Autista in fuga, nascondersi dietro a un dito non è una soluzione

Nei reati di fuga e omissione d’assistenza, ex art. 189 c.d.s., il dolo deve investire non solo l’evento dell’incidente, ma anche il danno alle persone e, di conseguenza, la necessità del soccorso, che non costituisce una condizione di punibilità. Tuttavia, la consapevolezza che la persona coinvolta nell’incidente ha bisogno di soccorso può sussistere anche sotto il profilo del dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche a quello intellettivo, quando l’agente, consapevolmente, rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi, in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone, per ciò stesso, l’esistenza.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 14546, depositata il 27 marzo 2014. Il caso. La Corte d’appello di Genova condannava un uomo per non essersi fermato a prestare assistenza ai feriti, dopo aver causato un incidente stradale art. 189 c.d.s. , ed aver fornito delle generalità false alle forze dell’ordine nel corso di un controllo su strada art. 495 c.p. . Intervento non necessario. L’imputato ricorreva in Cassazione, affermando che, ai fini della configurabilità del reato di omessa assistenza, è necessaria l’effettività del bisogno dell’investito, che può venir meno, qualora altri abbiano già provveduto e non risulti necessario o utile l’ulteriore intervento dell’obbligato. Nel caso di specie, egli affermava di essersi fermato e, solo dopo aver verificato che il ferito era stato immediatamente soccorso da altri, si era allontanato. Il guidatore era consapevole. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione approvava il percorso logico dei giudici d’appello, che avevano basato la loro decisione sulla testimonianza di alcune persone, che avevano affermato che l’imputato si era fermato ed era, poi, ripartito subito, senza accertarsi, prima, delle lesioni riportate dalla persona offesa o dell’assenza di qualsiasi bisogno di soccorso. Da ciò, la Corte d’appello argomentava l’impossibilità di supporre che il ferito non si fosse fatto male e non avesse bisogno di assistenza. Non può, quindi, opporsi il difetto di consapevolezza, quando le lesioni sono conseguenza ovvia e normale di una condotta idonea a causarle, ma l’agente si rifiuti di constatare tale fatto, consequenziale all’azione. Lo stesso ricorrente non affermava l’insussistenza della necessità di un soccorso, ma anzi sembrava postularla, nella misura in cui pareva affermare che l’investito non avesse bisogno di soccorso, non perché oggettivamente fosse rimasto illeso, ma perché altri avevano già provveduto e non risultava, quindi, più necessario o utile un suo intervento. Obbligo assoluto. I giudici di legittimità ricordavano che, in caso di incidente, l’obbligo di fermarsi e prestare assistenza agli eventuali feriti grava direttamente su chi si trova coinvolto nell’incidente medesimo, che è, dunque, tenuto ad assolverlo, indipendentemente dall’intervento di terzi e senza poter fare affidamento sull’intervento della polizia o di altre autorità già allertate, almeno fino a quando non abbia conseguito la certezza dell’avvenuto soccorso. Dolo, anche eventuale. Nel reato di fuga, ex art. 189 c.d.s., il dolo deve investire non solo l’evento dell’incidente, ma anche il danno alle persone e, di conseguenza, la necessità del soccorso, che non costituisce una condizione di punibilità. Tuttavia, la consapevolezza che la persona coinvolta nell’incidente ha bisogno di soccorso può sussistere anche sotto il profilo del dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche a quello intellettivo, quando l’agente, consapevolmente, rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi, in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone, per ciò stesso, l’esistenza. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 6 – 27 marzo 2014, n. 14546 Presidente Brusco – Relatore Iannello Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 17/10/2013 la Corte d'appello di Genova confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Sanremo, sezione distaccata di Ventimiglia, aveva affermato la penale responsabilità di D.C. per i reati p. e p. dall'art. 189 cod. strada e 495 cod. pen. e lo aveva quindi condannato, ritenuta la continuazione, alla pena di un anno e due mesi di reclusione, disponendo altresì la sospensione della patente di guida per un anno e sei mesi. Al C. si contestava che, verificatosi un incidente stradale con danno alle persone ricollegabile al suo comportamento, non avesse ottemperato all'obbligo di fermarsi e di prestare assistenza alle persone ferite, fuggendo ed inoltre che, richiesto di fornire le proprie generalità nel corso di controllo su strada eseguito da personale in servizio presso il nucleo operativo radiomobile di Ventimiglia, le forniva false. Fatti commessi in Ventimiglia rispettivamente l'11 e il 12/3/2008. 2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, l'imputato, deducendo violazione di legge. Premesso che i reati di fuga e di omessa assistenza configurano due fattispecie autonome e indipendenti, e che, ai fini della configurabilità del secondo, è necessaria l'effettività del bisogno dell'investito, che può venir meno allorché altri abbiano già provveduto e non risulti più necessario, né utile o efficace, l'ulteriore intervento dell'obbligato, afferma che, nella fattispecie, è stato pacificamente accertato che egli ha provveduto a fermarsi e solo dopo aver verificato che la persona offesa era stata immediatamente soccorsa da altri, si è allontanato. Deduce che pertanto, date tali circostanze, la corte territoriale è incorsa in errore di diritto nel ritenere sussistente il reato contestato. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. La Corte d'appello ha dato conto in modo adeguato degli elementi, emergenti dall'istruttoria, posti a base dei convincimento della sussistenza anche del reato di cui all'art. 189, comma 7, cod. strada. Ha in particolare evidenziato - in risposta a specifico motivo di gravame - che il teste B., diversamente da quanto sostenuto dall'appellante, non ha dichiarato di aver soccorso la persona offesa prima che l'imputato si allontanasse, ma al contrario che quest'ultimo si fermò e ripartì subito. Ha inoltre rimarcato la corte territoriale che detto teste non ha affermato che l'imputato si fosse accertato prima delle lesioni riportate dalla persona offesa e dell'assenza di qualsiasi bisogno di soccorso, cosa che d'altronde - si nota in sentenza -, in ragione della platealità della caduta del ferito, non sarebbe stata nemmeno possibile per un esperto in medicina , tantomeno per l'imputato che, come pure sottolinea il giudice a quo richiamando ancora testuali affermazioni del teste, si fermò per cinque secondi per ripartire subito dando gas a manetta . Del tutto ragionevolmente, quindi, da ciò argomenta la Corte d'appello l'impossibilità di supporre, in un incidente caratterizzato dalle modalità descritte dal teste, che la persona offesa non si fosse fatta male o non abbisognasse di assistenza , soggiungendo ancora che non può opporsi il difetto di consapevolezza quando il fatto lesioni sia conseguenza ovvia e normale di una condotta idonea a causarle, ma l'agente si rifiuti di constatare tale fatto, consequenziale all'azione . Con tale argomentare il ricorrente omette di confrontarsi risolvendosi il suo ricorso nella mera prospettazione, generica e apodittica, di una ricostruzione dei fatti secondo la quale egli si sarebbe allontanato dai luoghi solo dopo aver verificato la situazione della persona offesa e in particolare che la stessa era stata immediatamente soccorsa da altri esattamente opposta a quella ritenuta dal giudice a quo, ma senza in alcun modo indicare gli elementi da cui tale ricostruzione dovrebbe trarre fondamento e soprattutto senza indicare le ragioni per le quali l'opposta ricostruzione accolta dal giudice di merito dovrebbe ritenersi contraddetta da obiettivi e univoci elementi istruttori non considerati ovvero comunque manifestamente illogica. Da notare, poi, che lo stesso ricorrente non afferma l'insussistenza della necessità di un soccorso, ma anzi sembra postularla nella misura in cui pare affermare che l'investito non avesse bisogno di soccorso, non perché oggettivamente stesse perfettamente bene e fosse rimasto illeso, ma perché altri avevano già provveduto e non risultava più necessario né utile o efficace l'ulteriore intervento dell'obbligato affermazione quest'ultima che, come detto, non trova alcun riscontro nella sentenza impugnata ma anzi viene recisamente contrastata nei termini sopra riferiti . In ogni caso nella sentenza di primo grado, cui certamente può farsi riferimento integrativo per il noto principio della c.d. doppia conforme, è chiaramente evidenziato in proposito che il conducente dello scooter investito era caduto a terra e la persona rimasta ferita dovette essere portata via in ambulanza e, all'arrivo dei carabinieri, si trovava dolorante ai margini della strada . 3.1. È dunque appena il caso di soggiungere che, in relazione all'accertamento dei fatti contenuti in sentenza del tutto obliterato dal ricorrente se non addirittura arbitrariamente ribaltato , la dedotta violazione di legge si appalesa insussistente. La sentenza impugnata, infatti, si conforma pienamente al principio di diritto pacificamente affermato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte - in essa del resto puntualmente richiamato - secondo cui in caso di incidente l'obbligo di fermarsi e prestare assistenza agli eventuali feriti grava direttamente su colui che si trova coinvolto nell'incidente medesimo, il quale è dunque tenuto ad assolverlo indipendentemente dall'intervento di terzi e senza poter fare affidamento sull'invocato intervento della polizia o di altra autorità già allertate, almeno fino a quando non abbia conseguito la certezza dell'avvenuto soccorso Sez. 4, n. 8626 del 07/02/2008, Di Vece, Rv. 238973 . Giova altresì rammentare che, per altrettanto costante insegnamento, nel reato di fuga, previsto dall'art. 189, commi 6 e 7, cod. strad., il dolo deve investire non solo l'evento dell'incidente, ma anche il danno alle persone e, conseguentemente, la necessità del soccorso, che non costituisce una condizione di punibilità tuttavia, la consapevolezza che la persona coinvolta nell'incidente ha bisogno di soccorso può sussistere anche sotto il profilo del dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all'elemento volitivo, ma che può attenere anche all'elemento intellettivo, quando l'agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l'esistenza v. ex multis Sez. 4, n. 34134 del 13/07/2007, Agostinone, Rv. 237239 . 4. Ai sensi dell'art. 606, comma 3, cod. proc. pen. il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. 5. Ne discende, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186 e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa - della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.