Due opinioni diverse sulle stesse prove: obblighi maggiori per il giudice d’appello

S’impone al giudice d’appello una motivazione rafforzata quando pronunci una condanna in riforma della decisione liberatoria emessa dal giudice di primo grado. Ciò vale non solo in caso di ribaltamento totale della decisione assolutoria di primo grado, ma anche qualora ci sia un aggravamento in pejus su appello del pm o della parte civile con qualificazione del fatto conforme alla contestazione originaria, ma difforme da quella datane, in primo grado, in senso più favorevole per l’imputato.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 17620, depositata il 22 aprile 2014. Il caso. La Corte d’appello di Palermo riformava parzialmente la sentenza di primo grado del tribunale di Sciacca e condannava un uomo per il reato di maltrattamenti ai danni della moglie, al posto di quello di tentata violenza privata. L’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione riguardo alla diversa qualificazione giuridica rispetto a quella fornita dal tribunale ed un travisamento della prova, in quanto era stata ritenuta far parte del compendio probatorio una documentazione medica delle lesioni, in realtà mai acquisita. Motivazione rafforzata. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione rilevava che i giudici d’appello avevano utilizzato lo stesso compendio probatorio esaminato dal tribunale, giungendo, però, a conclusioni diverse. Questa situazione riproponeva il tema della c.d. motivazione rafforzata che s’impone al giudice d’appello quando pronunci una condanna in riforma della decisione liberatoria emessa dal giudice di primo grado. Ciò vale non solo in caso di ribaltamento totale della decisione assolutoria di primo grado, ma anche qualora ci sia un aggravamento in pejus su appello del pm o della parte civile con qualificazione del fatto conforme alla contestazione originaria, ma difforme da quella datane, in primo grado, in senso più favorevole per l’imputato. Esame superficiale. Nel caso di specie, era stato rivisitato lo stesso materiale probatorio del primo giudizio, ma questo non veniva analizzato in maniera più analitica, né veniva valorizzato un elemento invece pretermesso dal tribunale. Al contrario, veniva effettuata una meno precisa e puntuale verifica , con un riferimento ad una sopracitata documentazione medica riguardante la persona offesa , di cui, però, non c’era traccia nella sentenza di primo grado. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 marzo – 22 aprile 2014, n. 17620 Presidente Agrò – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte d'Appello di Palermo, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Sciacca in composizione monocratica il 9/12/2011 di condanna per il reato di tentata violenza privata artt. 56, 610 cod. pen. e proscioglimento per tardività della querela per quello di lesioni personali art. 582 cod. pen. , affermava la responsabilità di P.S.M. in relazione all'originaria imputazione di maltrattamenti in danno della moglie C.L., rideterminando la pena in otto mesi di reclusione, condizionalmente sospesa e confermando le statuizioni civili emesse in favore della parte civile costituita. In accoglimento dell'appello del PG e della parte civile e disattendendo l'appello dell'imputato, la Corte territoriale riteneva come le dichiarazioni rese dalla parte lesa nonché da altri quattro testimoni, in una con la documentazione medica acquisita, avessero evidenziato le continue vessazioni patite dalla donna con conseguenti sofferenze fisiche e morali, tali da indurre a ristabilire l'originaria contestazione di maltrattamenti in famiglia, non condivisa dal giudice di primo grado respingeva, invece, la Corte la richiesta d'integrazione probatoria avanzata dalla difesa dell'imputato e concernente l'acquisizione del decreto di rinvio a giudizio per il reato di falsa testimonianza di uno dei testimoni ascoltati in dibattimento. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, deducendo sei motivi di doglianza 1 vizio assoluto di motivazione con riferimento alla censure dedotte dalla difesa nelle conclusioni scritte e relative a vari punti della vicenda oggetto di giudizio episodicità dei fatti rappresentati, assenza di uno stato di paura e soggezione nella parte lesa assenza del dolo del reato ritenuto in decisione 2 vizio di motivazione in ordine alla diversa qualificazione giuridica rispetto a quella fornitane dal giudice di prime cure 3 contrasto giurisprudenziale in tema di maltrattamenti in famiglia, tale da dare luogo a pronunce difformi e contrapposte, sanabile solo con il deferimento della questione alla Sezioni Unite della Corte di Cassazione 4 difetto di motivazione in ordine alle risultanze dibattimentali, anche riferite all'escussione dei testimoni, del tutto fraintese 5 travisamento della prova per essere stata ritenuta far parte del compendio probatorio documentazione medica delle lesioni asseritamente patite dalla parte lesa in realtà mai acquisita 6 vizio di motivazione in ordine alla allegata contraddittorietà della prova riguardante una pretesa minaccia profferita dal P. di ricorrere all'uso di armi legalmente detenute. Con memoria del 26 febbraio u.s., sono stati riepilogati i motivi articolati nel ricorso principale e ribadita con ulteriori argomentazioni la relativa fondatezza. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta fondato. Ribaltando le valutazioni espresse dal giudice di primo grado ed in accoglimento dell'appello del PM e della parte civile, la Corte territoriale ha ritenuto che la condotta attuata dall'imputato fosse stata continuativa e soprattutto costante, tale da determinare nella parte offesa sofferenze sia fisiche che morali. A sostegno di detta valutazione, la Corte ha richiamato il medesimo compendio probatorio esaminato dal giudice di prime cure, omettendo tuttavia - come operato dal Tribunale di Sciacca - di procedere ad analitica disamina delle specifiche situazioni costituenti oggetto delle deposizioni tanto della parte offesa quanto degli altri testimoni escussi. Proprio all'esito di una puntuale disamina di fatti e situazioni specifiche, infatti, il giudice di primo grado era giunto a circoscrivere le liti coniugali a due soli episodi, occorsi nei mesi di agosto e settembre del 2009, ricollegandoli ad una situazione chiave nella dinamica dei rapporti interconiugali, rappresentata dalla reiterata frequentazione del ricorrente P. di una coppia invece non gradita alla moglie C., che paventava invece la nascita di una relazione extraconiugale con la componente femminile. E proprio sulla base di tale ricostruzione, il Tribunale era giunto alla diversa qualificazione dei fatti in termini di tentata violenza privata, con conseguente affermazione di responsabilità a detto titolo di reato. La liquidatoria valutazione operata dalla Corte di Palermo di un compendio dei rapporti interconiugali connotato invece da obiettive sfumature, ripropone dunque il tema della cd. motivazione rafforzata che, secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, s'impone al giudice di appello quando pronunzi condanna in riforma della decisione liberatoria emessa dal giudice di prime cure per i precedenti di questa sezione, v. Sez. 6 n. 22120 del 29/04/2009, Tatone e altri, Rv. 243946 per quelli delle Sezioni Unite, v. la nota n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti . E' evidente, infatti, che esso vale non solo nel caso di ribaltamento totale della decisione assolutoria di primo grado, ma anche ove intervenga un aggravamento in pejus su appello del PM o della parte civile con qualificazione del fatto conforme alla contestazione originaria ma difforme da quella datane in primo grado in senso più favorevole per l'imputato. E' infatti lo stesso materiale probatorio del primo giudizio ad essere stato nella specie rivisitato, ma non già a seguito di più attenta o analitica sua disamina ovvero mediante valorizzazione di un elemento invece pretermesso dal primo giudice, quanto invece all'esito di una meno precisa e puntuale verifica, evidenziata anche dal riferimento ad 'una sopracitata documentazione medica' riguardante la parte offesa, di cui non v'è alcuna traccia nella sentenza di primo grado e di cui il ricorrente denunzia addirittura l'inesistenza. 4. S'impone, dunque, un nuovo giudizio della vicenda oggetto di contestazione da parte della Corte territoriale, cui gli atti vanno trasmessi e che si atterrà ai criteri di redazione della cd. motivazione rafforzata elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte per un'elencazione analitica dei doveri del giudice d'appello in consimili situazioni, si rimanda alla citata Sez. 6 n. 22120/09, Tatone e altri si intendono assorbiti i residui motivi di ricorso. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Palermo.