A ciascun reato corrisponde un giudizio: nessuna incompatibilità per il giudice

Non versa in situazione di incompatibilità, e non è dunque ricusabile, il giudice chiamato a decidere su fatti di reato aggravati dalla natura mafiosa della condotta, che abbia già concorso alla pronuncia di condanna dello stesso imputato per il reato associativo alla stregua delle indicazioni accusatorie degli stessi collaboratori di giustizia acquisite anche nel nuovo processo.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 16018 del 10 aprile 2014. Il fatto. Un uomo, condannato a cinque anni di reclusione per il delitto di lesione personale grave commesso con metodo e finalità mafiosi, impugnava per cassazione l’ordinanza con cui la Corte d’Appello di Catanzaro aveva dichiarato inammissibile l’istanza di ricusazione del presidente e di uno dei consiglieri componenti il collegio della Corte d’Appello chiamati a giudicare sul gravame da lui proposto avverso la decisione di prima grado. Secondo l’imputato, infatti, essi risultavano incompatibili per averlo già giudicato in un separato procedimento penale, nel quale era stato riconosciuto colpevole del reato di associazione mafiosa. I Giudici territoriali respingevano la richiesta sulla base dell’assunto secondo cui non costituisce valido motivo di ricusazione l’identicità delle fonti probatorie valutate in un precedente procedimento. Inoltre, il giudizio espresso nel procedimento per il reato associativo non implica alcuna anticipata valutazione sulla sussistenza del vincolo finalistico mafioso nel diverso procedimento concernente un diverso episodio criminoso. L’imputato ricorre per cassazione. Una reiterazione inammissibile. Secondo il ricorrente, gli ambiti valutativi dei due giudizi sono legati da stretta connessione in punto di valutazioni probatorie e il presidente e il consigliere, già giudici nel processo di appello per il reato associativo, non potrebbero che reiterare una valutazione di sussistenza del carattere mafioso del reato di lesione alla luce della già affermata caratura mafiosa dell’imputato. Nessun giudizio sincronico ed automatico. Il ricorso va dichiarato inammissibile, escludendo – come giustamente fatto dai Giudici di merito – il configurarsi di situazioni di incompatibilità dei giudici ricusati. Infatti, la sentenza di condanna emessa nei confronti dell’uomo non determina un giudizio sincronico ed automatico per quanto riguarda la sussistenza dell’aggravante della mafiosità del nuovo processo, dovendo la stessa essere vagliata in base a ulteriori e specifici elementi riguardanti le modalità esecutive e le diverse finalità del reato ascritte al ricorrente. Una pregressa mera valutazione delle medesime fonti di prova non determina incompatibilità. Si comprende, quindi, che l’incompatibilità funzionale non può scaturire da una pregressa mera valutazione delle medesime fonti di prova, a meno che non vi sia una precedente pronuncia che investa il medesimo fatto di reato e la sua riferibilità oggettiva. La stessa Corte di legittimità ha affermato che non versa in situazione di incompatibilità, e non è dunque ricusabile, il giudice chiamato a decidere su fatti di reato aggravati dalla natura mafiosa della condotta, che abbia già concorso alla pronuncia di condanna dello stesso imputato per il reato associativo alla stregua delle indicazioni accusatorie degli stessi collaboratori di giustizia acquisite anche nel nuovo processo. Il ricorso, conclusivamente, è inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 31 ottobre 2013 – 10 aprile 2014, n. 16018 Presidente Di Virginio – Relatore Paoloni Motivi della decisione 1. G.G., condannato in primo alla pena di cinque anni di reclusione per il delitto di lesione personale grave commesso con metodo e per finalità mafiosi artt. 582, 583 -co. 1 nn. 1 e 2- c.p., 7 L. 203/91 , impugna per cassazione l'ordinanza con cui la Corte di Appello di Catanzaro ha dichiarato -ai sensi degli artt. 38 e 41 co. 1 c.p.p. inammissibile l'istanza di ricusazione del presidente dr.ssa P.T. e di uno dei consiglieri dott. A.B. componenti il collegio della Corte di Appello chiamato a giudicare sul gravame da lui proposto avverso la decisione di primo grado, asseritamente risultanti in stato di incompatibilità per averlo già giudicato in grado di appello in un separato procedimento penale contro A.A. + 28 , nel quale era stato riconosciuto colpevole del reato di associazione mafiosa ex art. 416 bis c.p. considerato partecipe di un sodalizio di 'ndrangheta attivo a Corigliano Calabro . 1.1. L'istanza di ricusazione era stata formalizzata dopo l'ordinanza del 4.1.2013 con cui il collegio giudicante della Corte di Appello aveva respinto, escludendo il ricorrere di alcuna delle ipotesi elencate dall'art. 36 c.p.p., l'invito ad astenersi rivolto al presidente T. e al consigliere B. dal G., ed era motivata con l'assunto che i due giudici di appello si sarebbero già espressi sulla sussistenza dell'aggravante della mafiosità, modale e teleologica, qualificante il reato di lesione aggravata oggetto della nuova regiudicanda, avendo già confermato la qualità del G. di associato a un sodalizio di 'ndrangheta emersa dalle dichiarazioni di più collaboratori di giustizia acquisite anche nel processo in corso nei confronti dell'imputato. 1.2. La Corte di Appello ha dichiarato inammissibile ex art. 41 co. 1 c.p.p. il proposto incidente endoprocessuale, evidenziando con il supporto della giurisprudenza di legittimità che per un verso non costituisce valido motivo di ricusazione l'identicità delle fonti probatorie valutate in un precedente procedimento, stante la diversa rilevanza che le stesse possono assumere in rapporto alla ontologica differenza delle accuse mosse all'imputato per altro verso il giudizio espresso nel procedimento per il reato associativo non implica alcuna anticipata valutazione sulla sussistenza del vincolo finalistico mafioso nel diverso procedimento concernente un diverso episodio criminoso. 2. Con l'odierno ricorso l'imputato deduce erronea applicazione degli artt. 34 e 37 c.p.p. e insufficienza e contraddittorietà della motivazione dell'impugnata ordinanza. Nel processo già definito in appello il G., in base alle chiamate in reità di sei collaboranti, è stato ritenuto partecipe di una consorteria mafiosa nel cui interesse avrebbe gestito il mercato del noleggio di apparecchi videogiochi. Nel processo attualmente in corso sono stati acquisiti i verbali delle dichiarazioni degli stessi collaboranti per dimostrare sia il movente dell'azione criminosa del G., sia la sussistenza della contestata aggravante ex art. 7 L. 203/91. Gli ambiti valutativi dei due giudizi sono legati da stretta connessione e il presidente T. e il consigliere B. già giudici nel processo di appello per il reato associativo non potrebbero che reiterare una valutazione di sussistenza del carattere mafioso del reato di lesione alla luce della già affermata caratura mafiosa dell'imputato. La differenza di oggetto imputazioni dei due diversi procedimenti valorizzata dal provvedimento impugnato non elide la rilevata causa di incompatibilità dei due magistrati giudicanti, perché i pur diversi processi sono strettamente collegati in punto di valutazioni probatorie, essendo indubbio che il giudizio sulla ricorrenza della finalità di agevolazione ex art. 7 L. 203/91 e sulla causale, che avrebbe indotto l'esecuzione del reato [di lesione personale], è derivato dalla valutazione delle medesime fonti collaborative , dalle quali si sono desunte l'esistenza della cosca mafiosa operante a Corigliano e l'appartenenza alla stessa del G. Il presidente e il consigliere ricusati hanno già espresso un giudizio sull'esistenza dell'associazione mafiosa e sulla adesione dell'imputato, riconoscendo attendibilità alle stesse fonti dichiarative collaboratori di giustizia reintrodotte nel successivo processo. Ciò li pone in una condizione di palese incompatibilità funzionale alla celebrazione del secondo processo. 3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per infondatezza manifesta delle delineate censure, avuto riguardo alla corretta motivazione dell'ordinanza impugnata che, facendo applicazione degli indirizzi interpretativi di questa Corte regolatrice, ha escluso il configurarsi di situazioni di incompatibilità dei ricusati giudici di appello del secondo giudizio avente per oggetto il reato di lesione aggravato ex art. 7 L. 203/91. La sentenza di condanna per associazione mafiosa emessa nei confronti del G. nel precedente processo non determina, infatti, alcun sincronico o automatico giudizio di sussistenza dell'aggravante della mafiosità nel nuovo processo, dovendo la stessa essere vagliata in base agli ulteriori e specifici elementi riguardanti le modalità esecutive e le finalità del diverso reato ascritto al ricorrente. Come osserva il concludente P.G., le disposizioni in materia di astensione e ricusazione dei magistrati giudicanti, derogando al fondamentale principio del giudice naturale precostituito per legge, non ammettono interpretazioni estensive o analogiche. Di tal che deve escludersi che la pretesa incompatibilità funzionale possa scaturire da una pregressa mera valutazione delle medesime fonti di prova, potendo la stessa incompatibilità insorgere soltanto in caso di precedente pronuncia che investa il medesimo fatto reato e la sua riferibilità soggettiva. In tali termini si è espressa la stabile giurisprudenza di questa S.C., precisando come non versi in situazione di incompatibilità e non sia dunque ricusabile il giudice chiamato a decidere su fatti reato aggravati dalla natura mafiosa della condotta, che abbia già concorso alla pronuncia di condanna dello stesso imputato per il reato associativo alla stregua delle indicazioni accusatorie degli stessi collaboratori di giustizia acquisite anche nel nuovo processo cfr. ex plurimis Sez. 1, 13.5.2009 n. 22794, Bontempo Scavo, rv. 244381 Sez. 1, 12.5.2010 n. 21064, Abbruzzese, rv. 247578 . All'inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in euro 1.000,00 mille . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.