L’indistruttibile fascino della logica alla prova della Cassazione: limiti e requisiti della prova logica

La prova logica deve muoversi da presupposti che abbiano necessariamente valenza univoca escludendo che essa possa costruirsi o dar luogo a mere ipotesi congetturali o, tantomeno, incoerenti col ragionamento spiegato.

Concetto di prova. Se c’è un ambito del ragionamento giuridico che obbligatoriamente deve affascinare l’interprete è quello della prova e della valutazione che di essa il Giudice può dare e fornire. Sappiamo tutti perfettamente che quando parliamo di prova assai di rado parliamo di quella che la vulgata definisce pistola fumante” ma assai più frequentemente di quella somma di fonti, mezzi, atti, indizi e, magari piccole prove, che reggono la tesi accusatoria al pari di quella difensiva, che offriamo al Giudice e che questi deve leggere nel loro complesso al fine di fornire risposta al quesito fattuale e giuridico sottopostogli. Nell’ambito d questa attività spesso il difensore è chiamato a fornire del corredo probatorio” posto a disposizione del giudicante una interpretazione differente, totalmente o parzialmente, rispetto a quella fornita dalla pubblica accusa che sia in grado, almeno potenzialmente, di intervenire sul e nel processo cognitivo e volitivo del giudice apportandovi quantomeno quel sano germe del dubbio che potrebbe dovrebbe condurlo ad una pronuncia assolutoria. Dubbio che, per espressa previsione legislativa deve essere connotato dal requisito della ragionevolezza. Ragionevole dubbio. Appare da subito interessantissimo notare come proprio il requisito della ragionevolezza del dubbio costituisca in realtà il vero e proprio baluardo posto a difesa non solo della presunzione di non colpevolezza dotata di tutela e rango costituzionale ma anche, e forse questo aspetto è maggiormente trascurato, del meccanismo di ragionamento giuridico da seguirsi a fini di identificare se il dubbio esista o meno. In altri termini è proprio l’aggettivo ragionevole che accostato al termine dubbio consente di interrogarsi sul significato e sulla portata euristica che può assumere la prova logica. L’interrogativo di fondo che dobbiamo porci potrebbe essere così strutturato cosa è ragionevole? Ora è evidente che la risposta al quesito non è affatto univoca, ovvero ciò che è ragionevole per taluno potrebbe essere irragionevole per altri ma, dovendosi far riferimento ad un criterio che per sua stessa natura deve essere ed avere portata generale, è del tutto ovvio rectius ragionevole elevato all’ennesima potenza che occorra far riferimento ad un criterio comune di ragionevolezza. Entrano in campo, prepotentemente, dunque, valutazioni che discostandosi, almeno per quanto concerne il giudizio di colpevolezza, dal diritto penale del fatto, inteso in senso oggettivo e soggettivo, si spostano divenendo assai prossimi a quell’ id quod plerumque accidit che tutti noi consociamo benissimo e che, mal tradotto, finisce col costituire un vero e proprio embrione della responsabilità oggettiva. Ovvero, ciò che normalmente accade non è detto che sia ciò che è accaduto nel caso concreto . Con il che il rischio di un ragionamento di carattere e natura cortocircuitario si appalesa drammaticamente. Ciò che accade normalmente rischia di scalzare, nella interpretazione del giudice, ciò che è realmente accaduto. Logica applicata al diritto. Per porre rimedio ai rischi di una simile attività occorre far ricorso a criteri epistemologici più raffinati. Da secoli il criterio più raffinato conosciuto è costituito dall’uso della logica. Logica che, senza il caso di scomodare augusti filosofi, deve essere riassunta, per quanto di interesse ai fini del presente commento, in quello che è da considerarsi lo strumento principe affidato, consegnato ed utilizzato dal Giudice il sillogismo aristotelico. Dunque, è logico ciò che fa discendere univocamente da una premessa maggiore ed una premessa minore. E fino a qui nulla di nuovo. Rischio del falso sillogismo. Il problema è che il ragionamento sillogistico sconta, o rischia di scontare, i vizi del falso sillogismo. Un esempio io difendo solo innocenti, Tizio è difeso da me, Tizio è innocente Il sillogismo apparentemente è corretto e congruo, ovvero rispetta la regola generale ma è falso. Cosa ci porta a poter affermare che il sillogismo sia falso? La domanda appare capziosa. Si potrebbe affermare che la premessa maggiore costituisca il falso io difendo solo innocenti presupposto. Ma, a ben vedere, ictu oculi non è sostenibile che sia così. Io potrei davvero difendere solo innocenti. Allora cos’è che ci può portare a dire che il sillogismo rappresentato sia falso ? La domanda questa volta è retorica. La logica come strumento per smontare il sillogismo. Ciò che ci aiuta e consente di smontare il sillogismo è proprio l’uso della logica, ovvero della capacità di costruire premesse maggiori e minori che siano conformi non solo all’esigenze di generare un sillogismo univoco ma anche a quel che la nostra corretta conoscenza della realtà ci ha insegnato essere maggiormente frequente. Ora, la logica porta a dire che statisticamente è assai raro che qualsiasi avvocato sia in grado di difendere esclusivamente innocenti. Perché? Perché egli non è in grado di conoscere la verità assoluta ma al più quella dichiarata dai propri clienti o perché egli potrebbe essersi erroneamente convinto dell’innocenza del proprio cliente o perché il cliente potrebbe non aver commesso quel fatto penalmente rilevante ma altro e, quindi, non essere ontologicamente innocente ma solo incidentalmente privo di colpe. Al più l’avvocato potrebbe dire, con grande boria e vanagloria, io ho fatto assolvere tutti i miei clienti. Ma l’affermazione, portata alla premessa maggiore del sillogismo dichiarato avrebbe effetti ben diversi e differenti. Proviamo io ho fatto assolvere tutti i miei clienti, Tizio è un mio cliente, Tizio è innocente. Il sillogismo è inesistente. Allora ecco che la logica entra nella prova, la costruisce e non solo la rafforza, divenendo strumento ermeneutico imprescindibile e per ricostruire il fatto, attraverso le singole tessere del puzzle a disposizione del giudice vuoi per completarne gli inevitabili spazi vuoti, vuoi per costruire quell’argine del ragionevole” dubbio oltre il quale non può essere pronunciata la condanna. Prova logica. Ma quando la prova è logica? La prova è logica quando si muove da presupposti che abbiano necessariamente valenza univoca escludendo che essa possa costruirsi o dar luogo a mere ipotesi congetturali o, tantomeno, incoerenti col ragionamento spiegato. Cioè quando risponde ai requisiti del sillogismo aristotelico.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 6 marzo – 3 aprile 2014, n. 15386 Presidente Lombardi – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Ancona, con sentenza dell'1/10/2012, ha confermato, in punto di responsabilità, quella emessa dal Tribunale di Urbino, all'esito di giudizio abbreviato, nei confronti di C.A. per furto aggravato in danno di P.A. ed ha rimodulato la pena. Secondo i giudici, il ladro, dopo essersi impossessato delle chiavi dell'abitazione di P.A. , prelevandole dall'autovettura che questi aveva parcheggiato sulla pubblica via, si introdusse nell'abitazione della vittima per asportarne gli oggetti d'oro ivi custoditi. La prova della responsabilità è stata desunta dal fatto che nella stessa giornata e nello stesso posto all'esterno di un ristorante in cui erano in corso i festeggiamenti per un matrimonio furono prelevate da altra autovettura quella di M.E. le chiavi di casa del proprietario, per poi svaligiarne l'abitazione sita a circa 60 km di distanza. In questo caso il C. fu colto in flagranza di reato, arrestato e processato per direttissima. 2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell'interesse dell'imputato, l'avv. P. G., con due motivi. 2.1. Col primo censura la sentenza per illogicità della motivazione con riguardo all'affermazione di responsabilità. Lamenta che la Corte d'appello abbia attribuito valore indiziario a semplici congetture, in assenza di prove concrete che rimandino ad una partecipazione del C. al furto, ed abbia dato per certa la partecipazione di un concorrente nei reati quello per cui è processo e quello per cui C. è già stato giudicato , in assenza di prove o indizi che suffraghino tale impostazione che non abbia dato una precisa qualificazione al concorso ipotizzato per il C. se morale o materiale e non ne abbia individuato, in concreto, le forme di espressione che abbia valorizzato, contro l'imputato, un dato assolutamente neutro il fatto che l'auto della moglie fu notata nei pressi dell'abitazione del M. luogo in cui il C. fu arrestato , oltre che estraneo al materiale probatorio legittimamente acquisito al processo. 2.2. Col secondo si duole della ritenuta sussistenza, in relazione al furto delle chiavi dell'abitazione capo A , dell'aggravante dell'art. 625, comma 1, n. 7, cp, motivata con l'osservazione, del tutto incongrua, che insieme alle chiavi dell'abitazione si trovavano altre chiavi verosimilmente, quelle di dotazione dell'auto , nonché della ritenuta inammissibilità del motivo per carenza d'interesse la Corte ha ritenuto che l'eliminazione dell'aggravante dell'art. 625, comma 1, n. 7, non gioverebbe all'imputato, atteso che il numero delle aggravanti contestate farebbe comunque rientrare il fatto nella previsione dell'art. 625, comma 2, cp. . Il ricorrente segnala, per converso, il pregiudizio derivantegli dall'art. 656, comma 9, lett. a , c.p.p., ove sia confermata la condanna per furto pluriaggravato. Considerato in diritto Entrambi i motivi di ricorso sono fondati. 1. Secondo i giudici di merito, la prova della responsabilità per entrambi i furti contestati, avvinti dal nesso teleologia , è di ordine logico il contesto ambientale e le modalità dell'azione fanno ritenere, incontrovertibilmente, che entrambi i furti quello in danno di M. e quello in danno di P. siano opera dello stesso autore o degli stessi autori i giudici hanno sottolineato che le auto erano parcheggiate nello stesso piazzale e che entrambi i proprietari erano invitati alla stessa cerimonia che in entrambi i casi furono rubate prima le chiavi di casa e poi svaligiate le abitazioni che in occasione di uno dei furti fu notata, nei pressi dell'abitazione del derubato, l'auto della moglie del C. . Hanno pure sottolineato che la complessità dell'operazione - le abitazioni distavano tra loro circa 60 km ed entrambe distavano dal luogo della cerimonia altri 60 km - richiedeva una meticolosa preordinazione dell'azione o una cooperazione nel reato da parte di soggetti rimasti sconosciuti . Il suddetto argomentare - sebbene espressione di un notevole sforzo di razionalizzazione e di comprensione della vicenda - non è idoneo, però, a ritenere provata la responsabilità del C. oltre il ragionevole dubbio, perché muove da presupposti che non hanno valenza univoca e sono in un caso congetturale e in un altro incoerente col ragionamento spiegato. L'affermazione che il ladro conoscesse tanto bene le abitudini delle vittime da sapere che entrambe solevano lasciare in auto le chiavi dell'abitazione richiede, infatti, la prova che il C. conoscesse e frequentasse le famiglie di M. e P. o un membro delle stesse, o almeno qualcuno in contatto con costoro circostanza su cui, invece, la sentenza tace. La distanza tra le abitazioni delle vittime e quella tra OMISSIS dove fu consumato il furto delle chiavi e l'abitazione dei derubati è stata valorizzata contro l'imputato perché richiedeva preordinazione e rapidità d'azione , ma depone anche in direzione contraria per le difficoltà che frapponeva all'esecuzione dei delitti da parte della stessa persona, la quale avrebbe dovuto forzare le portiere delle automobili e impossessarsi delle chiavi, individuare l'abitazione delle vittime in sentenza non è chiarito come ciò sia avvenuto , recarsi a dove risiedeva il P. e frugare nell'abitazione di costui dopo averla individuata , disfarsi della refurtiva e quindi recarsi a omissis , nell'abitazione del M. dopo averla individuata , dove fu sorpreso e arrestato. È evidente che tali condotte esigevano la disponibilità di un lasso di tempo notevole, su cui i giudici di merito non risulta si siano interrogati in sentenza non viene precisato quanto tempo sia intercorso tra il furto delle chiavi a omissis e la sorpresa in flagrante a omissis , sebbene si tratti di un dato essenziale per la congruità della ricostruzione operata dalla Corte di merito. Infine, privo di significato - come correttamente rilevato dal difensore - è il dato rappresentato dalla notazione dell'auto del C. presso l'abitazione del M. , posto che si tratta del luogo in cui l'imputato fu arrestato. Quanto, poi, all'eventualità che C. si sia avvalso della collaborazione di un complice, si tratta di possibilità e non di evenienza concretamente accertata, che introduce proprio la prospettiva in cui si è mossa la difesa quella, cioè, che i furti siano stati consumati da soggetti operanti autonomamente, seppur in singolare coincidenza di tempi e di modi. D'altra parte, anche la cooperazione nel reato, ipotizzata, in alternativa, dalla Corte d'appello, esige pur sempre che vengano chiariti e provati i termini del concorso, non potendosi confondere l'atipicità della condotta criminosa concorsuale con l'indifferenza delle sue manifestazioni nella realtà. E tanto vale anche per il concorso morale, che esige, quantomeno, un'attività rafforzativa dell'altrui proposito criminoso, su cui non risulta che la sentenza si sia proficuamente intrattenuta. 2. Fondata è pure la doglianza che investe la contestate, e ritenuta, aggravante della esposizione alla pubblica fede, sia sotto il profilo della sussistenza della circostanza che della ammissibilità del motivo. Sotto quest'ultimo profilo è senz'altro da condividere l'argomento del ricorrente, secondo cui non è per lui indifferente che vengano ritenute sussistenti una o due aggravanti tra quelle contemplate dall'art. 625, comma 1, cp, giacché, se è vero che bastano le aggravanti dell'art. 625, comma 1, n. 2, cp. e dell'art. 61, n. 2, cp., pure a lui contestate, per rendere applicabile la più grave sanzione dell'art. 625, comma 2, cp., è anche vero che solo il concorso delle aggravanti in numero di almeno due dell'art. 625, comma 1, rende inoperante - a favore del condannato - la sospensione dell'esecuzione prevista dall'art. 656, comma 5, cp. Quanto, poi, al merito del motivo, va considerato che, secondo la risalente giurisprudenza di questa Corte, il furto di oggetti che si trovino all'interno di un'autovettura, lasciata incustodita sulla pubblica via, deve considerarsi aggravato per l'esposizione alla pubblica fede a norma dell'art. 625, n. 7 cod. pen., quando si tratti di oggetti costituenti parte integrante del veicolo, come autoradio, attrezzi in dotazione per le minute riparazioni, i pezzi di ricambio comunemente indispensabili e i documenti di circolazione che, per necessita o consuetudine, non vengano portati via al momento in cui l'autoveicolo viene lasciato incustodito Cass. N. 10298 del 29/9/93 Cass., n. 7132 del 7/3/1972 . Allorché il furto ricada, invece, sopra oggetti solo temporaneamente o occasionalmente lasciati nell'autovettura, per la sussistenza dell'aggravante de quo deve ricorrere una situazione contingente di necessità, tale da indurre il possessore a confidare nella buona fede dei consociati e nel rispetto della cosa altrui che dagli stessi è lecito pretendere, tenendo altresì conto che il concetto di necessità va inteso in senso relativo e non assoluto e comprende ogni apprezzabile esigenza di condotta imposta da particolari situazioni, in contrapposizione agli opposti concetti di comodità e di trascuratezza nella vigilanza Cass., n. 14978 del 24/3/2005 . È necessario, pertanto, che il giudice dia conto delle speciali ragioni che - in base alle circostanze concrete - hanno reso necessitata la custodia della cosa all'intervo dell'autoveicolo. Nel caso di specie tale necessità non è stata esplicitata, essendosi la Corte di merito limitata ad affermare che il mazzo di chiavi sottratto non conteneva solo quelle dell'abitazione della persona offesa ma anche altre chiavi, alcune delle quali verosimile dotazione dell'auto . Dal che non è dato comprendere se la necessità , rilevante ai sensi dell'art. 625, comma 1, n. 7, c.p., sia collegata alla presenza, nell'auto, di una copia delle chiavi della stessa vettura e se le la presenza delle chiavi suddette sia reale o solo verosimile . 3. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice a quo - rappresentato, nella specie, dalla Corte di appello di Bologna, essendo la Corte d'appello di Ancona è a sezione unica - affinché, alla luce dei criteri sopra esposti, riesamini il profilo della responsabilità e, ove concluda la propria indagine in senso affermativo, giudichi della ricorrenza dell'aggravante dell'art. 625, comma 1, n. 7 c.p. secondo i criteri pure dianzi esposti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.