Condanna ribaltata in secondo grado: l’assoluzione vuole una motivazione “rafforzata”

In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che decida di riformare la sentenza di condanna di primo grado, con conseguente esito assolutorio, non può limitarsi a prospettare notazioni critiche di dissenso alla pronuncia impugnata, dovendo invece esaminare - anche sinteticamente - il materiale probatorio nella sua interezza onde offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia apprezzabile ragione delle difformi conclusioni assunte.

Lo ha stabilito la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 15445, depositata il 7 aprile 2014. Truffa in concorso. Nel caso di specie, una coppia” è stata rinviata a giudizio con l’accusa di aver commesso in concorso il reato di truffa ex art. 640, c.p In dettaglio, il rimprovero mosso dalla Procura contro gli imputati è stato quello di aver incamerato un ingiusto profitto in danno della ditta di alimentari per la quale lavorava uno dei due questi, infatti, avrebbe indicato in due fatture il numero di conto corrente della compagna coimputata, con ciò inducendo in errore un debitore della ditta che – giuste le indicazioni fornitegli – ha elargito il corrispettivo in favore del soggetto sbagliato. L’accredito è stato successivamente recuperato dal dipendente, in possesso del codice pin della compagna, prelevando allo sportello. All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale in composizione monocratica ha riconosciuto la penale responsabilità di entrambi gli imputati. A nulla sono valse le spiegazioni offerte dalla compagna – intestataria del conto corrente falsamente indicato nelle fatture – tese a rimarcare la sua estraneità alla vicenda, per essere stata anch’ella indotta in errore dal proprio compagno, abile nel acquietarla garantendo che le cifre accreditate avessero un valido titolo giustificativo. Dubbi sull’estraneità alla vicenda della concorrente. Di tutt’altro avviso, invece, si è mostrata l’adita Corte d’appello secondo i giudici di secondo grado, infatti, le ragioni addotte dalla compagna risultavano plausibili, donde l’esito assolutorio nei confronti di questa e la conferma della condanna in favore dell’ormai ex fidanzato, ritenuto unico responsabile della vicenda delittuosa. La Procura, tuttavia, non ha condiviso il verdetto di riforma, motivo per cui si è rivolta alla Suprema Corte per ottenere l’annullamento della sentenza dalla Corte territoriale e la conferma del giudizio di reità anche in danno alla compagna. Dubbioso e frettoloso - secondo il ricorrente - appariva l’apparato motivazionale reso dalla Corte d’appello, e soprattutto inidoneo a risolvere svariate incongruità emerse nel corso dell’istruttoria procedimentale le grafie sulle fatture, non riconducibili al compagno la mancata denuncia di quest’ultimo da parte della donna la negligenza nel chiedere il perché degli accrediti il prelievo delle somme in un’unica operazione l’inizio di un’attività commerciale tra gli imputati - successivamente alla condotta di reato - avente il medesimo oggetto di quella del truffato. Motivazione d’appello rafforzata. I rilievi sopra esposti hanno convinto i Giudici di legittimità, la sentenza impugnata dovendosi assumere viziata in specie sotto il profilo del metus con cui i giudici della Corte d’appello hanno scelto di porsi in contraddizione rispetto all’esito condannatorio del Tribunale. Segnatamente, gli Ermellini hanno rimarcato come sul giudice di appello - laddove questi ritenga di voler pervenire ad un esito differente rispetto al giudice di primo grado - gravi un obbligo motivazionale rafforzato, che non può ridursi ad una differente presa di posizione disancorata dalla piattaforma cognitoria. Più precisamente – spiegano i giudici di legittimità – il giudice di secondo grado non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente o sommariamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni e argomentazioni fra loro dissonanti essendo, al contrario, necessario che venga riesaminato – sia pure sinteticamente – il materiale probatorio avuto a disposizione del giudice di prime cure, considerando altresì quello lui sfuggito e quello ulteriormente acquisito solo così, invero, è possibile dare una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione dei motivi per i quali si ritiene di non condividere le conclusioni rese in esito al primo scrutinio di merito. Sulla scorta di queste argomentazioni la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, sul presupposto della sommarietà della motivazione della decisione gravata, che non forniva spiegazioni logiche – ma semplici dissensi – alle pure evidenti emergenze che connotavano il fatto di reato e la partecipazione della donna alla condotta truffaldina del compagno. In definitiva ad onta della possibilità di approdare ad esiti effettivamente difformi tra loro - anche per via della contumacia mantenuta dall’imputata durante l’intero procedimento - la scelta della Corte d’appello doveva assumersi invalida poiché non idoneamente supportata da quel rinforzo motivazionale richiesto per confutare un giudizio di condanna in primo grado.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 20 marzo – 7 aprile 2014, n. 15445 Presidente Petti – Relatore Pellegrino Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 20.01.2012, il Tribunale di Torino, in composizione monocratica, dichiarava A.C. e C.B. responsabili del reato di truffa in concorso per aver, con artifizi e raggiri consistiti nel falsificare le fatture n. 1/2006 e n. 2/2006 della ditta La Bottega della Carne di B.G. , indicato le coordinate di un numero di conto corrente postale intestato ad A.C. , inducendo in errore l'economo dell'Istituto Professionale Scuole Professionali Salesiane che pagava le fatture rispettivamente di Euro 1.548,12 in data 28.02.2006 e di Euro 1.533,25 in data 31.03.2006, bonificando gli importi sul conto corrente indicato anziché su quello della ditta La Bottega della Carne di B.G. , procurandosi così l'ingiusto profitto con eguale danno del B. , pari al valore degli importi delle due fatture per l'effetto gli stessi venivano condannati alla pena di mesi sette di reclusione ed Euro 400,00 di multa con condanna altresì al risarcimento danni cagionati alla parte civile costituita, liquidati in complessivi Euro 5.500,00, con provvisionale assegnata di Euro 3.081,37. 2. Avverso la sentenza di primo grado veniva proposto appello dagli imputati. 3. Con sentenza in data 18.01.2013, la Corte d'Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza appellata, assolveva la A. dal reato contestatole perché il fatto non costituisce reato e confermava nel resto la pronuncia di primo grado a carico del C. . 4. Avverso la sentenza d'appello, veniva proposto dal Procuratore generale presso la Corte d'Appello di Torino ricorso per cassazione articolando, come unico motivo, la violazione dell'art. 606 lett. b ed e cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110 e 640 cod. pen., per erronea applicazione della legge penale, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. In particolare, lamenta il ricorrente come i giudici di secondo grado, per riconoscere l'assenza di dolo in capo alla A. , si fossero accontentati , con riferimento al transito delle predette somme sul conto corrente di quest'ultima delle giustificazioni rese per iscritto dalla medesima rimasta contumace in giudizio , secondo cui l'imputata sarebbe rimasta all'oscuro delle comunicazioni a terzi del proprio numero di conto corrente, di aver scoperto solo a posteriori attraverso l'estratto del conto corrente del bonifico e del successivo prelievo sempre effettuato da altri legittimamente in possesso del proprio codice pin, di averne chiesto spiegazioni al C. cui era legata da relazione affettiva e di essersi accontentata della spiegazione da quest'ultimo fornita, ovverossia che si trattava di somme di cui il medesimo era creditore. Assume il ricorrente come la conclusione a cui era pervenuta la Corte d'Appello fosse incompleta, contraddittoria e manifestamente illogica non avendo tenuto conto - del fatto che la A. non avesse fornito alcuna spiegazione su chi avesse redatto quanto meno la fattura n. 1/2006, recando la medesima, palesemente, tre differenti grafie, nessuna delle quali corrispondente a quella del B. che ne aveva disconosciuto la paternità - del fatto che la A. , pur avvedendosi dell'accredito di tale somma sul proprio conto corrente da parte delle Scuole Salesiane , non sia rimasta affatto sorpresa della cosa e non abbia chiesto spiegazioni di sorta al beneficante - del fatto che l'estraneità della A. rispetto alla vicenda ed alla responsabilità del C. fosse in evidente contrasto con l'avvio di un'attività nello stesso settore commerciale macelleria proprio nel periodo in cui cessava quella della società vittima del presente raggiro - del fatto che poco credibile si appalesasse la versione della A. di essersi avveduta solo a distanza di tempo delle attività illecite del C. avendo continuato a lavorare e collaborare con il medesimo quanto meno per altri due anni per poi cedere proprio a questi la sua attività commerciale - del fatto che la A. , se veramente avesse scoperto di essere stata accusata di un reato a causa del coinvolgimento da parte del proprio conoscente-amico, avrebbe comunque dovuto tutelarsi mediante la proposizione di una denuncia contro quest'ultimo - del fatto che mancasse qualsivoglia prova del presunto utilizzo del conto corrente della A. da parte del C. la cui comunanza di vita e rapporti è rimasta comunque equivoca e di come apparisse quantomeno singolare di come il dedotto uso congiunto del conto corrente avesse avuto ad oggetto una sola operazione e, peraltro, proprio quella relativa ad una fattura falsa. Da qui la richiesta di annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 5. Il ricorso è fondato e, come tale, meritevole di accoglimento. 6. Va preliminarmente osservato come, costituisce principio giurisprudenziale assolutamente consolidato a cui si uniforma questo Collegio cfr., da ultimo, Cass., Sez. 6, n. 46742 del 08/10/2013 - dep. 22/11/2013, P.G. in proc. Hamdi Ridha, rv. 257332 , secondo cui, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che - come nella fattispecie - riformi la decisione di condanna di primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, non può limitarsi a prospettare notazioni critiche di dissenso alla pronuncia impugnata, dovendo piuttosto esaminare, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni assunte si parla in questo caso dell'esistenza di un vero e proprio obbligo peculiare e rafforzato di tenuta logico-argomentativa, che si aggiunge a quello generale della non apparenza, non manifesta illogicità e non contraddittorietà, desumibile dalla formulazione della lett. e dell'art. 606, comma 1, cod. proc. pen. cfr., Cass., Sez. 6, n. 46847 del 10/07/2012 - dep. 04/12/2012, Aimone ed altri, rv. 253718 Cass., Sez. 6, n. 1266 del 10/10/2012-dep. 10/01/2013, Andrini, rv. 254024 Cass., Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013-dep. 21/02/2013, Farre ed altro, rv. 254113 . Più in particolare, si è affermato che il giudice di appello che riformi la decisione di condanna del giudice di primo grado, nella specie pervenendo ad una sentenza di assoluzione, non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente o sommariamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, essendo invece necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni Cass., Sez. Un., n. 6682 del 04/02/1992-dep. 04/06/1992, Musumeci ed altri, rv. 191229 Cass., Sez. 4, n. 35922 del 11/07/2012-dep. 19/09/2012, P.C. in proc. Ingrassia, rv. 254617 . Ne discende, in definitiva, che il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le basi strutturali poste a sostegno del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti contenuti nella motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché ritenuta preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato v. Cass., Sez. Un., n. 33748 del 12/07/2005-dep. 20/09/2005, rv. 231679 Cass., Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013-dep. 20/02/2013, rv. 254638 . 7. Considerando, ora, le implicazioni di tale quadro di principii in relazione alla concreta disamina della vicenda storico-fattuale oggetto della regiudicanda, deve rilevarsi come la Corte territoriale, nel privilegiare l'epilogo assolutorio, abbia operato una rivalutazione sommaria delle emergenze probatorie, venendo meno all'obbligo di motivazione rafforzata che grava sul giudice di appello nelle evenienze procedimentali dianzi esaminate. Invero, con riferimento all'ipotesi delittuosa in contestazione, emerge dalle sequenze motivazionali della decisione del Giudice di prime cure la decisa valorizzazione assegnata ad un insieme di dati probatori, il cui contenuto avrebbe dovuto richiedere un'attenta disamina, seguita da un bilanciamento comparativo del peso specifico assegnato alle diverse componenti strutturali dell'intero quadro probatorio, all'interno del perimetro individuato dalle linee argomentative proprie della prospettiva assiologica sopra indicata. In particolare, rileva il Collegio come i giudici d'appello abbiano apoditticamente accettato la tesi difensiva proposta dall'imputata, senza che la stessa fosse mai stata sentita in giudizio e senza che sul punto fossero stati forniti chiarimenti precisi sia dalla stessa che dal coimputato infatti la A. si è sottratta all'esame sia nel corso del giudizio di primo che nel corso del giudizio di secondo grado e le sue uniche difese pervenute per iscritto non sono state sottoponibili ad alcuna oggettiva valutazione mediante l'esame del coimputato, anch'egli rimasto contumace per tutto il giudizio. Su queste premesse, la Corte territoriale perviene ad una conclusione incompleta, contraddittoria e manifestamente illogica dal momento che lo sviluppo argomentativo della motivazione della sentenza impugnata non risulta fondato su una coerente analisi critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale la medesima appare sfornita di adeguata plausibilità logica e giuridica l'attribuzione a detti elementi del requisito della sufficienza, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità della ricorrente in ordine al delitto contestato. La motivazione della sentenza impugnata non supera quindi il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, con conseguente obbligatorietà del suo annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Torino per nuovo esame. 8. Ha ritenuto infatti la Corte territoriale che non vi fosse prova della partecipazione della prevenuta alla induzione in errore mediante artifici e raggiri falsificazione delle fatture e comunicazione al debitore degli estremi bancari di un conto diverso da quello della ditta creditrice , pur senza fornire spiegazione su chi abbia redatto quantomeno la fattura n. 1/2006 in discussione, recando questa, palesemente, tre differenti grafie, e precisamente una per il numero in intestazione, una per i dati del conto corrente di appoggio ed una, infine, per l'elenco prodotti. La fattura in disamina, infatti, reca evidentemente una grafia chiara e lineare nella parte centrale contenente l'elenco prodotti, il numero delle bolle, la partita iva, il destinatario e la modalità di pagamento la grafia, inoltre, è diversa da quella che ha redatto la parte contenente i dati bancari. Nessuna delle due grafie corrisponde però a quella del B. che ha immediatamente disconosciuto e contestato la stessa grafia che, per l'evidente connotato femminile che sembra contraddistinguerla, potrebbe ricondursi alla mano dell'A. , finendo per smentire la tesi secondo la quale la stessa non era al corrente della richiesta di pagamento fatta all'Istituto Salesiano dal proprio conoscente analogamente, renderebbe comprensibile la ragione per la quale la stessa, pur avvedendosi dell'accredito di tale somma sul proprio conto corrente da parte delle Scuole Salesiane non sia rimasta affatto sorpresa e non abbia chiesto spiegazioni al beneficiante, trattandosi di soggetto noto cui la stessa aveva provveduto a compilare la fattura. Peraltro, l'estraneità della A. rispetto alla vicenda ed alla responsabilità del C. contrasta altresì - e il dato è stato quantomeno svalorizzato dai giudici di secondo grado - con l'avvio di un'attività nello stesso settore commerciale e nello stesso periodo in cui cessava quella della società, vittima del raggiro in questione attività che veniva ceduta al C. ben due anni dopo l'avvio della stessa. Parimenti poco credibile che la A. si fosse avveduta solo a distanza di tempo delle attività illecite del C. così come di scarso pregio appariva la circostanza della documentata introduzione di un procedimento penale instaurato dalla A. ai danni del C. per fatti del tutto estranei alla vicenda in oggetto. Significativo poi che la A. , pur avendo scoperto di essere stata accusata suo malgrado di un reato a causa del coinvolgimento del suo conoscente C. , invece di denunciarlo, non solo non si presenta in giudizio per prendere le distanze dal medesimo ma addirittura continua la collaborazione lavorativa, accreditando una poco credibile versione di sostanziale vittima. Quanto all'asserita mancanza del dolo in capo alla A. in considerazione del presunto utilizzo del proprio conto corrente da parte del C. , manca agli atti qualsivoglia prova di tale circostanza un singolo prelievo di denaro, la mancanza di prova di quel presunto menage quotidiano e l'assenza di altri prelievi/versamenti/accrediti ovvero di altre operazioni che possano far comprendere l'abitualità di tale condotta, nulla prova in merito alla inconsapevolezza ed estraneità della A. . La sentenza, infatti, non trae la prova di una convivenza o di una relazione affettiva stabile e quotidiana tra i due imputati, che peraltro avevano residenze diverse e, analogamente, non riesce a provare che vi fosse una gestione domestica abituale ed una vita in comune tra il C. e la A. , connotata dalla disponibilità di un solo conto corrente, con spese e prelievi ordinariamente ed abitualmente effettuati proprio dal conto corrente della A. . E, per tutto il corso del giudizio di primo grado ed anche nell'atto di appello, sempre viene taciuta la natura del rapporto tra i due, riferendosi - come elemento di comunanza - solo ad un prelievo di tale somma da parte di persona di fiducia della A. a conoscenza del pin . Detta relazione viene pertanto assunta e data per assodata in modo apodittico dal giudice di seconde cure che, senza motivare sul perché un'operazione indicata come comune e normale in una coppia l'accredito ed il prelievo e, quindi, l'uso congiunto di un conto corrente abbia avuto, pur in un orizzonte temporale non certo breve, curiosamente ad oggetto una sola transazione e, peraltro, proprio quella relativa ad una fattura falsa, sulla cui falsificazione la A. non è stata in grado di fornire plausibili giustificazioni. Contraddittoria ed illogica la motivazione della sentenza laddove suggerisce o, meglio, ipotizza che la A. , unita sentimentalmente con il C. , avrebbe riposto nel medesimo una tale fiducia da fornirgli il pin del postamat, il numero di conto corrente nonché i codici abi e cab, mettendo quindi il C. nella reale possibilità di effettuare liberamente qualsivoglia tipo di operazione sul proprio conto il tutto, si ribadisce, senza che sia stata fornita alcuna prova dell'esistenza di una comunione familiare che, di contro, dovrebbe desumersi dalle sole dichiarazioni scritte rese dall'imputata e da un unico prelievo di una somma di denaro dal proprio conto corrente. 9. Sui punti fin qui evidenziati, ed in relazione ai numerosi aspetti e profili ad essi attualmente correlati e, come tali, investiti dal motivato convincimento espresso dal Giudice di primo grado, la Corte territoriale ha omesso di confutarne appieno la consistenza e linearità del ragionamento probatorio, trascurando la necessaria valutazione critica di tutti gli elementi su cui è stata fondata la precedente decisione di condanna da qui l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Torino, altra sezione, per nuovo esame.