Fallimento e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti: quali e quanti reati possono configurarsi?

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per esposizione di passività inesistenti, l’inserimento in contabilità di fatture per operazioni inesistenti, in quanto trattasi di operazione che gonfia” le passività, in modo da assottigliare la quota garanzia disponibile per i creditori, a nulla rilevando che si tratti di costi” e non di poste debitorie”, allorché queste siano destinate a dissimulare la destinazione illecita di attività già sottratte.

Con la medesima pronuncia sent. n. 12427/14 depositata il 17 marzo la Cassazione ha, altresì, affermato i seguenti ulteriori principi di diritto Non è configurabile il concorso formale fra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e quello di bancarotta impropria ex art. 223, comma 2, n. 2 l.f., che deve considerarsi assorbito nel primo, quando l’azione diretta a causare il fallimento sia la stessa sussunta nel modello descrittivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale . La registrazione in contabilità di fatture per operazioni inesistenti integra il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, che può concorrere formalmente con quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, stante la differenza dei beni giuridici tutelati dalle due norme . É configurabile il concorso formale tra reati fallimentari ed il reato tributario di frode fiscale mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, stante il diverso bene giuridico tutelato dalle due fattispecie . Non è concepibile la realizzazione di un delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale o documentale, che non si accompagni alla volontà deliberata o quanto meno alla accettazione del rischio che la condotta costituisca causa – unica o concorrente – del fallimento, che è elemento costitutivo del reato . Da un solo fatto una proliferazione di reati. Secondo il Tribunale e la Corte di appello di Milano un soggetto, riconosciuto amministratore di fatto di una società, per aver utilizzato nella contabilità della stessa società, poi dichiarata fallita, fatture per operazioni inesistenti è da ritenersi responsabile dei seguenti reati 1 bancarotta fraudolenta patrimoniale per esposizione di passività inesistenti 2 bancarotta fraudolenta documentale per falsificazione delle scritture contabili della società 3 bancarotta impropria per avere cagionato il fallimento della società mediante operazioni dolose, utilizzando le fatture per operazioni inesistenti per compensare i ricavi conseguiti 4 frode fiscale per utilizzo in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti art. 2, d.lgs. n. 74/2000 . Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, propone ricorso per Cassazione la difesa deducendo sia la insussistenza nel caso de quo delle singole ipotesi delittuose contestate, che la possibilità di concorso formale di tutte tali fattispecie a fronte di una unica condotta posta in essere. La configurabilità delle singole fattispecie. Il primo problema che, dunque, la Suprema Corte è chiamata a verificare è la configurabilità nella unica ed unitaria condotta, invero non contestata, realizzata dall’imputato – ossia l’utilizzo in contabilità della società, poi dichiarata fallita, di fatture per operazioni inesistenti –, di tutte le fattispecie delittuose ritenute sussistenti dalla Corte di appello. La Corte non ha perplessità nell’affermare che tale condotta integri la fattispecie di cui all’art. 216 l.f. e cioè una ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale mediante indicazione di passività inesistenti. Infatti, argomenta la Corte, l’inserimento in contabilità di fatture per operazioni inesistenti determina una riduzione della garanzia disponibile per i creditori, in quanto anche il gonfiare le passività determina quella diminuzione illecita del patrimonio del debitore che ha, in caso di fallimento, penale rilevanza. Secondo gli Ermellini, infatti, anche l’indicazione di costi inesistenti – e non solo di debiti – può integrare la fattispecie contestata allorché destinata a dissimulare la destinazione illecita già data ad attività già sottratte. Ed è sul punto che la pronuncia è particolarmente interessante in quanto supera l’obiezione difensiva che puntualmente aveva evidenziato come fra le passività” penalmente rilevanti ai fini della bancarotta dovessero ricomprendersi sì i debiti, ma non anche i costi sostenuti per la produzione del reddito. L’argomento difensivo, sicuramente fondato in linea generale, viene tuttavia superato sulla base del rilievo che, nel caso di specie, le poste passive erano state utilizzate per dissimulare la destinazione illecita data ad attività già sottratte, con conseguente irrilevanza del fatto che si trattasse di costi e, dunque, di componenti negative del reddito e non di poste debitorie. Sussistente per la Suprema Corte è anche il delitto di bancarotta fraudolenta documentale infatti, pur essendo stata evidenziata dalla Guardia di Finanza, e sin da prima del fallimento, la falsità della fatture, peraltro riconosciuta dall’imputato, il delitto de quo è configurabile, comunque, in tutti i casi in cui, pur non essendo impossibile la ricostruzione del patrimonio, la stessa sia stata ostacolata da difficoltà superabili dalla curatela solo con particolare diligenza. Nessun problema, invece, sulla ritenuta sussistenza nel caso de quo sia della fattispecie di cui all’art. 2, d.lgs. n. 74/2000, che di quella di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, l.f Concorso formale di reati o apparente di norme? Il successivo ed invero non semplice quesito che viene posto alla Suprema Corte attiene alla possibile sussistenza, a fronte di una unica condotta, di un concorso formale di reati fra tutte le fattispecie criminose individuate dai giudici di merito, ovvero se si tratti, come sostiene la difesa del ricorrente, di un concorso apparente di norme. Sul punto, la questione indubbiamente più rilevante attiene al possibile concorso della fattispecie di cui all’art. 216 l.f. bancarotta fraudolenta patrimoniale per esposizione di passività inesistenti con quella di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, l.f. l’aver cagionato il fallimento della società mediante altre operazioni dolose . Trattasi, invero, di problematica sulla quale da tempo dottrina e giurisprudenza si sono confrontate concludendo pressoché unanimemente, sulla base della natura residuale e di norma di chiusura dell’art. 223, comma 2, n. 2, che la stessa è volta a punire tutti quei casi in cui si può sabotare un’impresa senza disperdere attività o simulare passività . Tali due ipotesi troverebbero, infatti, già sanzione nel dettato dell’art. 216 l.f La conclusione necessitata, cui dunque perviene anche la Corte, è che, quando l’azione diretta a causare il fallimento sia, come nel caso di specie, la medesima sussunta nel modello descrittivo della bancarotta propria di cui all’art. 216 l.f., non è configurabile il concorso formale di reati, restando l’ipotesi di bancarotta impropria assorbita nel primo reato. Naturalmente, e per converso, è ben possibile il concorso materiale di reati allorchè, invece, diverse siano le condotte che vengono attribuite all’imputato e poste alla base delle distinte contestazioni di bancarotta propria ed impropria. Un obiter dictum pesante” Assolutamente interessante è tuttavia l’argomento che la Corte utilizza per giungere ad escludere il concorso formale di reati. Precisano, infatti, i giudici del Palazzaccio che non è concepibile ipotesi di bancarotta fraudolenta o patrimoniale o documentale che non si accompagni alla volontà deliberata o quanto meno alla accettazione del rischio che la condotta costituisca causa unica o concorrente del fallimento, che è elemento costitutivo del reato in tale atteggiamento psicologico ci concreta anche l’elemento soggettivo della bancarotta impropria . Se non vi è dubbio che con tale affermazione la Suprema Corte faccia riferimento alle ipotesi di bancarotta di cui all’art. 216 l.f., non vi è chi non veda l’importanza – seppur come obiter dictum – di tale affermazione che, richiamando alla memoria l’isolata e presto superata e smentita pronuncia della Cassazione sul Ravenna calcio Cass., Sez. V Pen., n. 47502/2012 , si pone, almeno ad un prima lettura, in contrasto con il consolidato e costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in quanto afferma che il fallimento, quale elemento costitutivo del reato, deve essere causalmente collegato alla condotta quale causa unica o concorrente ed in quanto tale deve pure essere oggetto del dolo, ancorchè nella forma del dolo eventuale. Ancora sul concorso formale di reati Più scontata, invece, quanto meno secondo il costante orientamento della Suprema Corte, la soluzione della questione relativa alla sussistenza del concorso formale di reati fra la bancarotta fraudolenta patrimoniale e quella documentale, nonché fra il delitto di bancarotta e quello di frode fiscale mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. La soluzione viene, infatti, rinvenuta sulla base della via, ormai assolutamente battuta dalla giurisprudenza – nonostante le critiche della più illuminata dottrina –, della diversità del bene giuridico tutelato dalle fattispecie incriminatrici esaminate, diversità che legittima, secondo la Suprema Corte, il concorso formale di reati e dunque il cumulo di contestazioni penali, pur a fronte di una unica condotta realizzata dall’imputato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 dicembre 2013 – 17 marzo 2014, n. 12427 Presidente Lombardi – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con sentenza pronunciata l’8.3.2012 la corte di appello di Milano, confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 10.11.2011, aveva condannato S.S. , per i reati di cui agli artt. 216, n. 1 e n. 2 , 223, co. 2, n. 2 , 219, co. 1, n. 1 , L. fall., in relazione al fallimento della S.S.B. Italiana Costruzioni s.r.l. 81, cpv., c.p., 2, d.lgs. n. 74 del 2000, alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia. Secondo l'ipotesi accusatoria, confermata in primo ed in secondo grado, il S. , in qualità di amministratore di fatto della società fallita, con la sua condotta, consistita nell'avere utilizzato fatture false attestanti operazioni inesistenti per prestazioni fornite alla società fallita da società inesistenti o non risultanti all'anagrafe tributaria, ha integrato quattro fattispecie delittuose ed, in particolare 1 il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale 2 il reato di bancarotta fraudolenta documentale per falsificazione delle scritture contabili della società 3 il reato di bancarotta impropria per avere cagionato il fallimento della società con operazioni dolose, avendo utilizzato le fatture innanzi indicate per gli anni dal 2001 al 2006 al fine di compensare i ricavi conseguiti 4 il reato in materia fiscale di cui all'art. 2, d.lgs. n. 74 del 2000. 2. Avverso la decisione della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando violazione di legge, travisamento dei fatti e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in quanto, 1 con riferimento alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, non risulta dimostrato che l'obbligazione simulata sia stata riconosciuta dal soggetto fallito, anche per acquiescenza, con l'attribuzione ad essa di rilevanza causale nella procedura fallimentare, condizione per la punibilità della condotta, laddove la semplice esposizione fittizia di costi sostenuti non incide sulla garanzia patrimoniale dei creditori 2 in relazione alla bancarotta fraudolenta documentale, si tratta di una fattispecie in concreto non configurabile, perché l'imputato ha subito evidenziato la falsità delle scritture contabili, che, limitata alle false fatture, non ha reso impossibile la ricostruzione del patrimonio e degli affari della società, trattandosi, peraltro, di falsità accertata già prima della dichiarazione di fallimento dalla Guardia di Finanza 3 in applicazione del principio di specialità di cui all'art. 15, c.p., il S. deve essere dichiarato responsabile solo del reato di bancarotta fraudolenta documentale, che si configura come reato speciale rispetti agli atri reati fallimentari ritenuti sussistenti 4 in ordine al reato di bancarotta impropria, del pari esso, stante la sua natura di ipotesi residuale nella previsione del legislatore, non appare configurabile nel caso in esame, sia perché la condotta dell'imputato è già sussumibile nel paradigma normativo dell'art. 216, co. 1, n. 1 , L. fall., sia perché non risulta dimostrato che il fallimento sia stato determinato dalla condotta addebitata al S. , difettando, pertanto, la prova della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in questione. 3. Il ricorso va parzialmente accolto, per le seguenti ragioni. 4. Al riguardo, va, innanzitutto, rilevato che nell'esaminare i motivi di ricorso si procederà ad una lettura integrata delle sentenze di primo e di secondo grado, da considerare un prodotto unico, in quanto la decisione della corte territoriale e quella del tribunale hanno utilizzato criteri omogenei di valutazione e seguito un apparato logico argomentativo uniforme cfr. Cass., sez. 3, 1.2.2002-12.3.2002, n. 10163, Lombardozzi D., rv. 221116 . 5. Orbene fondato appare il motivo di impugnazione con cui si deduce l'impossibilità di configurare nel caso in esame l'ipotesi di reato di bancarotta impropria. Costituisce, infatti, costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, quello secondo cui non è configurabile il concorso formale tra il reato di bancarotta fraudolenta e quello di bancarotta impropria di cui all'art. 223 comma secondo n. 2, L. fall., che deve considerarsi assorbito nel primo quando, come nel caso in esame, l'azione diretta a causare il fallimento sia la stessa sussunta nel modello descrittivo della bancarotta fraudolenta, poiché, mentre non è concepibile la realizzazione di un reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale o documentale, che non si accompagni alla volontà deliberata o quanto meno all'accettazione del rischio che la condotta costituisca causa - unica o concorrente - del fallimento, che è elemento costitutivo del reato, in tale atteggiamento psicologico si concreta anche l'elemento soggettivo della bancarotta impropria. Esclusa, dunque, la possibilità di configurare il concorso formale tra la bancarotta fraudolenta patrimoniale e la bancarotta impropria ai sensi dell'art. 223, comma secondo, n. 2, L. fall., il concorso materiale, invece, può configurarsi, ma solo se, oltre ad azioni comprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 L. fall., si siano verificati differenti e autonomi comportamenti dolosi, assenti nel caso in esame, i quali -concretandosi in abuso o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l'andamento economico-finanziario della società - siano stati causa del fallimento cfr. Cass., sez. V, 5.7.2007, n. 35066, rv. 237716 Cass., sez. V, 19.5.2010, n. 34559, rv. 248167 . 6. Nel resto il ricorso va rigettato. 7. Infondato, invero, appare il motivo di ricorso volto a contestare la sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Ed invero, come affermato da autorevole e condivisibile dottrina, la diminuzione illecita del patrimonio del debitore può avvenire non solo attraverso la sottrazione di attività, ma anche gonfiando le passività, in modo da assottigliare la quota di garanzia disponibile per i creditori, condotta che si verifica tutte le volte in cui, in relazione allo stato patrimoniale del soggetto fallito, si fanno apparire debiti od obblighi che, in realtà non esistono, trattandosi di operazioni mediante le quali viene sottratta o distratta la quota di patrimonio corrispondente al debito fittizio cfr., Cass., sez. V, 20.4.2007, n. 29336, rv. 237255 , con conseguente pregiudizio del ceto creditorio alla veridica indicazione del passivo cfr. Cass., sez. un., 27.1.2011, n. 21039, rv. 249669 . La fattispecie concreta portata all'attenzione di questa Corte ben si adatta allo schema testé delineato, in quanto risulta pacifica l'esposizione di passività inesistenti, realizzata attraverso l'inserimento nelle scritture contabili di fatture false passive, riguardanti prestazioni in realtà mai ricevute dalla società fallita, essendo inesistenti i soggetti che nelle suddette fatture apparivano come fornitori. Ciò appare sufficiente ad affermare la sussistenza del delitto di cui all'art. 216, co. 1, n. 1 , L. fall Anche a voler seguire, infatti, la tesi menzionata dal ricorrente, che, nel ricostruire la nozione di passività penalmente rilevante, opera una distinzione tra gli elementi patrimoniali negativi costituiti, in linea di principio, dai debiti, ed i componenti negativi del reddito, rappresentati dai costi sostenuti, attribuendo solo ai primi la natura di passività in senso tecnico, in ogni caso il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all'art. 216, co. 1, n. 1 , L. fall., risulta consumato con la registrazione di inesistenti costi sostenuti dalla società fallita, destinata a dissimulare la destinazione illecita data ad attività già sottratte cfr. nuovamente la già citata Cass., sez. V, n. 29336, rv. 237255 , senza che ci sia bisogno di dimostrare, ai fini dell'integrazione degli elementi costitutivi della suddetta fattispecie delittuosa, perché estranea alla previsione normativa, quale sia stata la destinazione effettiva di tali attività. L'ulteriore principio richiamato dal ricorrente a sostegno del suo assunto, infine, attiene ad un caso, completamente diverso da quello in esame, in cui il Supremo Collegio, dovendo affrontare il problema del concorso del terzo creditore fittizio, al quale vengano rilasciate dal fallito cambiali o scritture di ricognizione ovvero di assunzione di obbligazioni simulate da parte dell'imprenditore insolvente, nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per esposizione o riconoscimento di passività inesistenti, ha affermato che il reato si considera integrato soltanto se e quando il fallito riconosca - anche mediante acquiescenza - nella procedura fallimentare la passività inesistente e le conferisca rilevanza concorsuale. In questo caso, infatti, il creditore fittizio figura che non ricorre nel caso in esame, in cui i creditori non vantano un credito fittizio nei confronti della società fallita, ma sono del tutto inesistenti viene a rispondere quale concorrente nel reato proprio del fallito e, se non vi è concorso con costui, sarà responsabile del reato di presentazione di domanda di ammissione al passivo di credito fraudolentemente simulato cfr., Cass. sez. V, 3.10.1989, n. 2781, rv. 183521 . 8. Del pari infondato deve ritenersi il motivo di ricorso con il quale si contesta la sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta documentale di cui all'art. 216, co. 1, n. 2 , L. fall Al riguardo appare sufficiente rammentare che il bene giuridico protetto dalla suddetta previsione normativa non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili dell'impresa, concernendo, piuttosto, una conoscenza di tali vicende, documentata e giuridicamente utile, in relazione all'interesse dei creditori ad apprendere nei loro termini reali le vicende e la consistenza del patrimonio della società destinato a soddisfare le loro regioni c.d. ostensibilità della situazione patrimoniale del debitore cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 18/05/2005, n. 24333, rv.232212 Cass., sez. un., 27/01/2011, n. 21039, rv. 249669 . Bene giuridico che, nel caso in esame, è stato vulnerato dalla condotta dell'imputato, in quanto, come sottolineato da entrambi i giudici di merito, il curatore fallimentare, anche grazie alla attività di indagine della guardia di finanza ed alla collaborazione dell'imputato, ebbe a rilevare l'assoluta inattendibilità dei dati di bilancio - confermata dallo stesso S. , il quale gli aveva rivelato come le poste dell'attivo erano complessivamente inattendibili, per non dire inventate cfr pp.4-5 della sentenza di primo grado - che gli ha impedito di ricostruire con facilità e completezza il patrimonio ed il movimento di affari della società. Come è noto, infatti, per giurisprudenza costante della Suprema Corte, condivisa dal Collegio, sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 19/04/2010, n. 21588, rv. 247965 Cass., sez. V, 18/05/2005, n. 24333, rv.232212 . 9. Premesso, inoltre, che l'ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui si discute può essere realizzata anche a mezzo di false registrazioni nei libri e nelle scritture contabili cfr. Cass., sez. V, 26/10/2004, n. 45431, rv. 230353 , tale reato può concorrere con quello di bancarotta fraudolenta documentale cfr. Cass., sez. V, 20.4.2007, n. 29336, rv. 237255 , così come, stante la differenza dei beni giuridici protetti, è possibile configurare il concorso formale tra i reati in materia fallimentare ed il reato fiscale pure addebitato al S. , come da tempo affermato dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione cfr. Cass., sez. V, 26/10/2004, n. 45431, rv. 230353Cass., sez. V, 25.11.1998, n. 1842, rv. 212352 Cass., sez. V, 1/7/1993, n. 7177, rv. 194615 . 10. Va, infine, rilevato che il riconoscimento della recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale ex art. 99, co. IV, c.p., operato, all'esito di un approfondito giudizio dal giudice di primo grado, impedisce di ritenere estinto per prescrizione il reato fiscale di cui al capo B dell'imputazione. 11. Sulla base delle svolte considerazioni, dunque, l'impugnata sentenza va annullata senza rinvio in relazione al reato di cui all'art. 223, co. 2, n. 2 , r.d. n. 267 del 1942, perché il fatto non sussiste, con conseguente trasmissione degli atti ad altra sezione della corte di appello di Milano per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio da infliggere all'imputato in relazione ai reati residui e fermo restando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata per tutti gli altri profili non investiti dalla pronuncia di annullamento, il parziale accoglimento delle ragioni del ricorrente comporta che quest'ultimo non sia condannato al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'art. 223, comma 2, n. 2 , r.d. n. 267/1942 perché il fatto non sussiste e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per la rideterminazione della pena per i reati residui. Rigetta nel resto il ricorso.