologica e volitiva dell’alternativa, indifferente per l’aggressore, di procurare effetti gravemente lesivi oppure esiziali per la vita dell’aggredito.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 17598/14 della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 22 aprile. Il caso. La vittima predestinata era un rivale con il quale l’aggressore aveva avuto accesi diverbi e che, a sua volta, due giorni prima dell’episodio di tentato omicidio, aveva schiaffeggiato in pubblico l’attuale imputato a causa di precedenti diatribe. Gli esiti processuali avevano ricostruito la vicenda come segue la vittima si trovava nel parcheggio di un supermercato e stava chiacchierando con alcuni amici a bordo di un’autovettura quando l’aggressore, dopo essere sopraggiunto a gran velocità con un’auto di grossa cilindrata, si avvicinava a piedi alle spalle della vittima impugnando un tubo metallico di circa 50-70 cm e sferrando un colpo alla testa. Ad essere colpita era però la zona orbitaria sinistra del volto in quanto, in pochi secondi, l’amico a bordo dell’auto avvertiva dell’arrivo dell’aggressore e la vittima spontaneamente si era voltata, evitando un fatale colpo alla nuca. Ma la furia dell’aggressore non si placava, anzi. Dopo il primo colpo l’aggressore aveva continuato a colpire la vittima alla testa nonostante le grida di dolore e l’accasciamento a terra. Intervento di terzi. Ad interrompere la sequenza violenta, non senza difficoltà, intervenivano gli amici e alcuni dipendenti del supermercato che avevano assistito alla scena, impedendo che l’aggressore continuasse ad infierire sulla vittima ormai incapace di difendersi dalla furia omicida. Gravi lesioni. Alla vittima venivano diagnosticate lesioni importanti scoppio del bulbo oculare che ne comprometteva la funzione visiva, frattura pluriframmentaria delle pareti laterali del tetto dell’orbita e del braccio sinistro. Lesioni o tentato omicidio? La difesa aveva cercato di accreditare la tesi che escludeva la volontà omicidiaria degradando la condotta come animata da mera volontà di aggredire e ferire. Tale tesi valorizzava il mancato ritrovamento dell’arma e, dunque, la mancata prova della sua micidialità, nonché la mancata prova della direzione univoca degli atti realizzati dall’aggressore. La questione si gioca tutta sul campo dell’elemento soggettivo, in quanto gli atti realizzati erano idonei sia alla lesione che all’omicidio. Quanto all’univocità degli atti occorre invece guardare alla direzione teleologica della volontà dell’agente che emerge dalle modalità di estrinsecazione concreta dell’azione. Dolo omicidiario È principio cristallizzato quello per cui l’esistenza del dolo omicidiario animus necandi può essere riconosciuto tramite un procedimento logico d’induzione da fatti certi”, quali mezzi utilizzati, direzione e intensità dei colpi, distanza dal bersaglio, parte del corpo attinta. e tentativo. Nella più circoscritta area del tentativo, per valutare la sussistenza del dolo rileva l’idoneità dell’azione, apprezzata in concreto con prognosi ex ante, cioè come la situazione si presentava al colpevole al momento dell’azione, in base alle condizioni prevedibili del caso particolare. Nel caso al vaglio della Corte, la qualità e la natura dell’azione, in concreto, consumata dall’imputato si mostravano sintomatiche del fine omicidiario, esito impedito solo grazie all’intervento di soggetti terzi testimoni dell’aggressione che avevano cercato di interrompere la furia omicida dell’imputato e prestato i soccorsi alla vittima. Il più grave delitto preso di mira dall’aggressore non si realizzava per ragioni estranee alla volontà dell’agente. Secondo i giudici, l’agente che picchia violentemente e insistentemente con una sbarra metallica la testa della vittima si rappresenta necessariamente l’alternativa di procurare, indifferentemente, effetti gravemente lesivi oppure esiziali per la vita dell’aggredito. Nello specifico, si parla di dolo diretto alternativo quando l’agente prevede e vuole, in modo alternativo ma equipollente rispetto alla sfera psicologica, la morte o il grave ferimento della vittima. Arma micidiale, violenza e ripetitività dei colpi, zona vitale attinta non c’è dubbio, è tentato omicidio. Costituisce tentato omicidio quello realizzato con un’aggressione avvalendosi di un’arma idonea ad offendere a seconda della zona del corpo attinta dall’arma e della profondità/gravità della ferita inferta. Tale è quanto ricostruito dai giudici di merito grazie ai quattro testi oculari sentiti nel corso delle indagini preliminari che avevano reso dichiarazioni sostanzialmente collimanti riguardo i punti rilevanti dell’aggressione, specie riguardo allo strumento utilizzato per offendere che era stato descritto in modo omogeneo da tutti. L’aggravante della premeditazione. Nel caso concreto venivano riconosciuti gli elementi costitutivi della premeditazione. Sussisteva un apprezzabile intervallo di tempo tra l’insorgenza del proposito e l’attuazione del crimine elemento cronologico , necessario per verificare la possibilità di una ponderata riflessione sull’opportunità del recesso, non avvenuto nel caso si specie. Inoltre, sussisteva l’elemento di natura ideologica, vale a dire la ferma risoluzione criminosa perdurante nell’animo dell’agente fino alla commissione della violenza. Risultava, infatti, che l’aggressore aveva portato con sé l’arma ed aveva raggiunto con l’auto la vittima. La minaccia di ritorsione è elemento sintomatico della premeditazione. La premeditazione andava collegata anche all’episodio precedente in cui la vittima aveva schiaffeggiato l’imputato il quale lo aveva minacciato proferendo la frase poi te la farò vedere io .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 febbraio – 22 aprile 2014, n. 17598 Presidente Siotto – Relatore Bonito Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Il GIP del Tribunale di Catania, all'esito di giudizio abbreviato, condannava alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione L.F.A. , imputato del reato di tentato omicidio, aggravato dalla premeditazione, in danno di M.A. , colpito con un tubo metallico al capo ed in altre parti del corpo in omissis . A sostegno della decisione il giudicante valorizzava, con gli esiti medico - sanitari del ricovero ospedaliere della vittima, le dichiarazioni testimoniali rese nel corso delle indagini preliminari da P.T. , convivente della vittima, A.S. e D.F.S. i quali, presenti per ragioni di lavoro sul luogo degli accadimenti, il piazzale antistante un supermercato, intervennero per fermare l'aggressione dell'imputato, F.M. e Pa.Da. , occupanti dell'autovettura con i quali la vittima stava discorrendo quando venne colpita dall'imputato. In forza del quadro istruttorio innanzi sintetizzato, il giudice di prime cure ricostruiva la vicenda come segue tra l'imputato e la vittima non correvano da tempo buoni rapporti per l'atteggiamento spesso sfrontato ed arrogante del primo nei confronti dell'altro e della sua compagna, tanto che, in seguito all'ennesima provocazione, il M. aveva affrontato il rivale schiaffeggiandolo in pubblico due giorni dopo questo episodio l'imputato, armato di un tubo metallico, per alcuni testimoni una spranga di ferro, di circa 50, 70 cm., aveva aggredito proditoriamente il M. mentre questi si trovava davanti ad un supermercato intento a parlare con gli amici F. e Pa. là pervenuti a bordo di una autovettura dopo un primo colpo violentissimo che aveva colpito la vittima alla zona orbitaria sinistra facendola accasciare dapprima sull'autovettura dei due amici eppoi a terra, l'imputato avrebbe continuato a colpire nonostante la vittima gridasse per il dolore indirizzando i colpi alla testa fino all'intervento di terzi, tra i quali il D.F. e l'A. , si ribadisce sul luogo per ragioni di lavoro ricoverato di urgenza in ospedale alla vittima sono state diagnosticate le seguenti lesioni scoppio del bulbo oculare con grave compromissione della funzione visiva, frattura plurifammentaria delle pareti laterali del tetto dell'orbita e del braccio sinistro con frattura composta al terzo medio diafisario dell'ulna. Criticamente valutate le circostanze, le lesioni cagionate, le modalità dell'azione, l'arma utilizzata, il movente dell'aggressione, il giudice di prime cure concludeva per la colpevolezza dell'imputato in relazione al reato contestatogli. 2. Impugnava in appello la sentenza l'imputato, chiedendo la riqualificazione della condotta nel reato di lesioni aggravate, l'esclusione dell'aggravante della premeditazione ed il riconoscimento dello stato d'ira per il fatto ingiusto altrui e la corte adita, con sentenza del 30 gennaio 2013, riduceva la pena inflitta ad anni otto di reclusione confermando nel resto la decisione di prime cure e le argomentazioni articolate a sostegno. 3. Ricorre per cassazione avverso detta sentenza di secondo grado l'imputato, assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse sviluppa due motivi di impugnazione. 3.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione di legge artt. 43, 56 e 575 c.p. e difetto di motivazione in particolare osservando la sentenza del Collegio si è limitata ad una generica indicazione di dati indiziali a carico dell'imputato, in assenza di una loro approfondita valutazione la stessa ricostruzione del fatto operata sulla base di dichiarazioni rese da parte di persone informate sui fatti si appalesa censurabile per le contraddizioni insite nel racconto degli accusatori la tesi difensiva secondo cui l'imputato non agì spinto da animus necandi , di guisa che la sua condotta andava ascritta al reato di lesioni personali, tesi accreditata dallo stesso GIP della misura cautelare che in tal guisa qualificò l'azione delittuosa, trova una prima conferma nella diagnosi di ingresso nell'ospedale di Catania dove, ad esempio, non fu rilevata la frattura dell'avambraccio, al momento diagnosticata come contusione i giudici hanno dato credito, su di esse articolando la motivazione di condanna, alle dichiarazioni istruttorie, per nulla attendibili, di alcune persone informate sui fatti ed alla versione resa dalla P. , la quale prima imputò le lesioni ad un incidente, poi raccontò di essere stata presente all'aggressione ed infine ha affermato di aver raccontato la dinamica dell'aggressione medesima perché riferitale in modo particolareggiato da altri, presenti al momento il sillogismo della decisione non appare corretto perché incongrua la ricostruzione dei fatti in tal modo operata con le risultanze processuali l'arma del delitto, in primo luogo, decisiva per detta ricostruzione e le relative inferenze logiche, non è stata mai trovata e su di essa si registrano dichiarazioni contraddittorie tra le persone escusse alcuni hanno parlato di un tubo metallico di colore grigio di circa 50 cm., la teste An. , riferendo de relato , indica un tubo per ponteggi per la verità non indicato da A.S. da cui la medesima teste avrebbe appreso, altri ancora parlano di lungo tubo metallico cionondimeno la corte di merito, nonostante i rilievi difensivi sulle accennate incertezze, discetta con sicurezza di un pesante tubo metallico a sezione cilindrica lungo tra i 50 ed i 70 cm , attribuendogli elevata capacità offensiva e dando per certo un suo utilizzo con notevole forza le conclusioni del Collegio appaiono in contrasto con i dati processuali il referto del pronto soccorso, diversamente da quanto apoditticamente affermato dai giudicanti, non consente di dedurre forma e natura del corpo contundente quella diagnosticata è una ferita lacero contusa dell'arcata sopraccigliare con frattura del tetto dell'orbita, scoppio dell'occhio sinistro e frattura composta dell'ulna trattasi di zona corporea di minore resistenza ossea e gli esiti della violenza appena esposti non appaiono congrui con la motivazione accreditante il tentato omicidio quanto detto dimostra come sia errata la deduzione del Collegio territoriale tra tipologia del mezzo utilizzato, forza e direzione dei colpi e rapporto di causalità tra i singoli colpi inferti e le lesioni cagionate le ferite lacero contuse non richiamano, per natura e forma, l'arma, un tubo circolare, indicata dalla corte di merito la ferita in parola avrebbe potuto essere cagionata dalla caduta a terra della vittima e dall'impatto violento con il suolo della parte sinistra del suo volto la frattura composta dell'ulna, neppure rilevata al momento del ricovero e per questo prodotta da una azione non particolarmente violenta, non è coerente con un colpo inferto impugnando un tubo sferico che avrebbe lasciato altre impronte ed altri segni di qui la tesi difensiva secondo cui il M. è stato colpito all'avambraccio sinistro proteso a difesa, probabilmente, con un calcio o un pugno e, nel cadere a terra, ha battuto violentemente la regione zigomo-orbitaria sinistra con conseguenti lesioni come innanzi indicate, necessariamente frutto di azioni di superfici lisce e larghe, come un calcio ed il terreno di qui l'incongruenza logica delle ricostruzioni accusatorie dei giudici di merito quanto, più in particolare, alla contestazione di tentato omicidio, si rileva, a parte le considerazioni sulle ferite, che non è stata affatto provata la micidialità dell'arma, si ribadisce, mai trovata, presupposti questi che escludono la volontà di uccidere e confermano quella di aggredire e ferire le lesioni poi cagionate alla vittima non l'hanno mai posta in pericolo di vita e sono esse stesse non di gravità tale da estrinsecare un intento omicida neppure risulta provato la direzione univoca degli atti posti in essere dall'imputato, anch'essa integrante elemento idoneo ad evidenziare l'eventuale volontà omicida con l'atto di appello era stata sottoposta a critica la tesi accusatoria del dolo diretto alternativo in capo all'imputato, critica superata dal Collegio con l'affermazione che, per regola di esperienza, colpire più volte alla testa una persona con notevole forza può condurre ad esiti esiziali tale regola di esperienza è incongrua perché non acquisite certezze sulla dinamica dei fatti e comunque sull'arma usata non solo, per il dolo alternativo non è a regole siffatte che può farsi ricorso dappoiché necessario provare, e nel caso di specie non è stato provato, che l'agente agisca rappresentandosi ed accettando l'evento meno grave al pari di quello più grave nel caso di specie l'imputato non venne mai animato da una volontà omicida e comunque questo non è stato provato, quanto meno al di là di ogni ragionevole dubbio. 3.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente violazione di legge art. 577 c.p.p. ed illogicità della motivazione in relazione alla riconosciuta aggravante della premeditazione, in particolare osservando i giudici di merito hanno fondato l'aggravante in parola sulla causale dell'azione contestata, l'affronto subito dall'imputato con gli schiaffi subiti in precedenza dal M. , e sulla predisposizione del mezzo utilizzato, il tubo metallico la motivazione per questo articolata dai giudici territoriali non appare logica in relazione alle risultanze processuali innanzitutto né la causale, né il mezzo usato appaiono dati certi nel processo inoltre la premeditazione appare incongrua con una condotta consumata in pieno giorno ed in presenza di molte persone, circostanze queste che escludono qualsiasi macchinazione ed accreditano viceversa, sul piano logico, una condotta d'impeto e non già precedentemente preparata il tubo, mai ritrovato, non appare un'arma tipica, né mai l'accusa ha provato dove e quando ne sia venuto in possesso di qui la denunciata violazione di legge e l’incongruenza della motivazione impugnata. 4. Ritiene il collegio infondati i denunciati vizi di violazione di legge e manifestamente infondate le doglianze relative alla motivazione impugnata. 4.1 Prendendo le mosse da queste ultime giova preliminarmente rammentare che la funzione dell'indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l'intrinseca attendibilità dei risultati dell'interpretazione delle prove e di attingere il merito dell'analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Ne consegue che, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un'altra, ancorché altrettanto logica Cass. 5.12.02 Schiavone Cass. 6.05.03 Curcillo Sez. 4, n. 15227 dell'11/4/2008, Baratti, Rv.239735 cfr. in termini Cass. sez. 2^, sentenza n. 7380 dell'11/01/2007, dep. il 22/02/2007, Rv. 235716, imp. Messina Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061 . Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive, giacché volte le medesime, a fronte di un'ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente ritenuto con la sentenza impugnata. Ed invero, quanto alla ricostruzione dei fatti non appare ragionevole dubbio alcuno su quanto delibato dai giudici di merito, tenuto conto che ben quattro testimoni oculari dei fatti di causa sono stati sentiti nel corso delle indagini preliminari, offrendo resoconti sostanzialmente collimanti sui punti salienti dell'aggressione ai fini della decisione. Correttamente, pertanto, sul piano della logica e dell'uso processuale delle prove testimoniali raccolte, ha la corte di merito accreditato che l'imputato, sopraggiunto a gran velocità con un'auto di grossa cilindrata davanti al supermercato dove, ignaro, il M. stava parlando con i testi F. e Pa. , fermi sul loro automezzo, armatosi con un tubo metallico delle dimensioni di 50, 70 cm., evidentemente portato con sé sull'automezzo con il quale era sopragiunto la dinamica esclude ogni altra ipotesi aggredì il M. il quale, avvertito dall'urlo del F. , che aveva necessariamente notato il sopraggiungere dell'imputato alle spalle della vittima, girandosi prontamente evitò di essere colpito violentemente alla nuca, ma non potè evitare il colpo violentissimo al volto con le conseguenze poi diagnosticate e la perdita irreversibile dell'occhio sinistro. Come confermato da tutti i testi oculari, nonostante l'effetto devastante di quel primo colpo, l'imputato ne portò almeno altri due, uno dei quali causa della frattura dell'ulna avendo colpito il braccio proteso della vittima nel tentativo di ripararsi, tentando poi in tutti i modi di liberarsi dalla presa degli amici della vittima e dei testi D.F. ed A. intervenuti per fermarne la violenza. Senza l'intervento detto, pertanto, l'imputato avrebbe continuato ad infierire sulla povera vittima ormai non in grado di difendersi. Di qui, altresì, l'assoluta inverosimiglianza delle tesi difensive riproposte in questa sede nel contesto delle censure sulla motivazione, quanto ai dubbi sullo strumento usato omogeneamente descritto da tutti i testi oculari e quanto alla possibilità di ferite cagionate con pugni o calci e stramazzando a terra. 3.2 Occupandoci ora della qualificazione giuridica del fatto, rileva il Collegio che la motivazione impugnata appare non soltanto giuridicamente e logicamente corretta, ma anche coerente con l'insegnamento di questa corte di legittimità. Secondo tale insegnamento infatti, in tema di omicidio volontario, in mancanza di circostanze che evidenzino ictu oculi l'animus necandi , la valutazione dell'esistenza del dolo omicidiario può essere raggiunta attraverso un procedimento logico d'induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati, la direzione e l'intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l'azione cruenta Cass., Sez. I, 08/06/2007, n. 28175 Cass., Sez. I, 16/12/2008, n. 5029 Cass., Sez. I, 14/02/2006, n. 15023 . Con riferimento specifico poi all'ipotesi dell'omicidio solo tentato, ai fini dell'accertamento della volontà omicidiaria assume valore determinante l'idoneità dell'azione, che va apprezzata in concreto, senza essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti, dovendosi diversamente l'azione ritenere sempre inidonea, per non aver conseguito l'evento, sicché il giudizio di idoneità è una prognosi, formulata ex post , con riferimento alla situazione così come presentatasi al colpevole al momento dell'azione, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare Cass., Sez. I, 23/09/2008, n. 39293 . Ne consegue che ricorre la fattispecie di tentato omicidio, e non quella di lesioni personali, se il tipo di arma impiegata e specificamente l'idoneità offensiva della stessa, la sede corporea della vittima raggiunta dal colpo dell'arma, la profondità della ferita infetta inducano a ritenere la sussistenza in capo al soggetto agente del cosiddetto animus necandi Cass., Sez. I, 22/09/2010, n. 37516 considerando altresì, ai fini in discussione anche le circostanze sopravvenute nel corso dell'azione che hanno reso meno micidiale la condotta. Gli esposti principi risultano puntualmente applicati dalla corte territoriale con argomentazioni alle quali la difesa ricorrente oppone, giova ribadirlo, nulla più che una alternativa valutazione degli esiti processuali. La corte territoriale ha innanzitutto valorizzato la furia messa in campo dall'imputato e, con essa, la micidialità indubbia dello strumento usato, un tubo di ferro lungo 50,70 cm., la violenza e la ripetitività dei colpi infetti, la zona vitale attinta, il capo soltanto l'avvertimento urlato dell'amico evitò che il colpo si abbattesse sulla nuca e consentì alla vittima di voltarsi attutendolo ma non evitando le disastrose conseguenze di esso il tentativo esasperato dell'imputato di continuare a colpire la vittima ormai indifesa nonostante le devastanti conseguenze della sua azione precedente, tentativo evitato dall'intervento di più persone le quali a fatica riuscirono a porre termine al pestaggio. Di qui l'infondatezza logicamente ritenuta da parte dei giudici di merito delle argomentazioni difensive sulla mitigata violenza dei colpi inferti e sulle conseguenti lesioni ossee imputabili non già alla violenza dei colpi, ma alla naturale fragilità delle ossa attinte. Né può porsi in dubbio l'elemento psicologico del reato, posto che la ricorrenza del dolo omicidiario è stata diffusamente e correttamente argomentata dai giudici di merito con la qualità e la natura della condotta consumata dall'imputato, sintomatiche, in concreto, del fine della sua azione colpire con violenza la vittima con modalità micidiali, per cagionargli, indifferentemente, effetti gravemente lesivi ovvero esiziali per la vita dell'aggredito, effetti, questi ultimi, come opportunamente evidenziato dai giudici territoriali, palesemente e necessariamente rappresentatosi all'agente che picchia violentemente ed insistentemente con una sbarra metallica la testa della vittima. Ed infatti, per costante insegnamento di questo giudice di legittimità, risponde di tentativo di omicidio con dolo diretto alternativo chi prevede e vuole, come scelta sostanzialmente equipollente, la morte o il grave ferimento della vittima Cass., Sez. I, 31/05/2011, n. 30694 . 3.3 Quanto, infine, alla ricorrenza dell'aggravante della premeditazione, è noto l'insegnamento di legittimità secondo cui elementi costitutivi della circostanza aggravante in parola sono un apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunità del recesso elemento di natura cronologica e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell'animo dell'agente fino alla commissione del crimine elemento di natura ideologica Cass., Sez. Unite, 18/12/2008, n. 337 . Nel caso in esame hanno logicamente sostenuto i giudici di merito, dopo aver escluso la causalità dell'incontro dappoiché sviluppatasi la vicenda in una piccola frazione di pochi abitanti, che causale dell'azione delittuosa fu la volontà dell'imputato di vendicare gli schiaffi ricevuti in pubblico dal M. due giorni prima, questo all'apice di una serie di provocazioni del primo ai danni del secondo e della sua compagna, la predisposizione dell'arma del delitto, che risulta provato essere stata portata con sé, da parte dell'imputato, nell'autovettura con la quale lo stesso raggiunse la vittima sul luogo del delitto, le minacce proferite quando il M. lo schiaffeggiò. Orbene, in tema di premeditazione, la causale omicidiaria costituisce uno degli elementi dai quali va desunta la sussistenza dell'aggravante Cass., Sez. I, 04/12/2008, n. 2439 al pari della predisposizione dei mezzi per l'attuazione del piano Cass., Sez. I, 16/06/2005, n. 26793, Giampà alle quali nella fattispecie si deve aggiungere, per la rilevanza opportunamente data dalla corte territoriale a tale fatto, la minaccia di ritorsione indirizzata dall'imputato alla vittima allorché venne da questa schiaffeggiato poi te la farò vedere io . Sul valore della minaccia del fatto delittuoso come fatto sintomatico della premeditazione cfr. Cass., Sez. I, 25/01/1996, n. 1910, Bima. 4. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso deve essere pertanto rigettato ed il ricorrente condannato, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.T.M. la Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.