Padre costringe il figlio ad avere un chiarimento con lui: quando c’è stalking? Questione di tempo

Il reato di stalking si configura nell’ipotesi in cui, pur essendosi la condotta persecutoria instaurata in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 38/2009, si accerti, anche dopo tale limite temporale, la reiterazione di atti di aggressione e di molesta idonei a creare nella vittima lo status di persona lesa nella propria libertà morale in quanto condizionata da costante stato di ansia e di paura.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 50979 del 17 dicembre 2013. Il fatto. Il gup del Tribunale di Livorno ha dichiarato n.d.p. perché il fatto non sussiste nei confronti di un uomo, imputato per minaccia a pubblico ufficiale p.u. e per stalking ai danni della ex compagna e del figlio da questa avuto. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Livorno propone ricorso in Cassazione. La fattispecie deve essere correttamente inquadrata. La Corte, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, sottolinea che non integrano il reato di minaccia a p.u. ex art. 336 c.p. le espressioni minacciose rivolte nei confronti di un p.u. come reazione alla pregressa attività dello stesso come avvenuto nel caso di specie, avendo l’imputato reagito minacciosamente alle informazioni ricevute dal p.u. in relazione al provvedimento riguardante i suoi incontri con il figlio , in quanto difetta la finalità di costringere la persona offesa a compiere un atto contrario ai propri doveri o a omettere un atto dell’ufficio, ovvero quella di influire comunque sullo stesso. In tali casi, si dovrebbe parlare, piuttosto, di ingiuria o minaccia. Stalking quando si configura. Correttamente la sentenza ha considerato, ai fini dell’integrazione del reato di stalking , le sole condotte dell’imputato successive all’entrata in vigore della norma incriminatrice, in ossequio al principio secondo cui il reato di stalking si configura nell’ipotesi in cui, pur essendosi la condotta persecutoria instaurata in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 38/2009, si accerti, anche dopo tale limite temporale, la reiterazione di atti di aggressione e di molesta idonei a creare nella vittima lo status di persona lesa nella propria libertà morale in quanto condizionata da costante stato di ansia e di paura. In concreto le condotte considerate erano state tenute nei confronti del figlio nel tentativo di avere un chiarimento, contro la sua volontà, sul motivo per cui non intendeva avere più rapporti con lui. Siffatte condotte, non sono idonee a cagionare nessun evento previsto dalla norma. Pertanto, il ricorso è inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 novembre – 17 dicembre 2013, n. 50979 Presidente Serpico – Relatore Capozzi Considerato in fatto e ritenuto in diritto 1. Con sentenza del 6.11.2012 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Livorno ha dichiarato n.d.p. perché il fatto non sussiste nei confronti di P.S. , imputato del reato di cui all'art. 336 c.p. ai danni del sov. R.P. capo c e art. 612bis c.p. ai danni della ex compagna C.R. e del figlio da questa avuto capo d . 2. Avverso la sentenza liberatoria propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Livorno deducendo 2.1. erronea applicazione dell'art. 425 c.p.p. e 336 c.p. nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risultando errata la conclusione della sentenza secondo la quale la condotta minacciosa dell'imputato non fu funzionalmente collegata ad impedire od ostacolare il regolare svolgimento ed esercizio delle pubbliche funzioni. 2.2. erronea applicazione dell'art. 425 c.p.p. e dell'art. 612 bis c.p. non potendosi ritenere irrilevanti le condotte persecutorie tenute dall'imputato precedentemente all'entrata in vigore della fattispecie contestata e non potendosi condividere che quelle verificatesi successivamente a tale data non fossero idonee ad integrare l'elemento materiale del reato. 3. Nell'interesse dell'imputato è pervenuta memoria che sostiene l'infondatezza del ricorso sulla base della corretta affermazione della insussistenza di qualsiasi coartazione del pubblico ufficiale come pure di condotte cadute sotto la vigenza dell'art. 612 bis c.p 4. Il ricorso è inammissibile. 5. Il primo motivo è manifestamente infondato. 6. Non integrano il reato di minaccia a pubblico ufficiale di cui all'art. 336 cod. pen., le espressioni minacciose rivolte nei confronti di un pubblico ufficiale come reazione alla pregressa attività dello stesso, in quanto difetta la finalità di costringere la persona offesa a compiere un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell'ufficio, ovvero quella di influire comunque su di esso. La Corte ha osservato che tale condotta potrebbe configurare i reati di ingiuria e minaccia Sez. 6, Sentenza n. 335 del 02/12/2008 Rv. 242131 Imputato Lo Bianco . 7. Cosicché si è correttamente posto nell'alveo di legittimità la sentenza che - con motivazione logica - ha giustificato la conclusione liberatoria sul rilievo che la reazione minacciosa tenuta dall'imputato nei confronti del pubblico ufficiale fu conseguenza della sua insofferenza alle informazioni ricevute dal predetto in relazione al provvedimento riguardante i suoi incontri con il figlio e non fu teso ad impedire od ostacolare il regolare svolgimento ed esercizio delle pubbliche funzioni. 8. Il secondo motivo è inammissibile - quanto alle condotte antecedenti all'entrata in vigore dell'art. 612 bis c.p. - perché manifestamente infondato e - quanto a quelle successive - perché volto ad una improponibile rivalutazione del fatto. 9. Si configura il delitto di atti persecutori cosiddetto reato di stalking nella ipotesi in cui, pur essendosi la condotta persecutoria instaurata in epoca anteriore all'entrata in vigore della norma incriminatrice, si accerti, anche dopo l'entrata in vigore del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. in L. 23 aprile 2009, n. 38, la reiterazione di atti di aggressione e di molestia idonei a creare nella vittima lo status di persona lesa nella propria libertà morale in quanto condizionata da costante stato di ansia e di paura. Sez. 5, Sentenza n. 10388 del 06/11/2012 Rv. 255330 Imputato D. 10. Ebbene, deve ritenersi nell'alveo del richiamato principio, la sentenza che ha correttamente considerato, ai fini della integrazione della fattispecie, le sole condotte dell'imputato successive all'entrata in vigore della norma incriminatrice ed a partire dal maggio 2010, individuando tre condotte tenute nei confronti del solo figlio ed estrinsecatesi nel tentativo di costringerlo, contro la sua volontà, a confrontarsi con lui e ad avere un chiarimento sul motivo per cui lo stesso figlio non intendeva più avere rapporti con lui. Ha, quindi, escluso - con motivazione logica e priva di vizi - la idoneità causale di siffatte condotte a cagionare qualcuno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice né direttamente nei confronti del figlio, né indirettamente nei confronti della madre, come pure la sussistenza dell'elemento psicologico pertinente. 11. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.