Basta essere considerati mafiosi per rischiare l’aggravante

In caso di richiesta estorsiva, l’aggravante di metodo mafioso non presuppone necessariamente l’esplicita menzione dell’associazione. Una condizione di assoggettamento ad un clan mafioso può essere espressa anche in forma indiretta o implicita.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 7558, depositata il 18 febbraio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Napoli ha riformato parzialmente una sentenza di condanna di primo grado per i delitti in continuazione di estorsione e di violenza privata. I giudici di secondo grado hanno riqualificato il delitto-base come tentativo di estorsione, aggravato dal metodo mafioso, ed i reati satelliti come estorsione consumata. L’imputato avrebbe minacciato il titolare di un bar, chiedendogli alcune centinaia di euro da dare ai carcerati, forte della sua notoria affiliazione ad un clan camorristico. In seguito lo avrebbe anche costretto a servirgli delle consumazioni gratis, minacciando la vita della sua famiglia. La contestazione. L’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e di motivazione. A suo parere, gli atti commessi non sarebbero idonei per un tentativo di estorsione, per via della sua personalità psicologicamente fragile e approfittatrice dei legami familiari. In più, lo stacco temporale tra il reato-base ed i reati satelliti dovrebbe comportare una desistenza dal tentativo di estorsione. Ci sarebbe poi una mancanza di motivazione per l’aggravante del metodo mafioso per la riconosciuta estraneità dell’imputato all’associazione criminale. Infine, la riqualificazione dei reati satelliti da violenza privata ad estorsione, in difetto dell’impugnazione del P.M. contro la sentenza di primo grado, dovrebbe considerarsi illegittima. Uso del metodo mafioso. La Corte di legittimità inizia analizzando la motivazione giudiziale sull’idoneità della condotta dell’imputato. In fatto di estorsione, la condotta di chi prospetta l’utilizzo delle somme per pagare dei carcerati integra l’aggravante dell’uso del metodo mafioso, essendo irrilevante la mancata menzione dell’esistenza di un’associazione mafiosa durante le richieste estorsive. Una condizione di assoggettamento può esprimersi anche in forma indiretta o per implicito, dovendosi considerare anche i vincoli familiari dell’imputato. Desistenza quando si configura. Non è inoltre configurabile una desistenza dall’estorsione, la quale presuppone un volontario ravvedimento del soggetto, non condizionato da fattori esterni che lo abbiano indotto all’interruzione. Di conseguenza, va esclusa la desistenza quando la consegna del denaro, richiesta con violenza o minaccia, non sia avvenuta per volontà autonoma dell’imputato, bensì per la resistenza della vittima. Qualificazione dei reati satelliti. Per quanto riguarda invece la riqualificazione dei reati satelliti, la Cassazione rileva che si configura il delitto di estorsione e non di violenza privata se la minaccia, pur diretta a conseguire un ingiusto profitto, non arreca alcun danno alla vittima. In questo caso, il titolare del bar è stato costretto sotto minaccia a servire gratuitamente l’imputato. Di sicuro la riqualificazione non è consentita quando il capo d’imputazione relativo non è stato impugnato dal P.M. né, tanto meno, dall’imputato. Quindi, ove il fatto di reato non sia interessato dal gravame, su di esso e sulla sua qualificazione giuridica viene meno il potere giudiziale di intervenire. Ma, nel caso specifico, in riferimento al trattamento sanzionatorio, l’appello dell’imputato coinvolgeva i reati satelliti. Da qui la conseguente possibilità per il giudice d’appello di modificare la qualificazione del fatto, rimanendo comunque vincolato, mancando l’impugnazione del P.M., alla pena già inflitta sulla base dell’erronea qualificazione di violenza privata. Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 6 febbraio – 18 febbraio 2014, n. 7558 Presidente Petti – Relatore Iannelli Fatto e diritto 1. - M.S., tramite difensore ricorre avverso la sentenza della corte di appello di Napoli datata 26.2/15.4.2013 che, in parziale riforma della sentenza del tribunale della stessa città datata 11.5.2012 - che condannava 1' imputato, il solo appellante alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 600,00 di multa per i delitti in continuazione di estorsione e di violenza privata - riduceva la sola pena pecuniaria a 500 euro, previa riqualificazione del delitto - base come tentativo di estorsione, pur sempre aggravato dal metodo mafioso ex art. 7 l. l. 203/1991, ed i reati satelliti come estorsione consumata. 2. - In breve i fatti come ricostruiti dai giudici dell'appello l'imputato nel Dicembre 2008 minacciava nella persona e nelle cose G.R., titolare di un esercizio bar, richiedendogli 400/500 euro da dare ai carcerati, forte della sua notoria affiliazione al clan camorristico Ascione Papale . Successivamente nel marzo 2011 costringeva la persona offesa a servirgli gratuitamente consumazioni al bar, minacciando questa volta di attentare alla vita della moglie e dei familiari. 3. - Tre le ragioni di doglianza costitutive dei motivi di ricorso che richiamano a sostegno l'art. 606 lett. b ed e c.p.p. a inidoneità degli atti a costituire un tentativo di estorsione, per via della personalità dell'imputato, nota nel contesto ambientale, caratterizzata da fragilità psicologica, mestatore ed approfittatore dei suoi vincoli di parentela b lo stacco temporale tra il reato - base ed i reati satelliti era tale da doversi ritenere la avvenuta desistenza dal tentativo di estorsione c omessa motivazione in ordine alla ritenuta aggravante ex art. 7 cit. per la riconosciuta estraneità dell’imputato alla associazione mafiosa e illegittimità della riqualificazione dei reati satelliti, da violenza privata ad estorsione, in difetto dell' impugnazione del P.M. avverso la sentenza di primo grado. 4. - Il ricorso non è fondato. Non lo è con riferimento alla motivazione giudiziale in merito alla idoneità della condotta chiaramente intimidatrice sia per la causale esplicitata - i soldi richiesti servivano ai carcerati -, si aper la personalità dell'imputato collegato per vincoli familiari con esponenti di spicco della criminalità camorrista. Invero deve ritenersi in tema di estorsione integrare la circostanza aggravante dell'uso del metodo mafioso la condotta di colui che prospetti l'utilizzo delle somme estorte per aiutare i carcerati , non rilevando in proposito che l'esistenza dell'organizzazione criminale non sia stata menzionata nel contesto delle richieste estorsive, in quanto il mezzo di coartazione della volontà facente ricorso al vincolo mafioso, e alla connessa condizione di assoggettamento, può esprimersi in forma indiretta, o anche per implicito. Se non è configurabile nella specie l'aggravante del fine di agevolazione dell' operatività del clan, lo è di certo l'aggravante nella configurazione alternativa dell'uso del metodo mafioso, avvalorato per di più dai qualificati vincoli familiari del prevenuto. La censura sul punto, a fronte di una congrua motivazione giudiziale deve ritenersi infondata, al limite inquadrabile in una valutazione di merito preclusa in questa sede. Parimenti non è configurabile la desistenza che presuppone una volontaria resipiscenza del prevenuto non condizionata certo da fattori esterni che lo abbiano indotto a non proseguire l'azione criminosa. Con la conseguenza che in tema di estorsione va considerata integrata l'ipotesi tentata ed esclusa la desistenza quando la consegna della somma di denaro, costituente oggetto di una richiesta effettuata con violenza o minaccia, non abbia avuto luogo non per autonoma volontà dell'imputato, bensì per la ferma resistenza, come nel caso di specie, opposta dalla vittima. Non lo è infine in ordine alla riqualificazione dei reati-satelliti sotto il paradigma normativo di cui all'art. 629 c.p. Invero si configura il delitto di violenza privata e non quello di estorsione se la minaccia posta in essere dall'agente, pur essendo diretta al conseguimento di un ingiusto profitto, non arreca alcun danno alla vittima del reato. E nel caso di specie il titolare dell'esercizio bar è stato costretto,sotto minaccia, a servire gratuitamente il prevenuto di cibi e bevande. Certo la riqualificazione deve ritenersi non consentita allorchè il capo di imputazione relativo non è stato oggetto di impugnazione da parte del P.M. e non essendo nemmeno il predetto stato fatto oggetto, per i più svariati motivi, dell' impugnazione dell' imputato. Invero ove il fatto di reato non sia stato per nulla interessato al gravame, su di esso e sulla sua qualificazione giuridica è venuto meno ogni potere giudiziale di interferire Ma nel caso di specie sia pure con riferimento al trattamento sanzionatorio l'appello dell' imputato coinvolgeva i reati satelliti con la conseguente possibilità per il giudice di appello di modificare, alla stregua delle norme di diritto positivo, la qualificazione del fatto, rimanendo comunque vincolato, in assenza dell' impugnazione del P.M, il giudice alla pena come in precedenza inflitta sulla base delle erronea qualificazione - di violenza privata - pregressa. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l'imputato che lo ha proposto, deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.